DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Alessandra Mammì per Dago-art
Attenti alla pittura, che non siamo più nel Novecento. Non è più olio su tela, roba tranquilla da divano di casa. Né tanto meno un fenomeno di ritorno all'ordine. Attenti alla pittura: “Beware wet paint” avverte Gregor Muir nella imperdibile mostra che allestirà la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo a Torino dal 29 ottobre al 1 febbraio.
Imperdibile a cominciare da Mr. Muir : ora curatore dell'ICA di Londra e un tempo compagno di scuola di Damien Hirst e fratelli al Goldsmith di Londra. Su quella storia Muir scrisse un autobiografia irresistibile ( peccato che non fu tradotta in Italia) “Lucky Kunst” dove narrò le vicende di questi scriteriati che preparavano l'assalto all'arte mondiale.
Lui non era un artista abbastanza scatenato e si limitò al fiancheggiamento. Ma la sua ironia e l'intelligenza furono comunque essenziali all'impresa. Ora dopo essere passato nella pancia della balena ed aver diretto la ede di Piccadilly della potente Hauser&Wirth Gallery, è tornato al ruolo più squisitamente intellettuale. Ed eccolo dirigere una rassegna sui confini della pittura che narra di esperimenti ai limiti tra colore reale e immagine virtuale, bidimensionalità del quadro e costruzione di spazio, performances impastrocchiate di colore e annullamento del disegno.
Generazioni miste che spaziano fra i nati negli anni Cinquanta a quelli degli anni Novanta . E una carrellata di caratteri e ricerche che val la pena di memorizzare. Bel oltre le star ( tipo Christopher Wool e Oscar Murrillo, che pur ci sono) da non perdere la minacciosa e totale pittura di Korakrit Arunanondchai +o le performances pazzerrelle di Parker Ito pane, computer, nerd di genio.
Ecco vita, lavoro e colorati miracoli di tutti gli artisti in mostra
Korakrit Arunanondchai b. 1986
Residente e attivo a New York e Bangkok, Korakrit Arunanondchai si muove fra più forme espressive, quali pittura, performance e installazioni multimediali. Utilizzando materiali ‘democratici’ di uso quotidiano, che vanno dal tessuto jeans alla candeggina e al fuoco, Arunanondchai fonde la cultura asiatica e quella occidentale, proponendo una visione caleidoscopica della spiritualità orientale e della commercializzazione occidentale. I suoi dipinti su tela di jeans costituiscono un filone unico all’interno di una pratica complessa e articolata; incorporano immagini fotografiche di parti bruciate del tessuto, stampate a laser e ricollocate esattamente nel punto in cui il tessuto è bruciato: in tal modo la presenza eterea del fuoco si fonde con il linguaggio universale veicolato da un materiale che è ormai la norma a livello mondiale. Korakrit, che ha iniziato la sua attività di artista utilizzando Microsoft Paint, ha di recente presentato una serie di ambiziose performance insieme al collega boychild, e un’installazione presso il Museum of Modern Art di New York. L’opera di Korakrit dunque, nel corso del tempo, ha raggiunto un sempre maggior grado di elaborazione, e può essere presa a modello per stabilire una connessione fra pittura e arti performative.
Isabelle Cornaro b. 1974
Residente a Parigi, Isabelle Cornaro crea filmati, sculture, disegni e dipinti. Le opere in mostra appartengono alla serie Reproductions, un ciclo di dipinti spray a muro, lavori basati su un suo film in 16mm, “Floues et Colorées” (Sfocato e colorato). Nel film Cornaro documenta la realizzazione veloce e spontanea di 10 piccoli dipinti a spray, filmando dalla prospettiva dell’artista. Reproductions sono versioni ingrandite dei dipinti del film, le cui dimensioni sono specifiche rispetto alle propoporzioni dei muri su cui sono realizzate. Cornaro rivisita il tema classico dell’autonomia dell’opera d’arte, portando in primo piano l’idea che la pittura sia fondamentalmente il tentative di riprodurre qualcosa di esistente in un altra forma e materiale: in questo caso, il film di un dipinto e il dipinto di un film.
Le opere citano anche gli esperimenti col film di un innovatore come Oskar Fischinger, le cui opere creavano un gioco armonioso di suoni e ed elementi visivi astratti. Questi film, noti come “poemi ottici”, facevano riferimento a un vocabolario pittorico che includeva paesaggi e monocromi, astrazioni e geometrie, gli stessi riferimenti delle opere di Cornaro.
