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Andrea Saronni per “Libero quotidiano”
Ma ve lo immaginate uno come Maurizio Mosca ai tempi del Coronavirus? Un leone in gabbia, sicuro come l' oro. A dispetto delle 80 primavere che sarebbe stato lì per compiere.
Maurizio, devi stare in casa. «Ma come, ma io devo andare a lavorare».
Maurizio, stai a casa e ti facciamo collegare noi, con Skype. «Guarda che siamo a Mediaset. Cosa c' entra Sky».
Maurizio, fa tutto il cellulare. Lo stesso oggetto che molti anni fa, quando hanno fatto conoscenza, ha fatto una brutta fine: per la prima volta, a Mosca viene dato un telefono portatile dal suo aiutante-autista-factotum, che lo sta portando in Toscana per un impegno. Breve spiegazione: tutto semplice, no? Qualcuno aveva già il numero, e chiama Maurizio giusto tra le montagne dell' Appennino: squillo irritante, meccanismo incompreso e incomprensibile. L' ordine è quello di fermarsi alla prima piazzola: e il rivoluzionario strumento finisce la sua breve esperienza in una scarpata.
Quella più lunga - ma non lunghissima - di uno degli uomini seminali del giornalismo sportivo italiano è finita giusto 10 anni fa, al San Matteo di Pavia, vinto da troppi nemici, primo fra tutti un tumore che non è riuscito a impedirgli, fino alla fine, di essere Maurizio Mosca, di lavorare, di dire la sua, di scrivere, creare, sperimentare, andare in studio. Esserci, insomma.
Ci era riuscito anche da quel letto di ospedale, aveva convertito uno dei suoi marchi di fabbrica, il "Ce l' ho con", dalla televisione all' ancora imberbe sito Internet della testata sportiva di Mediaset, che decollava anche grazie a lui, a quel blog che faceva pensare a un Maurizio 2.0: in realtà, gli articoli li consegnava scritti a pennarello in calligrafia perfetta, pulita; e quell' ultimo contributo - ce l' aveva con Mourinho, che eccedeva nel vessare Balotelli - lo dettò da quella camera bianca, dalla quale non sarebbe più uscito.
Era un fiume sempre ricco e ogni tanto persino in piena, Mosca, che oggi - a dieci anni di distanza - deve venire definitivamente indicato come l' inventore dell' infotainement sportivo: e attenzione, che non significa affatto avere rinunciato alla professione, al taglio giornalistico.
Semplicemente, Maurizio ha dato vita di sana pianta a una maniera di comunicazione, a un messaggio legato al calcio (e non solo: è stato uno dei maggiori narratori italiani del pugilato, tanto per fare un esempio) che ha cambiato e ancora oggi influenza la maniera di raccontare il pallone e il suo immaginario.
Il grande Aldo Biscardi, per carità, ha altrettanti meriti: ma ricordiamoci che se nella sua lampada non ci fosse stato il genio Maurizio, forse oggi si parlerebbe di un altro Processo, di un altro calcio parlato in tv. Calcio parlato che in un momento del genere, senza il calcio giocato, sarebbe diventato per una volta fondamentale per tenere viva una passione gelata dall' emergenza.
E allora vai di pendolino, vai di bombe, vai di «aaaahhh, come gioca Del Piero», e di chissà quale altra trovata finto-pagliaccesca e in realtà geniale, piccolo capolavoro di comunicazione. Ci manca Maurizio, in tv, fuori dalla tv. Era una persona specchiata, aperta con tutti, stessa faccia e stesso atteggiamento, dal presidente potente allo stagista. Che magari, rivolgendosi al maestro, gli avrebbe confessato: «Maurizio, ho paura del Coronavirus». Risposta scontata: «Chiiiii? Non lo conosco».
LITE TRA MAURIZIO MOSCA E CARMELO BENE AL PROCESSO DEL LUNEDI
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