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“IL RIGORE SBAGLIATO CONTRO IL BRASILE IN FINALE NON ME LO PERDONO. QUEL GIORNO AVREBBERO POTUTO UCCIDERMI E NON AVREI SENTITO NIENTE” - BOMBASTICA INTERVISTA DI EMANUELA AUDISIO A ROBERTO BAGGIO - “NON GUARDO LE PARTITE. IN QUESTO CALCIO SAREI ANCORA PIU' COMPETITIVO. E VI SPIEGO IL MOTIVO" – IL RETROSCENA SULL'ADDIO ALLA FIORENTINA - LE BORDATE AGLI EX COLLEGHI "CHE SENTENZIANO DA PROFESSORI, MA LI RICORDO INCAPACI DI FARE TRE PALLEGGI CON LE MANI" – VIDEO

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Emanuela Audisio per il Venerdì - la Repubblica

 

roberto baggio

«Quelle due acacie sono alte più di venti metri e mi preoccupano. Possono cadere sulla casa, dovrò tagliarle, lo farò io». Vai a casa di Roberto Baggio e ti ritrovi a parlare di giardinaggio e di botanica. «Quelle piante sulla roccia, non hanno radici, la nevicata abbondante dell' inverno ha spezzato molti rami.

 

Ripulire tutto, lì davanti, mi è costato fatica». Lì davanti sono 40 ettari, prati, colline, un bosco. Molta terra, anche per un principe della zolla. I campioni che non esercitano più in genere ti spalancano la porta sul loro grande passato: la camera con vista è sempre quella. Con Baggio no, il panorama cambia. Era così anche con Roger Bannister, mito dell' atletica, l' uomo che nel '54 riuscì nell' impresa titanica: correre il miglio sotto i 4 minuti. Viveva a Oxford e se gli chiedevi del record si infastidiva, ti mostrava l' unico trofeo che gli era caro: un obelisco di vetro, premio dell' Accademia americana di neurologia.

 

Bannister era sir, ma ci teneva a parlare di quello che era diventato (uno stimato dottore) e non di quello che era stato (un grande atleta).

roberto baggio

Roberto Baggio, l' ultimo attaccante italiano Pallone d' Oro ('93), l' unico azzurro ad aver segnato in tre mondiali ('90, '94, '98), nove gol, dà la stessa impressione. Di uno che è stato capace di uscire dal campo anche con la testa. In uno sport dove le stelle a quarant' anni faticano a lasciare: da Rossi (moto) a Federer (tennis) a Ibrahimovic (calcio) a Valverde (ciclismo), Baggio se n' è andato alla stessa età in cui oggi Cristiano Ronaldo gioca e fa programmi per il futuro.

 

In questo è l' anti-Totti, parafrasando: speravo de lascià prima. «Lui non voleva smettere, io non vedevo l' ora. Lasciare mi ha ridato vita e ossigeno, stavo soffocando, troppo male, dolore fisico, quando da Brescia rientravo a casa, non riuscivo a uscire dall' auto, chiamavo Andreina, mia moglie, che mi aiutava ad aggrapparmi al tetto e poi a far passare il corpo. Ho sempre saputo che il calcio aveva una fine. La gente si stupisce: come, non metti più gli scarpini, non ti viene voglia? No, e allora? Bisogna che ci mettiamo d' accordo: quelli che senza pallone si sentono appagati e felici sono dei falliti?».

 

roberto baggio 5

Le porte si chiudono, le luci si spengono, via la corrente. Baggio a 54 anni non compare in tv, non esiste sui social, non presenzia, non celebra, non siede su una panchina, non è testimonial. Ei fu. Come Mina, si è sottratto. La vita è altro, è splendida normalità, da uomo non illustre. È fare manutenzione, prendersi cura, vivere, non sopravviversi. «Spacco la legna, uso il trattore, l' escavatore, la sera sono così stanco che mi gira la testa». Si pranza con il panorama che entra dentro casa e con lambrusco, prosciutto, pomodori, hummus di ceci preparato dal figlio Mattia, molto bravo in cucina. Il ciak del film Il Divin Codino è in bella mostra su un mobile. «Però quell' erba va tagliata, laggiù ci sono i carpini, querce, olmi, noccioli, e queste azalee sono bellissime. Mi devo ricordare del concime».

