DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Francesco Persili per “Dagospia”
«Riprendere Berlino. O meglio riprenderci a Berlino». Parte dalla capitale tedesca l’avventura dell’Italbasket e Marco Belinelli fa il verso agli Afterhours per guidare l’assalto degli azzurri a stelle e strisce all’Europa dei canestri (che parte oggi a Berlino contro la Turchia). Lui, Andrea Bargnani, Danilo Gallinari, insieme a Gigi Datome che ha lasciato Boston per andare in Turchia, sono gli assi NBA della pallacanestro italiana. L’ultima volta insieme, nel 2011 in Lituania, fu un superflop per la Nazionale.
L’attesa di un riscatto è stata fin troppo lunga. «Ora voglio vincere. La Nazionale è un mezzo pazzesco per dare segnali», ruggisce “Beli” - che dopo essere diventato il primo italiano a vincere la gara del tiro da 3 punti all’All Star Game e il titolo NBA con San Antonio - adesso vuole provare a salire sul tetto d’Europa con la maglia azzurra. Vedi alla voce riconoscenza. «Senza la Nazionale, l’Nba l’avrei raggiunta con maggiori difficoltà». Rewind. 23 agosto 2006, Sapporo, Giappone, quinta partita del girone ai mondiali di Basket, Italia contro Stati Uniti. Triple, schiacciate, è Belinelli show. Il Dream Team,alla fine, vince ma tutti cominciano a guardare con occhi diversi quel ragazzetto smilzo con la faccia da sfinge. Un pokerista a canestro. Pokerface.
LA COVER DEL LIBRO DI MARCO BELINELLI
10 mesi più tardi il commissioner Nba, David Stern, chiama il suo nome al “draft” del 2007. Si può dire che la carriera di Belinelli nel campionato più bello del mondo sia iniziata lì, a Sapporo, con la maglia della Nazionale. In realtà era iniziata molto prima. Nel momento in cui il nonno cementò un canestro nel giardino di casa e quando alle elementari “Beli” mise per iscritto in un tema il suo obiettivo: «Da grande voglio fare il giocatore di pallacanestro».
Perché se sei nato a metà degli anni ’80 a 20 chilometri da Bologna «la pallacanestro non può non aver sfiorato la tua vita almeno quanto il tortellino in brodo» (ché il vero tortellino bolognese è solo in brodo), sostiene Belinelli nel libro “Pokerface. Da San Giovanni in Persiceto al titolo NBA”, scritto con il giornalista di Sky, Alessandro Mamoli, e pubblicato da Baldini&Castoldi.
Ferri duri e sogni a colori. Tabelle sbattute e nottate davanti alla tv a divorare con gli occhi le prodezze dei mostri sacri della NBA (Michael Jordan in testa). Il provino con la Virtus e gli anni d’oro sotto le due Torri (Bologna era “Basket City”), prima di conquistare l’America. All’inizio era “l’uomo sbagliato”, poi il finale da film. “Belissimo”.«Nessuno credeva in me. E alla fine ho vinto», disse in lacrime dopo la vittoria del titolo NBA. Più “Rocky che Pokerface. Belinelli ha dimostrato di non essere un bluff. «Sacrifici e pazienza alla fine pagano». Ma il successo non l’ha aiutato a rimorchiare senza problemi: «Non sarò ben pagato come altre stelle della NBA ma nei miei otto anni americani raramente ho trovato ragazze nelle hall dell’albergo che aspettavano i giocatori. Il rimorchio facile dello sportivo famoso è una leggenda da ridimensionare…». Parliamone.
BELINELLI BARGNANI DATOME GALLINARI
Intanto quel ragazzo con le orecchie a sventola e i capelli corti partito da un playground tra i pioppi tristi di San Giovanni ha incontrato il suo idolo Kobe Bryant (“Mi diede anche il suo numero di telefono ma l’ho perso”), è finito in prima serata con Fabio Fazio, in giuria a Miss Italia ed è stato ricevuto, dopo l’anello con San Antonio alla Casa Bianca, da Obama, tifoso sfegatato dei Chicago Bulls, che quando l’ha visto ha detto: “Manchi alla nostra squadra”. What else? Un contratto da 6 milioni di dollari con i Sacramento Kings.
Ma nulla vale una vittoria con la Nazionale. Anche per mettere a tacere quelli che lo hanno accusato di snobbare l’azzurro. Golden State, Toronto, New Orleans (“c’erano i coccodrilli vicino al campo di allenamento”), Chicago, San Antonio: se c’è una cosa che gli anni americani gli hanno insegnato è quella di “farsi trovare pronto”.
Accanto a lui ci sarà un altro americano, Andrea Bargnani, col quale ha giocato insieme a Toronto: «In quell’anno non mi fu particolarmente d’aiuto. Siamo usciti tre, quattro volte. Ma non perché lui non volesse o avessimo un cattivo rapporto. Lui è una persona riservata che preferiva stare in casa a giocare con la Playstation. A me, invece, piace uscire, conoscere le città, provare ristoranti nuovi, godermi la vita». I gemelli diversi del basket italiano, col “Gallo” e Datome, proveranno a riportare l’Italia nell’Olimpo della pallacanestro continentale. Anche se il girone con Spagna, Serbia, Germania e Turchia fa tremare le vene ai polsi. Ma se la palla scotta, c’è sempre “Beli” che non ha mai paura di prendersi responsabilità e tiri decisivi. Con la sua solita faccia a metà tra Pokerface e Rocky e l’entusiasmo di quel ragazzo di San Giovanni in Persiceto che giocava al playground. Bello, Belissimo.
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