DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Sara Ricotta per la Stampa
Le donne nell'arte per un paio di decine di secoli sono state modelle o muse,qualcuna artista, qualche altra collezionista. Le prime due direttrici di musei in Italia sonoarrivate nel Novecento e quasi insieme, a Milano e Roma. Fernanda Wittgens e Palma Bucarelli hannoattraversato il fascismo e la guerra, e la loro storia - umana e professionale - è stata ben raccontata in due biografie, Sono Fernanda Wittgens di Giovanna Ginex e Regina di Quadri di Rachele Ferrario. Per la Wittgens c'è stata anche una versione romanzata, L'allodola, per dire insomma che sudi loro c'è molto da raccontare.
Ma ce ne è ancora. Come dimostra questo libro uscito ieri che si concentra sulla Contesa su Picasso, culmine di due carriere che sono cresciute un po' parallele e sempre sul filo di un antagonismo equilibrato da stima e rispetto reciproci. Roba d'altri tempi, e proprio per questo da riraccontare, perché dalla contesa fra due donne e fra Milano e Roma alla fine a vincere è l'Italia, che ha visto i suoi capolavori salvi e nascere un modello virtuoso di collaborazione.
Tra l'altro il libro esce al momento giusto, alla vigilia dell'inaugurazione della Grande
Brera a Palazzo Citterio, con l'apertura delle collezioni d'arte moderna e contemporanea e con il ritorno del Cenacolo sotto l'ala braidense; eu na nuova collaborazione fra Brera e Gnam, con la retrospettiva di Mario Ceroli che parte a Milano e poi passa a Roma con un ampliamento. Insomma, Wittgens e Bucarelli avevano visto lontano.
Torniamo agli inizi. Nonostante il titolo, il libro non racconta solo di Picasso ma suppone che non tutti abbian letto le biografie delle due donne e quindi, sempre in parallelo, ne ripercorre infanzia, giovinezza, studi e maestri, albori della vita professionale; e l'attivismo in tempo di guerra.
Della Wittgens si ricordano le ascendenze austroungariche che le varranno, per il piglio, il soprannome di"walchiria". L'incontro con l'arte avviene in famiglia grazie al padre professore al liceo classicoParini e fondatore degli "Amici dei Monumenti di Milano". È lui a portarla al museo e a farle intuireche «il Bello è una questione etica».
Mediterranee le origini di Bucarelli, «nata a Roma per caso», perché la materna Messina era stata distrutta dal terremoto. Bella, bellissima, «come una gatta siamese» dirà Ungaretti, anche lei bambina felice e poi studiosad'arte. Si laureerà sul
Salviati, facendosi venire il torcicollo sugli affreschi di Palazzo Sacchetti,set di una festa nella Grande Bellezza.
Seguono intensi capitoli in cui l'autrice Rachele Ferrario ci mostra come «per paradosso e in modi diversi, si può dire che Wittgens e Bucarelli ereditino l'esempio di Margherita Sarfatti, se non iltestimone».
Sono di fatto le dominae di Brera e Valle Giulia, ma prima di vedere nero su bianco la nomina a"direttrici" dovranno passare anni da "operaia avventizia" e "ispettrice". Ferrario racconta poi ledue donne durante la guerra, impegnate a salvare opere d'arte e a nascondere perseguitati ebrei. La Wittgens finirà in prigione per questo.
Ci sono le vicende del salvataggio di singole opere, una Cena in Emmaus finita sul mercato e quindi a Londra, un Discobolo che piace tanto a Hitler, Mussolini disposto a cedere «qualche centinaio di chilometri quadrati di pittura in cambio di nafta». E poi i colpi dal "fuoco amico". Per Bucarelli il Pci che non apprezza la sua ossessione per l'arte astratta, e per Wittgens Cesare Brandi che si oppone al restauro del Cenacolo, per lui già perduto.
E finalmente il cuore del libro: cento pagine dedicate a Picasso e a Guernica. Ferrario ripercorre concepimento nascita e gestazione dell'opera che rappresenta il fallimento e l'orrore della guerra, di tutte le guerre.
La prima a covare il desiderio di una grande mostra di Picasso nel suo museo è Bucarelli, mentre Wittgens è impegnata su altri due grandi nomi: Caravaggio e Van Gogh. Poi però anche lei «accarezza l'idea di avere Picasso a Milano, la città del socialismo, simbolo di resistenza e rinascita».
La Ferrario racconta le grandi manovre della Bucarelli e il viavai da/per Vallauris dove ormai vive il pittore, finché la mostra inaugura il 5 maggio 1953 a Roma, con 137 dipinti e una imponente copertura mediatica. Picasso però non si palesa, e non lo farà nemmeno a Milano, dove la mostra si riaprirà non solo con le opere già viste a Roma, ma con molte altre fra cui, grazie a un colpo insperato, l'imprendibile Guernica.
E qui però Wittgens non brilla per fairplay. «Le mostre d'arte a Milano interessano un pubblico assai più vasto che a Roma» dichiara all'Espresso.
Appassionanti le pagine sui "maneggi" astuti per convincere Picasso e il direttore del Moma Alfred Barr che non ne volevano sapere di far spostare Guernica: fu Attilio Rossi, artista e amico delpittore spagnolo, ad andare a Vallauris come plenipotenziario di Wittgens a spiegare che Guernica sarebbe stata esposta «in maniera inedita» nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, semidistrutta dalle bombe e non restaurata, «in una scenografia drammatica creata dalla
guerra stessa».
La mostra si inaugura e ancora una volta Picasso non viene ma con un vero coup de théâtre Dario Fomette in piedi uno sberleffo dei suoi. Ricordando che a Brera c'è un bidello tale e quale a Picasso, con un gruppetto di amici artisti - Baj, Tadini e altri - lo convince a travestirsi con basco, giaccae foulard; gli dirà di salire sul treno a Rho per scendere alla Stazione Centrale, dove lo andranno a prendere e tutti penseranno che è il grande pittore. «Un casino…» scrive Fo, «alla fine lui compare e in francese farfuglia frasi senza senso sull'amour l'art la liberté». E che ci abbiano creduto o no,la mostra è stata un enorme successo.
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