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BOLOGNA LA ROSSA - J'ACCUSE DI ANGELA VETTESE, NUOVA DIRETTRICE DI ARTE FIERA: “GLI ARTISTI ITALIANI OGGI NON HANNO BEN CAPITO DI VIVERE UN MOMENTO TRAGICO. IO NON AMO L'ARTE DIONISIACA, PERÒ GIRO IL MONDO E VEDO ESPERIENZE MOLTO PIÙ ENTUSIASMANTI LADDOVE I PROBLEMI ENORMI SONO PERCEPITI COME TALI”

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Roberta Scorranese per il Corriere della Sera

 

Si comincia con il parlare di Casorati e della quieta monumentalità di Piero della Francesca ma ci si ritrova a discutere con naturalezza di produzione agricola, delle porcellane di Deruta o delle arance Tarocco.

 

Sì, forse Angela Vettese è proprio la persona adatta a guidare la nuova era della storica fiera bolognese, in un' epoca in cui - come non mai - l' arte finisce per contaminare ogni aspetto della nostra vita: è parte della quotidianità, della discussione sui social , dei pomeriggi domenicali nei musei.

 

«Ci pensi: gli italiani amano decorare le proprie case, molti hanno qualche quadro o pezzi di design, il pubblico delle mostre è in aumento», osserva la nuova direttrice artistica, annunciando la sua piccola rivoluzione a BolognaFiere. Meno gallerie (cosa di per sé coraggiosissima), più curatela, più spazi per gli indipendenti, una sezione di fotografia, la presenza dell' editoria d' arte. «Insomma - riassume - la qualità prima della quantità».

 

Sembra un manifesto.

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«Lo è e non solo per Arte Fiera. L' Italia si impone nel mondo per l' alta qualità dei suoi prodotti, dal vino alla moda. Non abbiamo le distese dell' Ucraina per poter puntare su prodotti di qualità media. E io credo che l' arte vada considerata un segmento molto simile a quello che ricopre l' alta sartoria o il design».

Molti galleristi esclusi non saranno stati contenti.

«No, ma il mio è un progetto a lungo termine, i cui risultati si vedranno nel tempo. E ringrazio tutti, istituzioni locali comprese, per la grande fiducia che hanno riposto in me. Sono convinta che in una fiera d' arte, dove il mercato è essenziale perché i galleristi devono vendere e gli appassionati devono trovare le cose giuste, la qualità non si debba disperdere, come potrebbe succedere in un megastore. Le cose belle devono risaltare».

 

Perché le fiere d' arte italiane attraggono pochi espositori stranieri?

«Per il problema comune a molti settori: le imposizioni fiscali fanno sì che sia più facile vendere all' estero. E poi ci vuole un consistente investimento da parte delle città. Spero che Torino, che investe molto nella sua Artissima, faccia un po' da pungolo per Bologna».

angela vetteseangela vettese

 

La rassegna di cinema, poi il documentario sugli artisti e le «Lectures», che allargano il discorso alla città. Un progetto curatoriale ambizioso.

«L' arte è al centro, pur ricordando bene che si tratta di una fiera mercato. Però ci sono sezioni come Nueva Vista , in cui ci si propone di rileggere criticamente artisti non necessariamente giovani. E c' è la sezione Fotografia in cui l' obiettivo è capire, se esiste, il confine che separa l' artista-fotografo da tutti coloro che possiedono uno smart device e si sentono fotografi».

 

Tutti critici, anche, visto che la divulgazione d' arte sta conoscendo una produzione vastissima e discutibile?

«No, credo che la divulgazione delle cose d' arte sia molto migliorata. Ho conosciuto tempi in cui, per parlare d' arte, pareva fosse d' obbligo citare, il più delle volte a sproposito, Derrida o lo stesso Agamben, che spesso si è tirato fuori».

 

È innegabile però che il discorso sull' arte abbia finito per prendere (o quasi) il sopravvento sulle opere e sugli artisti. Forse sono gli stessi creativi che convincono poco, con poetiche deboli?

«Credo che gli artisti italiani oggi non abbiano ben capito di vivere un momento tragico. In fondo, la famiglia, anche se ammaccata, regge bene come stato sociale; la maggior parte dei giovani, pur se tra mille difficoltà, ha una casa di famiglia e può ancora contare sul sostegno dei genitori. Questo li porta a usare un linguaggio rassicurante, o nel tema o nella forma.

 

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Anche quando ci sono esperienze più dirompenti (penso per esempio a Rossella Biscotti che ha realizzato bei lavori come quello sul caso Moro), trovo sempre una componente criptica, come se non si fosse convinti fino in fondo. Diceva un vecchio adagio cinese: Dannato è chi vive un tempo interessante . E questo è un tempo molto interessante. Ma noi siamo classici. Io non amo l' arte dionisiaca, però giro il mondo e vedo esperienze molto più entusiasmanti laddove i problemi enormi (che sono ovunque, lo ripeto, anche da noi) sono percepiti come tali».

 

È molto cambiata anche la figura del collezionista?

«Ci sono (ancora) quelli puri, ci sono i grandi progetti che muovono un Giuliano Gori a Pistoia o una Patrizia Sandretto. Ci sono le grandi banche che da decenni adottano opere d' arte.

 

Iniziativa questa meritevole, per carità, perché altrimenti molto sarebbe andato perso.

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Ma non credo che sia quella la strada. Il problema, ancora una volta, è la mentalità italiana che considera l' arte una forma di lusso e non come l' elemento che presto ci darà da mangiare (perché l' Italia deve puntare sul bello e di qualità): così i provvedimenti fiscali e le notifiche che arrivano quando si possiedono più opere di un autore, spingono molti collezionisti a prendere la residenza all' estero».

 

Un esempio?

«Nell' elenco dei trust della Serpentine Gallery di Londra lei leggerà il nome di Nicoletta Fiorucci. Una raffinata collezionista (della celebre famiglia produttrice di salumi, ndr ) che, come molti altri, ha deciso di portare le sue opere fuori da questo Paese. E potrei farle molti nomi. Ecco, l' arte italiana, il suo mercato e la sua produzione fieristica, cambieranno quando cambierà questo modo di pensare».

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