
DAGOREPORT – GIORGIA MELONI HA GLI OCCHI PUNTATI SULLA TOSCANA! NELLA REGIONE ROSSA SARÀ CONFERMATO…
“I SOSPETTI DI DOPING SULL’ATALANTA? UN’OFFESA. QUANDO NON SI SANNO TROVARE LE RISPOSTE SI RICORRE ALLE MALDICENZE” – GIAN PIERO GASPERINI, ALLENATORE DELLA ROMA PRIMA IN CLASSIFICA, SI RACCONTA A IVAN ZAZZARONI "SUL CORRIERE DELLO SPORT": “IO ANTIPATICO? L’ATALANTA DAVA FASTIDIO A TANTI E IO ERO LA FIGURA PIU' ESPOSTA. LA ROMA ATTUALMENTE NON E’ DA CHAMPIONS, CI AUGURIAMO DI CRESCERE, MA IL NOSTRO PRIMATO È ABBASTANZA CASUALE” – IL PIZZINO AI DIRIGENTI GIALLOROSSI (“TUTTI INVESTONO SULL’ATTACCO…”) E LA STILETTATA SULLA NAZIONALE: “LA NORVEGIA DOVREBBE VINCERE A HOCKEY SU GHIACCIO CON NOI, NON TRE A ZERO A PALLONE"
Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport
gian piero gasperini foto mezzelani gmt56
Rigorosamente a uomo. Anche se rigorosamente è un avverbio che lo riporta a una serata assurda. «Vediamoci a Trigoria». Ma è nel buco del culo del mondo, Gian Piero! Ha vinto lui. A uomo, uno contro uno. Lo seguo ovunque, tra decine di corridoi, per finire nell’ufficio gentilmente prestatoci da Claudio Ranieri. Massara adesso è più leggero e si vede.
Gasperini accetta il pressing alto, ha i risultati dalla sua: nelle prime sei giornate ha messo insieme 15 punti ed è primo. Un anno fa alla Roma ne servirono 15, di giornate, per farne 16, di punti.
(...)
«Il fatto che a Roma c’è una passione incredibile. Io credo che in questo momento, in Italia, Roma sia insieme a Napoli il posto più appassionato e appassionante. E forse Roma anche più di Napoli, perché Napoli ha vinto. Dove c’è più fame di calcio, più voglia di fare risultati, dove c’è un amore verso la propria squadra così profondo, viscerale, lo stimolo è elevatissimo. Inoltre è un bel momento per gli stadi italiani che si sono nuovamente riempiti».
ivan zazzaroni gian piero gasperini
Hai firmato per tre anni. A 70, se non ti cacciano prima, chiudi qui?
«Guarda che li avrai anche tu fra tre anni! Se tu scrivi io parlo. Fino a quando avrò l’ambizione di poter fare qualche cosa che mi dà veramente gioia, andrò avanti. La passione è il carburante essenziale per chi gioca, per chi allena, per chi dirige e soprattutto per la gente, i tifosi. Qui c’è passione e io ho ancora passione».
E un brutto carattere.
«In realtà l’ho bellissimo!».
Bellissimo? Raccontano di tavoli e sedie fatti saltare. Mi hanno detto che quando t’incazzi non sei proprio simpatico.
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«No, no. Diciamo che ho delle convinzioni, alcune certezze molto forti e tanti dubbi su altre cose, però dove ho delle certezze sicuramente le faccio valere».
Sei anche un mangia-arbitri.
«Ancora con questa storia degli arbitri, degli avversari, del pubblico delle altre squadre. Credo che una città di centoventimila abitanti desse fastidio là in alto. Bergamo è sicuramente una bella provincia, ma è grande come mezza Garbatella. È come se uno di questi popolosi quartieri di Roma giocasse in Europa contro Real Madrid, Barcellona, City, Psg, inglesi, tedeschi, francesi e tutto sommato in Europa andava ancora bene perché l’apprezzamento era palpabile. In Italia invece abbiamo cominciato a dare fastidio».
Non hai risposto.
«Ero il più esposto, dell’Atalanta chi riconoscevi? La proprietà non ama esporsi, i dirigenti anche. Alla fine arrivavo io e trovavo un plotone d’esecuzione».
Criticasti apertamente l’atteggiamento di Immobile e quello di Chiesa. Non hai mai fatto niente per renderti simpatico alle tifoserie avversarie. Anche alla Roma non eri amatissimo.
gian piero gasperini foto mezzelani gmt56
«Non pesavano gli episodi, andavi a Firenze era così, a Milano idem. Torino, Napoli, Bologna, mai avuto sconti da nessuno. L’Atalanta ha tolto tanto a tanti e quindi era naturale che fosse accompagnata da antipatie diffuse».
Dici Gasperini e pensi subito all’uno contro uno, a un calcio di duelli. Sei cambiato o no? E, se sì, dove?