 

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lettere dal mondo Andreina è appena tornata con il borsone della posta e sparpaglia le buste sul tavolo. Anche oggi le lettere sono tante, vengono dal Giappone, dalla Gran Bretagna, dalla Cina, dalla Polonia, dalla Germania: maglie, figurine, richieste di autografi. Roberto firma tutto personalmente. Sono passati 17 anni dall' addio. Baggio si è reso invisibile, ma per il mondo non ha mai smesso di essere Baggio. Uno diverso. Buddista per caso e poi per scelta.

 

«C' è altro, ci sono gli altri, e c' è il momento in cui non dipendi più dal giudizio di chi ti guarda. Mi sono distaccato dal pallone, ma ci sono cose che fanno male, come la morte di Paolo Rossi. Faccio fatica ad accettarla e non c' entra il valore del personaggio, è per la tristezza e l' amarezza. Si era rifatto una vita, aveva due bimbe, una famiglia, anche lui la passione per la terra, meritava di avere tempo. Invece niente, tutto finito.

 

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Se da Maradona ti aspettavi una fine improvvisa, da Paolo no. Penso a quando ai tempi dell' austerity sulla canna della bici di mio padre Florindo andavamo da Caldogno e Vicenza, di sera, a vedere giocare Rossi, io ero piccolo e mi aggrappavo alla recinzione del parterre. Venti chilometri tra andata e ritorno, il sedere che mi faceva male, il corpo paralizzato dal freddo, ma con la fantasia che un giorno avrei giocato in quel campo. Perché io prima di tutto sono stato un tifoso».

 

«Mamma, ammazzami» Florindo, scomparso l' anno scorso, c' è molto in Il Divin Codino in uscita su Netflix: un padre chiuso, introverso, incapace di dimostrare affetto. «Papà era duro, di origini umili, aveva vissuto la povertà e la guerra, a casa con lui non ti potevi confrontare, non ti dava soddisfazione, né avevi modo di dire la tua. Era prigioniero della sua timidezza e di un' educazione che non ammetteva aperture, ma mi ha insegnato a dare tutto e a non avere rimpianti.

 

roberto baggio

Mi ha amato, con i suoi modi. Otto figli da crescere, per lui che aveva una piccola azienda di infissi non è stato facile. Da ragazzo non ci vai d' accordo con tuo padre, ti dici mai sarò così, poi ti ritrovi genitore e ti scopri a ripetere le sue stesse parole». Ma è alla madre Matilde che lo assiste in ospedale che Roberto, devastato dal dolore, dice: se mi vuoi bene, ammazzami. E lei in risposta: tu sei matto. «Avevo 18 anni, mi ero rotto crociato anteriore, capsula, menisco e collaterale, per un atleta allora era la fine, mi operò il professor Bousquet a Saint-Étienne: 220 punti interni, bucò la testa della tibia con il trapano, tagliò il tendine, lo fece passare dentro».

roberto baggio

 

Se Totti è stato sempre di Roma (e a Roma), Baggio è stato un segno universale.

 È arrivato in Nazionale con cinque squadre: Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna e Inter. Convocato da quattro allenatori diversi: Vicini, Sacchi, Maldini e Zoff, ma osteggiato e contestato da molti di più. «A tutti sembra strano il mio disinteresse, non guardo le partite, non mi divertono quasi mai. Dare giudizi sugli altri mi mette a disagio, non vado in tv, vedo ex colleghi che sentenziano da professori, ma me li ricordo incapaci di fare tre palleggi con le mani. Ho la fortuna di aver fatto il calciatore e poi di aver trovato qualcosa che mi dà soddisfazione: arare, spalare, piantare. Però capisco chi fa altre scelte.

 

roberto baggio

A Totti, quando l' ho incontrato, ho detto: gioca fino a quando puoi. E anche Ibrahimovic è di quel genere. Se sei felice di dare gioia agli altri, quando te ne viene negata la possibilità, stai male. Io ora preferisco il basket, tifo Lakers, mi era simpatico Shaquille O' Neal, tifavo per Kobe, adoro LeBron, e andavo pazzo per Bolt, per la sua leggerezza caraibica e per la musicalità che hanno quei popoli. Mi piace il calcio femminile perché le donne hanno passione e carattere, a Bologna ho fatto riabilitazione con Daniela Tavazzi, ex giocatrice, una fortissima personalità. E poi ho una nipote di 18 anni che gioca. Non parlatemi del golf, non lo capisco, mi annoia, l' ho provato e non cambio idea».