Jeff Elrod b. 1966
Jeff Elrod si divide fra Marfa, Texas, e Brooklyn, New York, creando quadri che combinano astrazione pittorica e tecnologia digitale. Definisce le proprie opere come copie fatte a mano di originali digitali, e attribuisce l’origine della sua pratica a un periodo della sua vita, negli anni Novanta, trascorso lavorando di notte come tecnico addetto alla composizione delle fotografie per il quotidiano Houston Chronicle. Approfittando delle stampanti e dei computer dell’ufficio, Elrod iniziò a utilizzare un mouse per dipingere; da allora, ogni giorno rincasava con una quantità sempre maggiore di disegni. Tuttora, Elrod coltiva interessi artistici più tradizionali insieme a quello per i media digitali, producendo immagini ibride che incorporano ciò che lui stesso definisce tecniche ‘analogiche’: acrilico, nastro e pittura spray, ma anche disegni digitali ‘senza attrito’, in cui impiega software che conosce bene, come Illustrator e Photoshop. Dopo aver proiettato i suoi disegni digitali sulla tela, con lo spray ne ripassa le linee, coperte dal nastro adesivo, che viene poi rimosso rivelando l’opera finita.
?Nikolas Gambaroff b. 1979
Nato in Germania e oggi attivo fra New York e Los Angeles, Nikolas Gambaroff si occupa del linguaggio utilizzato nella comunicazione pubblica (carta stampata, pubblicità, poster di supermercati) ma anche del linguaggio architettonico degli allestimenti nello spazio espositivo ‘sacralizzato’ che tutti conoscono come white cube. Negli ultimi anni Gambaroff ha iniziato a impiegare una tecnica di decollage in cui applica la pittura spray a strati, fra pagine tratte dai DC Comics e dai quotidiani, per produrre righe che hanno l’aspetto di un corsivo calligrafico, alfabeti e pennellate astratte. Seguendo questa modalità riduzionista di mark-making, rimuove poi parti della superficie rivelando gli strati sottostanti.
L’utilizzo di carta stampata, fumetti e poster inonda le opere con il linguaggio dei mass media, oltre a evocare la prima Pop Art, quando ci troviamo a seguire storie prese da fumetti come Swamp Thing. A parte i fumetti, all’interno degli strati del collage scopriamo titoli di giornale, personaggi pubblici, pubblicità di film e di accessori di lusso, in cui testo e immagini sono ridotti a frammenti privi di senso. Un tipico allestimento di Gambaroff consiste in quadri che si espandono fino a diventare forme scultoree; o di collage che si estendono fino a ricoprire mobili domestici come tavoli e sedie, sparsi per la galleria. Mantenendo le sue curatissime composizioni sospese fra attualità e fantasia fumettistica, Gambaroff mette alla prova l’idea che il pubblico ha della pittura e della sua capacità di abitare un muro ma anche di attivare uno spazio.
Nathan Hylden n.1978
Il lavoro di Nathan Hylden, artista di base a Los Angeles, si fonda su un’analisi della pratica pittorica, con un approccio autoriflessivo che pone al centro l’esperienza personale di creare ed esporre arte. Hylden pensa alla pittura in termini temporali, sia come rappresentazione sospesa di un processo, sia come proiezione continua di un effetto visivo. Lo studio, come luogo reale e simbolico di venuta al mondo dell’opera, è un protagonista ricorrente delle immagini create da Hylden. In questa serie di dipinti su alluminio, l’immagine iniziale è una fotografia fatta in studio, la foto di un brandello di muro su cui si staglia l’ombra di un oggetto, una sedia, un cavalletto, la macchina fotografica stessa. Le foto sono serigrafate su fogli di alluminio che vengono in seguito sovrapposti; su di essi Hylden interviene con una serie di azioni e strumenti pittorici, dalla vernice spray alla pennellata gestuale. Ogni opera riceve una parte di questi gesti, divenendo un elemento di un’immagine più ampia o, piuttosto, un fermo immagine nel processo evolutivo di un unico dipinto-film.
