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SANREMO DIVENTA UN TALENT SHOW? LA SALA STAMPA RIBOLLE, SI SENTE DEFRAUDATA DEL POTERE DECISIONALE…
di Giancarlo Dotto (Rabdoman) per Dagospia
Poche storie. Se non vinci in qualsiasi modo partite come queste non vai da nessuna parte. Terza consecutiva. Bello che accada così. Con due classici. La punizione del pianista e l’autocelebrazione del cinquecentesco corazon de Roma. Pjanic e De Rossi. Quando le streghe già mozzicavano l’Olimpico. Fin lì era bastato un Empoli ordinato e pressante in ogni zolla del campo per fare della Roma un vorrei ma non posso.
Fin lì, fino a che non gli hanno messo la palla là dove lui diventa un bounty killer, era Pjanic nella sua versione più pallida, Salah in quella più timida e Gervinho più anarchica, sempre in fuori gioco e fuori tempo, un Florenzi meno tumultuoso del solito e Dzeko in panchina. Decisivo iniettare nella mischia il fin lì panchinato Nainggolan.
La palla con cui inventa il volo di Gervinho che poi inventa la folgore di Salah, è musica pura. E la Roma ridiventa quella bestia da gol, salvo poi beccare il solito, evitabile pallino, che rilancia i sospetti sulla lunaticità di Scezni, come si pronuncia. Altra ottima notizia. Il ritorno di Leo Castan dal primo minuto e mai visto così vicino alla sua voglia e soglia matta e mistica di tornare quello che è. La conferma di un Digne sempre più padrone della fascia. Dzeko si tiene caldo e sano per il Bayer di Champions
Peccato. Peccato che l’ovazione per le cinquecento volte goleade di De Rossi risulti ingenerosamente monca per via dell’assurdo cul de sac in cui si sono cacciati gli indignati della Sud, perseveranti e dunque diabolici nell’errore, spiazzati ma non dissuasi dall’uscita di un Pallotta Machoman che non ha esitato a darsi del fucking ed evocare tombe e padri estinti.
Non abbastanza per sminare quella che è a tutti gli effetti una guerra di religione altrui, là dove la religione dovrebbe essere casomai la Roma.
A seguire, la patta incombente tra due squadre che non ne vogliono sapere di perdere. Il Torino di Ventura per non spezzare qualcosa che somiglia a una spedizione onirica sull’Himalaya, il Milan di Miha per non precipitare il suo uomo tutto d’un pezzo nell’affollatissimo cestino dei mister scaricati dalla capricciosa divinità che li governa.
Il solito Bacca, appena entrato, illude e il solito Baselli disillude. Dura dieci minuti l’euforia rossonera, il massimo che gli è concesso di questi tempi. E bene gli va al penzolante serbo che Maxi Lopez butta via il 2 a 1, palla addosso al suo omonimo Diego Lopez. Milan impaurito che raccatta lo strizzato punticino dopo due sconfitte consecutive. Classifica che resta assai racchia, immaginando a fatica un futuro migliore.
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