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Daniele Sparisci per corriere.it
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Cala il tramonto sull’isola di Yas e cala il sipario su un Mondiale finito troppo in fretta. Dentro all’hospitality della Ferrari i meccanici si fanno firmare le foto ricordo da Kimi Raikkonen, alla sua ultima gara in rosso. Sebastian Vettel è seduto su uno sgabello: il ciuffo biondo un po’ scompigliato, il sorriso inizialmente tirato si allarga nella conversazione. Otto anni fa qui iniziava la sua era con la Red Bull, sembra passato un secolo. È tempo di bilanci anche per lui alla fine della sua quarta stagione a Maranello. Non vince dall’estate, dal Gp del Belgio, e si capisce quanto gli brucia.
Da dove cominciamo, dall’anno prossimo?
«No, c’è ancora una gara e voglio vincerla. La prossima stagione per me è lontana».
Allora riviviamo questa. Ci aiuta a capirla meglio?
«Alti e bassi: i punti migliori sono stati le vittorie in Bahrein e a Spa. Il peggiore Hockenheim dove ho perso per un errore mio. Alla fine troppe corse non sono andate come dovevano. Ma dobbiamo accettare di essere stati battuti».
È stata un’occasione persa o Lewis Hamilton e la Mercedes hanno vinto da grande squadra?
«È sbagliato e ingiusto dire, come ho sentito: “Questo campionato lo ha perso la Ferrari…”. No, la Mercedes ha vinto e noi abbiamo perso. Ci sono state gare dove eravamo molto vicini, altre dove eravamo davanti, ma purtroppo in altre ancora eravamo lontani e loro dominavano. Noi non siamo mai stati capaci di vincere in quel modo».
Ne è sicuro?
«Sì, pensi ai loro successi in Spagna, Francia e Russia. Quando siamo arrivati primi noi, è stata sempre una battaglia tiratissima. In Australia siamo stati fortunati, in Bahrein erano vicini con la strategia, a Spa avevano un gap di 1,5” prima di gettare la spugna. Anche in Canada, la nostra miglior prestazione, Bottas non era lontano».
Però a un certo punto la Ferrari sembrava la macchina migliore.
«L’ho sentito dire a tanti e non sono d’accordo. Avevamo una buona macchina, non dominante. Nella parte finale del campionato spesso ci è mancata la velocità».
La criticano per i troppi errori, come risponde?
«È vero, ho sbagliato tanto, troppo. È giusto dirlo. Non mi dovevo girare in Germania, ma a volte capita di fare delle c… Abbiamo perso tanti punti, ma alla fine penso che anche senza i miei errori comunque non avremmo vinto il Mondiale».
Come combatte lo stress e allenta la pressione?
«Sto a casa con la famiglia, con i miei amici. Vado in bici e non penso a niente».
Arriva Charles Leclerc, le prime cose che gli dirà?
«Niente. Ha dimostrato di meritare un posto in F1 e adesso ha fatto un grande salto. È un bravo ragazzo, sarò molto diretto con lui. Non credo ci saranno problemi».
Che cosa le mancherà di Kimi Raikkonen?
«Il silenzio! Scherzi a parte, lavorare con lui è stato un piacere, in questi anni abbiamo costruito un rapporto sincero. E poi per fortuna lo rivedrò, lascia la Ferrari ma non sparisce (va all’Alfa-Sauber ndr)».
Che impatto ha avuto l’improvvisa scomparsa di Sergio Marchionne su di lei e sulla squadra?
«Grande per tutta la Ferrari, ma non credo che abbia avuto ripercussioni su ciò che succedeva in pista. Tutto quello che facciamo qui avviene in maniera automatica, tutti sanno quello che devono fare. Gli sviluppi, per esempio, erano stati programmati da tempo. È stata una tragedia, ma non è esatto sostenere che dopo la morte del presidente il campionato si è messo male. Non vorrei essere frainteso, ma non succede mai che quando una sola persona lascia o arriva i problemi compaiono o si risolvono. Solo il tempo ci dirà quanto profondo sia stato questo cambiamento per la Ferrari. Detto questo, Marchionne sarà ricordato a lungo per quanto ha realizzato».
Maurizio Arrivabene ha detto: «Seb ha bisogno di sentire l’affetto per dare il meglio». Lo sente?
«Sì, i tifosi non me lo hanno mai fatto mancare. Il sostegno che abbiamo avuto quest’anno è salito di livello rispetto al passato. E nei periodi più difficili l’appoggio dall’esterno è stato uno degli aiuti migliori per non buttarmi giù e recuperare fiducia».
Ci dia qualche spunto per essere ottimisti per il 2019.
«Ci sono sempre ragioni per pensare positivo, abbiamo una squadra forte e la gente giusta al posto giusto. Sono molto ottimista».
Se guidasse la macchina del tempo in che epoca andrebbe?
«Vorrei essere giovane, come adesso, ma vivere nel 1965».
Perché?
«Perché mi preparerei agli anni 70 che sono stati un periodo straordinario. Potrei guidare le macchine dell’epoca, favolose. E ascoltare la musica più bella».
Sente ancora i Beatles?
«Certo!».
Torniamo al presente, sarà alla «Race of Champions» con Mick Schumacher. Ce la farà ad arrivare in F1?
«Sì, è ancora giovane e non ha fretta. È reduce da una stagione fantastica, se continua così ci sono buone possibilità che ce la faccia».
Il papà Michael compirà 50 anni fra poco. Si sente di dedicargli un pensiero speciale?
«Non trovo parole abbastanza forti. Come ripeto sempre, mi manca Michael: come amico, come persona alla quale potevo sempre chiedere consigli, mi manca il suo punto di vista da pilota sulle cose. I piloti sono persone diverse da quelle normali, dentro e fuori dalla macchina».
È contento del ritorno di Robert Kubica?
«A metà. Da una parte sono felice per lui: lo conosco da quando giravamo sui kart, e penso che nessuno possa immaginare quanto sia stata dura per Robert aspettare l’occasione per tornare a guidare. Penso che se solo si avvicinerà al suo livello di prima dell’incidente non avrà alcun problema».
E l’altra metà?
«Mi vengono in mente altri senza un sedile, come Ocon. Sono contento per Robert, ma mi dispiace che non ci sia posto per un gran talento come Esteban».
Se ne va Fernando Alonso, sarà una F1 più povera senza di lui?
«No, il mondo gira così velocemente che le differenze non si vedranno. Non lo dico perché è Fernando. Ma il giorno che io o Lewis lasceremo, lo spettacolo andrà avanti lo stesso. Come dice la canzone, “The show must go on”».
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