Parker Ito n. 1986
“Mi piace moltissimo Internet”. Nato a Ventura, California, e attualmente attivo fra New York e Los Angeles, Parker Ito lavora con pittura, scultura e video. I contenuti e le immagini inseriti nelle sue opere sono selezionati navigando sul web e poi assemblati in collage o sottoposte a morphing digitale. Nei suoi quadri, Ito esplora l’idea secondo cui internet sta cambiando sempre più il nostro rapporto con il mondo reale. The Most Infamous Girl in the History of the Internet è una serie iniziata con l’immagine di una giovane donna sorridente, che viene spesso utilizzata sui siti web il cui dominio è scaduto. Utilizzando un servizio online cinese per ingrandire le immagini sulla tela, Ito rielabora più e più volte questo ritratto casuale ma produttivo. Esaminando il modo in cui la produzione e il contenuto dell’arte sono divenute universalmente accessibili, Ito evidenzia l’involontario impatto della tecnologia sulla nostra esperienza della pittura. L’artista, che si definisce un YIBA (Young Internet-Based Artist), ha anche creato un alter ego di nome Parker Cheeto the Net Artist, il cui lavoro offre una panoramica sulla prassi di Ito piuttosto che concentrarsi su singoli progetti.
Oscar Murillo n.1986
I dipinti di Oscar Murillo derivano da un lungo processo di sedimentazione, che si forma in una stasi produttiva che avviene in mezzo alla polvere dello studio dell' artista. Le opere sono poi sviluppate ed esposte orizzontalmente, o trasformate in oggetti simili a stendardi composti formati da parti differenti di tela cucite assieme. Le sue opere, sempre di grande formato, implicano azione, performance, e caos, ma sono il frutto di una grande pianificazione. Che si tratti di dipinti, opere video o interventi performativi, è sempre centrale nei suoi lavori il concetto della comunità, che ha origine dalla sua personale biografia di immigrato colombiano a Londra. Murillo spesso crea situazioni o eventi in cui cerca di mettere in relazione questi mondi distanti, ovvero la sua terra d’origine, una Colombia povera e operaia, e il jet-set dell’arte, all’interno del quale è un giovane artista di grandissimo successo.
Diogo Pimentao n.1973
Il disegno è l'asse centrale del lavoro di Diogo Pimentão, artista portoghese di base a Londra; il disegno viene concepito come forma di contatto tra la materia e il supporto attraverso il gesto ripetitivo dell'artista. La superficie diventa texture: cercando di marcare i segni dei suoi gesti, sottolinea la volontà di esplorare il concetto di tattilità e dello spazio stesso. La performance diventa una forma di condivisione dell'opera con l'artista e con il pubblico, originando opere che diventano dimostrazione e traccia di un processo. I disegni non sono più piatti ma escono fuori dalla tela, dal foglio, per interagire con lo spazio, rendendolo il proprio habitat attraverso l'atto performativo.
Le opere in mostra esemplificano perfettamente il suo lavoro. Tele che diventano superfici scultoree, che modificano la percezione dello spazio invadendo la parete e il pavimento in modo apparentemente casuale. Un'insieme apparentemente di grandi monocromi scuri, che da vicino rivelano invece tutta la vita che hanno memorizzato, i gesti e le azioni dell'artista.
A sua volta la scultura collocata a parete, creata con l'uso dei materiali a cui Pimentão è così tanto legato, rappresenta bene il costante dualismo contrapposizione / accordo tra disegno e scultura: una scultura decontestualizzata tramite la collocazione a parete e tramite l'uso di materiali distanti dalla scultura canonica
Pamela Rosenkranz n. 1979
La pratica di Pamela Rosenkranz si configura come la tessitura di una fitta trama di nodi significanti, in cui le singole opere sono in perenne connessione, all’interno della stessa mostra e a distanza, in luoghi e tempi differenti. Un materiale può ricorrere in quanto richiamo metaforico di una serie di tematiche, politiche, sociali e filosofiche; il suo impiego si declina attraverso media e tecniche differenti, mettendo in campo questioni di estetica e di storia dell’arte.
Il corpo è un tema centrale nel lavoro dell’artista. Un corpo privato della soggettività, un involucro vuoto, che diviene pura epidermide attraverso l’abuso promozionale che ne fanno i colossi del commercio di bellezza e benessere. Un corpo fragile, minacciato, così come viene evocato dai telini isotermici che Rosenkranz impiega nella scultura e nella serie pittorica in mostra.
