FLASH! - LA DISCESA IN CAMPO DEL PARTITO DI VANNACCI E' UNA PESSIMA NOTIZIA NON SOLO PER SALVINI,…
Ivan Zazzaroni per www.corrieredellosport.it
Tutti cercano la persona speciale, Mourinho si preoccupa di esserlo sempre. Vale la battuta consegnata alla stampa subito dopo il pareggio-qualificazione col Vitesse: «Noi pensiamo a recuperare, Sarri fuma sigaretta». Così come la risposta negata a Zeman che sul nostro giornale l’aveva in qualche modo “ridotto”: «Io ho vinto 25 titoli, lui due serie B, non rispondo».
Quando c’è di mezzo Mou, le parole dicono una cosa e i fatti raramente la tradiscono. Per questo si sente (ed è) davvero “uno a parte”. La sua singolare ascensione romana, sostenuta fin dal primo giorno - e anche nei momenti difficili - dalla tifoseria, che l’ha eletto a unica guida, ha trovato proprio nella partita più sentita dell’anno una sorta di sublimazione.
Speciale, o diversamente normale, Mou lo è stato senz’altro ieri pomeriggio: nelle scelte e nel prodotto delle sue decisioni. Lui che mette i valori tecnici e la personalità dei giocatori davanti al resto, a tutto il resto, aveva fatto il possibile per recuperare in qualche modo Lorenzo Pellegrini, che nelle ore precedenti era stato male. E Pellegrini l’ha premiato. Inoltre ha dato di nuovo fiducia ai vent’anni di Nicola Zalewski, giusto per ricordare ai Friedkin, al pubblico e ai media che dal mercato aveva ricevuto Viña e Maitland-Niles. Ma, soprattutto, ha lasciato in panchina l’attesissimo Nicolò Zaniolo per riportare sulla trequarti Mkhitaryan e rendere più solido e protettivo il centrocampo con Cristante. Ha un senso perfino la continua rinuncia a Veretout, la scorsa stagione decisivo: il francese non è tranquillo, ha perso la serenità da quando sono sensibilmente peggiorati (un eufemismo) i suoi rapporti con chi l’assiste.
Mou è l’immagine di sé anche quando la sua parte dell’Olimpico comincia a irridere i laziali con gli olé e lui pretende che il coro si esaurisca in fretta perché sul campo l’avversario va rispettato: José non saprà perdere, ma sa certamente come si vince e come ci si deve comportare quando si è davanti e sopra.
Missione sin troppo semplice raccontare un derby che è cominciato uno a zero mandando immediatamente in confusione la Lazio, incapace di ragionare e riprendersi ma solo di incassare anche il secondo e addirittura il terzo gol nel giro di un tempo: date un vantaggio concreto a Mourinho, la cui squadra è inferiore a quella di Sarri - questo è un fatto -, e lui risolleverà il morale ai romanisti.
Il gol di Abraham, assistito dalla traversa, è stato un cazzotto al mento dei laziali, avvertito in particolare da Sarri: l’abbiamo visto camminare nervosamente su e giù lungo la sua area tecnica, indicare ad Acerbi che così non si fa, quando ha sbagliato un passaggio elementare, abbandonare a lungo quaderno e appunti. Per Maurizio il secondo derby stagionale ha sconfinato nell’allucinazione: non c’è stata costruzione dal basso né palleggio insistito e il possesso palla è risultato di un’inutilità sconcertante, troppi vuoti, impossibile indicare una sufficienza.
Date l’1-0 immediato a Mou - dicevo -, consentitegli di armare la difesa e il contropiede, e il gioco è fatto: la Roma non ha mai concesso ripartenze, spazi e verticalità agli esterni della Lazio e a Immobile, controllato da vicino da Smalling (tra i migliori) e Mancini.
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