ANTONIO CASSANO E ROBERTO BAGGIO

 

che pena gli stadi vuoti Squilla il cellulare, molta armonica, la suoneria è di Bruce Springsteen, The Ghost of Tom Joad: "Cercami e ci sarò, ovunque qualcuno lotta per la libertà".

Nel salone c' è il biliardo e al primo piano la stanza delle preghiere, Baggio medita mattina e sera, in tutto un' ora al giorno. Anche Andreina è buddista, mentre Valentina, la figlia grande, e gli altri due, Mattia e Leonardo, non sono estranei a questa filosofia, ma non praticano. «La pandemia l' ho vissuta come tutti, a casa, con tristezza per chi ha perso lavoro e affetti e pensando a come ci ha trasformati: prima nel supermercato se entravi con la mascherina eri un ladro, ora sei un cittadino responsabile.

 

BEPPE SIGNORI ROBERTO BAGGIO

Ma gli stadi senza pubblico mi fanno piangere: senza gente che corri a fare? E poi non capisco questa società ipersensibile verso le bestie e indifferente all' umanità. Ho appena visto la pubblicità di un cibo per gatti castrati: ma ci sarà una differenza tra chi muore di fame e non ha da mangiare, 135 milioni persone nel mondo, e l' attenzione agli animali domestici? Lo dico da uomo che ha due cani, Miele, un labrador, e Lady, un bracco tedesco. Mi incolpano di essere un buddista col fucile, di andare a caccia, di togliere la vita, ma voi il pesce lo mangiate e chi uccide il tonno per voi, e i polli e i maiali e i bovini e i conigli e le anatre? Ho querelato per diffamazione il presidente di un' associazione animalista e ho vinto la causa perché sono stato minacciato da un suo gruppo. A me della caccia piace il prima e farei anche a meno dello sparo, ma essere trattato da assassino non mi va».

roberto baggio a caccia

 

Baggio in campo faceva le sue magìe, ma la sua diversità dava fastidio.

«Ero accusato di non essere un leader, ma se devi sbraitare per far finta di comandare, grazie no. Non saltavo gli allenamenti, non andavo in discoteca, né alle feste, eppure i nostri ritiri erano noiosi, solo carte e ping-pong, altro che tablet e playstation, sarei contento se chi mi criticava chiedesse oggi ai miei ex compagni che cosa pensano di me. Va di moda dire: in questo calcio non sarei competitivo. Falso, lo sarei molto di più, perché ora gli attaccanti sono molto più protetti, prima i difensori miravano alle gambe, prendevi anche pugni e gomitate in faccia, le entrate da dietro non erano sanzionate. E sono per la Var, almeno c' è una regola, brutale forse, ma c' è».

roberto baggio a caccia1

 

Prima che arrivassero i premier europei (contro la naufragata Superlega) a spiegare che il calcio è un fenomeno sociale, Firenze - che già aveva fatto scoprire e definire la sindrome di Stendhal, cioè lo stato di allucinazione dovuto alla bellezza dell' arte - nel '90 scese in piazza per non separarsi dal suo capolavoro Baggio. Anche le nonne protestarono dalle terrazze gettando vasi di fiori contro gli agenti. Tanto che uno stupito questore, dopo aver disposto il coprifuoco, parlò della rivolta come di «una psicosi di folla».

roberto baggio in tribunale

 

La città era impazzita. E per cosa poi? Per un bizzarro Michelangelo veneto che dava felicità con un dribbling e un colpo di tacco. Roberto si sistema il codino, ormai argentato, si tocca il pizzetto, nei suoi occhi quella Firenze c' è ancora. «Si chiama riconoscenza e l' ho provata per una città che mi ha aspettato per due anni, anzi tre. Quando io ero rotto, con le ginocchia sfasciate, la città mi ha coccolato e rispettato. Non solo. Una volta torno alle tre di notte da Cesena, dove avevo segnato due gol con la Nazionale, e il viale che porta da me è pieno di gente che vuole festeggiarmi.