Questo materiale tecnico, impiegato per stabilizzare le condizioni termiche di un corpo traumatizzato, si caratterizza per la doppia superficie metallica, argentea da un lato e dorata dall’altro. La coperta si fa tela e diviene supporto per una pittura di chiara matrice espressionista, dove le forme ambigue evocano il corpo umano soprattutto attraverso la cromia, le diverse gradazioni di tono della pelle. Rosenkranz crea un cortocircuito di senso che ironizza sulla classica associazione tra Espressionismo Astratto e affermazione immediata e profonda del sé – specificamente virile - mettendo in campo le più banali strategie di marketing che associano concetti quali la purificazione interiore e la bellezza della pelle. L’esaltazione dell’inconscio passa ormai attraverso una varietà di tonalità cosmetiche, in cui, come recita il titolo della serie, non resta più nulla da esprimere.
Ned Vena n. 1982
La pratica pittorica di Ned Vena, nato a Boston e residente a Brooklyn, è il risultato di un mix unico di Minimal, Pop e Street Art. Topoi classici della pittura modernista quali la griglia, la ripetizione, la serialità, la superficie sono gli ingredienti di base di un’arte estremamente auto-riflessiva, sempre pronta a disdire, trasformare, re-inventare le potenzialità espressive del medium. In primis attraverso un processo che mette in cortocircuito digitale, meccanico e manuale. Tipicamente lo strumento di partenza dei dipinti di Vena è un programma di grafica quale Illustrator, impiegato per tracciare delle linee che successivamente vengono stampate tramite plotter nella forma di maschere di vinile adesivo.
Queste sono quindi applicate sul supporto pittorico di lino e su di esse Vena dipinge con una bomboletta spray, per poi rimuovere il vinile alla fine, nella migliore tradizione del graffiti stencil, lasciandosi dietro sbavature, macchie, imperfezioni. Dalla macchina all’uomo, dal digitale al manuale, si amplia lo spazio rivendicato dalla materialità, che emerge protagonista anche grazie alla specificità dei pigmenti e degli strumenti pittorici impiegati da Vena. Invece che i tradizionali colori acrilici e ad olio, l’impiego di materiali di derivazione industriale, quali gomme e vinile, applicati tramite bombolette e adesivo, non solo è un ulteriore prestito dalla Street art, ma dà alle opere una particolare consistenza, una tattilità che disdice la piattezza e uniformità del pattern. La griglia si fa gommosa, malleabile, le linee si compongono e scompongono, in un gioco di pieni e di vuoti, di schemi e di improvvisazioni che avviene nell’esperienza irripetibile di ciascuna visione.
Christopher Wool n. 1955
Christopher Wool è considerato il più importante pittore americano vivente, una figura chiave per comprendere gli sviluppi recenti del discorso sulla pittura e il modo in cui le nuove generazioni si accostano a questo medium. Emerso nella seconda metà degli anni Ottanta, Wool ha portato avanti con estrema coerenza un approccio analitico e rigoroso alla pittura, investigandone le condizioni di esistenza e funzionamento. Avvalendosi di una serie limitata di strumenti e operazioni, ha esplorato senza sosta quello spazio liminale in cui l’autonomia della pittura è oggetto di continua negoziazione. Fin dagli esordi è fondamentale per Wool l’interazione tra procedimento e immagine: per le prime opere impiega rulli incisi con motivi decorativi floreali o geometrici, impressi in smalto nero su fondo bianco.
Dello stesso periodo sono i celebri “word paintings”, un cupo lettering realizzato a stencil, in cui parole isolate o frasi slabbrate si stagliano aggressive sulla tela, al bivio tra linguaggio e immagine, rappresentazione e astrazione. Questi, come i successivi lavori dominati da scarabocchi, cancellature, macchie e abrasioni, richiamano fortemente un’estetica urbana, brutale e decadente, come se il gesto pittorico volesse far eco al frastuono visivo della città. Ma il gesto che può sembrare immediato e rabbioso può anche essere estremamente calibrato, meccanico, clinico. Ciò che risulta più evidente nella serie di opere in cui Wool parte dalla fotografia digitale di un suo dipinto esistente, che viene successivamente serigrafato su una nuova tela, riprodotto tale e quale oppure rimaneggiato, vandalizzato e rinnovato da un intervento manuale. Sono immagini dall’identità ambigua, cloni inquietanti, frutto di un approccio analitico al fare arte, eppure ricchi di pathos e di energia, una dialettica inesausta che caratterizza tutta l’opera di Wool.
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