DAGOREPORT - TONY EFFE VIA DAL CONCERTO DI CAPODANNO A ROMA PER I TESTI “VIOLENTI E MISOGINI”? MA…
Marco Imarisio per corriere.it
A un certo punto, nella malattia, si alimentava con una manciata di bacche al giorno. Senza mai riuscire a mangiarle tutte. E la prima volta che reincontrò il suo coach, Matteo Catarsi, nella sala ristorante di un circolo, corse in bagno a mettersi due dita in gola dopo aver visto un’orata sul tavolo.
Ci ricordavamo di Martina Trevisan bambina, innamorati di lei e di quel dritto mancino che da Firenze con furore lasciava presagire un futuro certo. Adesso l’Italia del tennis ritrova una donna di 26 anni che nei grandi spazi vuoti del Bois de Boulogne racconta perché ci tiene a farlo, capisce che la sua è una testimonianza importante.
Più che della partita di oggi, che è solo la più importante della sua nuova carriera e anche di quella vecchia, ma cosa importa in fondo, parla di quel che ha passato, dell’anoressia, del non accettare più il proprio corpo, «detestavo le mie gambone da atleta, le odiavo». Con grande maturità, nella speranza che a nessuno debba toccare quel ha passato lei.
Nel 2009 la sua era una vita da copertina. Aveva 16 anni, prendeva a pallate le giocatrici professioniste, e tutti sapevano che il futuro le apparteneva. «Ma dentro di me avevo un tarlo.
Stavo male e non capivo perché. Soprattutto, avevo paura a dirlo. Sentivo di non essere più in grado di gestire quel che mi girava intorno. Le pressioni sul mio rendimento, i problemi in famiglia. A ripensarci ora, avrei dovuto fermarmi e scendere: forse non mi sarei ammalata. Ma andava tutto così veloce, e io era una adolescente. Che all’improvviso si è sentita schiacciata da un peso enorme. Che non è andato via neanche quando ho deciso di smettere».
Cinque anni di buio, fino al 2014, al ritorno, per una lenta risalita che non ha contemplato alcun regalo. Non sono stati certo il tennis o l’amore per lo sport a salvarla, ma qualcosa di più semplice e concreto. Una psicologa. «Dopo un anno terribile in cui ero arrivata a pesare 46 chili, ho capito che dovevo chiedere aiuto. Credo sia questa la cosa più importante. Riconoscere di non farcela da sola. Ho avuto la fortuna di trovare una persona che mi ha sorretto ogni volta che pensavo di non farcela..».
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