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Come fai a dimenticarti una cosa così? Io non volevo lasciare la Fiorentina, avevo 23 anni, stavo comprando casa, mi ero sposato, aspettavamo una bambina, ma ho scoperto che i proprietari uscenti, i Pontello, mentivano, mi avevano già ceduto agli Agnelli. Sono andato due volte a Roma a parlare con Cecchi Gori e la seconda lui mi dice: se non vai alla Juve non mi fanno comprare la società. E così sono passato per mercenario.

roberto baggio

 

Hanno scritto che non avevo carattere perché a Firenze con la Juve mi sono rifiutato di battere un rigore contro la Fiorentina, ma ero già d' accordo con il mio allenatore Maifredi che se ne sarebbe occupato De Agostini, perché il portiere era Mareggini con cui mi ero allenato per anni e che mi conosceva benissimo. Sacchi non mi ha portato agli Europei del '96, dopo la finale mondiale '94, voleva dimostrare che gli schemi sono più importanti dei giocatori, e l' Italia non è arrivata ai quarti.

 

roberto baggio

Avevo 29 anni, ero da buttare? No, ma per loro ero svogliato, non rincorrevo il difensore, ero un disubbidiente, non adatto al calcio moderno, quello che oggi vorrebbe decidere chi ha i titoli per giocare la Superlega».

 

Il cielo si annuvola, Baggio controlla le gobbe del terreno, spiega che quel rampicante, gelsomino del Madagascar che si chiama floribunda, è il preferito della moglie, poi ci sono le piante giapponesi. «La natura ti dà le chiavi per poter essere felice, sta a te saperti riempire la vita, saper usare le mani e non solo i piedi, lavorare in campagna è faticoso, ma alle fine sei tu che scegli i colori del tuo quadro».

diego armando maradona e roberto baggio partita della pace

 

Baggio meritava il quarto Mondiale, Corea-Giappone 2002, ma Trapattoni cambiò idea e decise di no. Nel film quel brutto momento è ben descritto.

«A Bologna mi aveva ceduto il legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro. Sono tornato in campo a 70 giorni dall' operazione, 3 gol nelle ultime tre partite. Per recuperare la forma mi sono spinto negli esercizi al di là del limite. Tutto inutile. A fare la mia parte nel film è Andrea Arcangeli, l' ho visto e mi è piaciuto, racconta quella che è stata la mia vita.

roberto baggio

 

Non ce l' ho con gli allenatori, credo che una certa gelosia da parte loro ci sarà sempre, noi abbiamo i piedi, loro la lavagna. L' unico con cui mi sono trovato bene è stato Carletto Mazzone, perché era un uomo libero e realizzato, e non si metteva in competizione con i giocatori. Ad ammazzare me e tutti quelli come me è stato il calcio tattico, scendere in campo solo per neutralizzare gli altri. Ma se il gioco diventa solo un affare, che esclude il gioco, non ha più senso. E non può essere normale che uno come Zola sia dovuto andare in Inghilterra perché in Italia non lo voleva nessuno».

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il buddismo non basta E se invece che di piante che crescono parlassimo di karma che annientano?

Di un destino bastardo che sta sempre lì in agguato per fulminarti? In natura c' è un balsamo che non fa più ululare dalla disperazione? «Ah, il rigore di Pasadena, l' unico che nella mia vita ho tirato alto e non so perché, avrei preferito prendere il palo o che me lo parasse il portiere.

 

foto guardian spogliatoi roberto baggio gianni agnelli

Ma spararlo così nel cielo, no, ancora non me lo perdono. Non c' è religione, buddismo, non c' è dio che tenga, né l' amore dei tuoi cari, niente ti aiuta. Ho sofferto, mi sono sentito deluso da me stesso, ho pianto tutta la notte tra le braccia della mia famiglia. Fin da bambino speravo di giocare la finale mondiale contro il Brasile, ma non con quel risultato. E poi ho passato sere a sognare che lo buttavo dentro. Ma quel giorno avrebbero potuto uccidermi e non avrei sentito niente».

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A vederlo bene il prato davanti alla casa ha le misure di un campo da calcio, ma senza righe né porte. E allora, buona primavera al melo dell' Everest e a chi gioca con tutto.

 

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