DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Marco Bonarrigo per il “Corriere della Sera” - Estratti
Non passa settimana senza che Kathrine Switzer tenga una conferenza per le multinazionali o a facoltosi uomini d’affari a caccia di motivazioni vincenti, in ogni angolo degli Usa. Nello spiegare come «creare successo in un ambiente difficile attuando il cambiamento sociale e culturale» Kathrine cavalca l’episodio che l’ha fatta diventare celebre: nel 1967 a Boston, resistendo alle spallate (per buttarla fuori strada) degli ufficiali di gara, fu la prima donna a terminare una maratona sfidando un divieto, sfatando un tabù e diventando icona nello sport femminile.
Fossero esistiti i talk motivazionali, chissà cos’avrebbe potuto raccontare di sé stessa Alfonsina Strada, nata Alfonsa Rosa Maria Morini a Castelfranco Emilia nel 1891 e morta a Milano nel 1959. Nel giorno in cui viene svelato il primo Giro d’Italia Women abbinato a quello maschile, non si può non ricordare la donna che quasi cent’anni fa (era il 10 maggio 1924) prese il via della XII edizione tra 90 uomini che la scrutavano come un’aliena, non per correre 42 chilometri al piccolo trotto ma per pedalarne 3.613 suddivisi in 12 tappe su strade impossibili e con la frazione più lunga (da Bologna a Fiume) che superava i 400: il Giro Women avrà sul Blockhaus la sua Cima Alfonsina Strada come il Giro maschile ha la Cima Coppi.
Vita magnifica, tormentata, durissima quella della seconda dei dieci figli di Carlo Morini e Virginia Marchesini, agricoltori e analfabeti, che cominciò a gareggiare a 16 anni su una bici di quarta mano girando l’Italia e l’Europa, in tempi in cui le corse erano rarità e le prove riservate alle donne utopia. Nel 1917, dopo aver sposato il tornitore Luigi Strada che le fu mentore, tifoso e allenatore, ottenne dalla Gazzetta dello Sport il permesso di disputare il Giro di Lombardia al fianco di creature mitologiche come Girardengo, Belloni, Pellissier e Thys: partirono da Milano in 54, ci tornarono soltanto in 29 con Alfonsina a chiudere la graduatoria assieme ai colleghi Auge e Sicbaldi.
Nella primavera del 1924 (una nipotina a carico, il marito internato in un ospedale psichiatrico, soldi in tasca zero) Alfonsina si presentò dagli organizzatori del Giro d’Italia chiedendo di partecipare.
Non trovando nulla di contrario nel regolamento, il patron Armando Cougnet le diede il via libera ma ordinò ai cronisti della Gazzetta di non enfatizzare la presenza della prima (e unica) donna: nella lista partenti Strada diventò Alfonsin, alla belga, o Alfonsino. In un Giro concluso solo da 30 dei 90 partenti, Strada arrivò entro il tempo massimo nelle prime sette frazioni a un paio d’ore dal vincitore. Nell’ottava, disputata sotto una bufera con traguardo a L’Aquila, cadde e distrusse il manubrio della bici che sostituì con un manico di scopa. Fuori classifica ma non fuori corsa: Cougnet, vedendo che centinaia di persone l’aspettavano per ore al traguardo (molti per complimentarsi, qualcuno per canzonarla) l’autorizzò a rimanere in carovana fino a Milano.
L’impresa del Giro le regalò fama e qualche soldo. Strada non tornò più a correre tra gli uomini ma si esibì in sfide, talvolta serie, talvolta strambe, sulle piste e sui circuiti di tutta Europa. Risposata con l’ex ciclista Carlo Messori, alla sua morte ne ereditò il negozio di riparazioni di cicli e motocicli di via Varesina 80 di cui ogni giorno alzava e chiudeva la saracinesca. Il 13 settembre del 1959, era domenica, Alfonsina salì sulla sua Guzzi 500 con tre panini nello zaino per andare a vedere lungo il tracciato la Tre Valli Varesine che Dino Bruni vinse in volata su Giovanni Verucchi. Tornata a Milano in serata, morì fulminata da un infarto mentre riponeva la Guzzi in garage. Aveva vissuto 69 anni alla grandissima.
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