«Al Genoa iniziai così, nella Primavera, poi a Crotone in C, Genoa in B, in seguito in A e in Europa. La vera consacrazione l’ho avuta proprio in Europa dove il mio è stato riconosciuto come un calcio efficace, di qualità, mentre in Italia è sempre stato abbastanza osteggiato pur se amato fortemente nei posti in cui allenavo. Ancora adesso a Genova e Bergamo conservano ottimi ricordi. Brutto carattere, dicevi. Otto anni al Genoa, nove a Bergamo. Non mi hanno trovato così insopportabile».
Tutto merito dei risultati.
«Il risultato è fondamentale. Senza il risultato tutto il resto è chiacchiera e poi, certo, c’è modo e modo di ottenerlo. Io ho sempre pensato di giocare in quel modo per arrivare al risultato, non per altro. Nessuna ideologia, né filosofia».
Hai apportato delle correzioni però.
«Assolutamente sì. La vera maturazione l’ho avuta a Bergamo. Giocare in Champions e più in generale in Europa, ti migliora».
Una crescita che deriva dal confronto con altre realtà di livello?
«Guarda che le novità, le cose da riprendere e assimilare le puoi trovare anche in squadre non di prima fascia. Ormai è chiaro che si lavora sui particolari, il grosso del mio modo di giocare e stare in campo è abbastanza conosciuto. Devo dire che ha fatto scuola».
Un altro dei tanti luoghi comuni che ti circondano riguarda i giocatori da non acquistare quando provengono dalle tue squadre. Chissà cosa gli fanno a Bergamo, quali stregonerie si saranno inventati. C’è anche chi sospettava che vi dopaste.
«Stai scherzando?».
No: riporto voci.
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«Chi ha soltanto pensato una cosa del genere ha offeso una società, il sottoscritto, uno staff e un gruppo di giocatori, il loro lavoro. Quando non si sanno trovare le risposte si ricorre alle maldicenze e alle peggiori fantasie. Noi siamo sempre stati puliti. Io credo nel rispetto delle regole dello sport. Il doping lo combatto da sempre... Sul campo odio le simulazioni.
Detesto ogni forma di sotterfugio, il gioco sporco. Sono tutti attentati allo sport che amo più, che tutti quanti amiamo e consideriamo parte della nostra vita. Per questo mi incazzo spesso. Una cosa è l’abilità tecnica, altro la furbata, la simulazione. La ricerca del dribbling in area per andare a prendere il rigore rientra nel campo delle abilità... E poi non sopporto il Var che mi allontana dal calcio per come l’ho sempre inteso».
Ce ne siamo accorti.
«Regole che resistono da centocinquant’anni e forse più andrebbero assolutamente difese e tutelate. Siamo in un momento storico in cui nuove situazioni e singolari interpretazioni hanno creato solo confusione, il pubblico fatica a distinguere il fallo dal non fallo, un cartellino da un non cartellino».
Appartieni alla sottospecie dei tecnici lamentosi.
«Mai lamentato. Ho sempre denunciato».
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Anche all’interno della società? Quando le cose non andavano bene, quando c’erano cose che non ti garbavano?
«Dico le cose che penso. Se per me una cosa è sbagliata è sbagliata. Oppure se la penso diversamente».
Sei portato alle rotture?
«No, basta darmi ragione». Altra risata.
Si capisce che ti sei innamorato di questa realtà. Vai spesso per ristoranti, non sbagli un colpo. Occhio al peso.
«Ecco perché chiedo sempre mezza porzione, ma qui sembra che non sia proprio possibile».
Cosa ti ha colpito maggiormente in questi primi mesi romani?
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«I giocatori e la squadra, soprattutto i giocatori».
Anche questa Roma non è una porzione intera. Non sono arrivati Fabio Silva, Sancho, Riòs...
«Parlo di quelli che ho trovato. Mi hanno veramente dato credito, disponibilità. Indipendentemente dalle situazioni che vivono. Questa è una squadra che ha giocatori in scadenza, in prestito o di prossima uscita. Un misto, insomma, ma c’è una bella compattezza, tutti sentono la responsabilità di giocare in una piazza importante».
Gian Piero, come si può iniziare un percorso di crescita se la squadra presenta tante variabili contrattuali?
«Guardando al presente. Purtroppo in questo momento non siamo nella condizione di pensare al futuro, il futuro è ancora da disegnare. E allora viviamo di presente. E il presente è quello che ci sta portando ad affrontare due partite con grande serietà, con grande voglia di giocarle. Sappiamo di avere tanta gente dietro così appassionata e questo spiega in parte l’ottimo inizio».
Quindici punti in sei partite, alcuni dicono che hai avuto culo.
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«Quello non fa male. È una bella dote, devo dire che ci sono state altre squadre che hanno ribaltato o vinto partite nei minuti finali. Nella sconfitta non siamo stati fortunati, in alcune vittorie, sì. Però è una cosa abbastanza comune».
Hai recuperato giocatori che erano dati in partenza, penso a Hermoso, allo stesso Pellegrini che magari ha avuto meno spazio di altri. Ma non sei ancora riuscito a “liberare” i due centravanti?
«Come no? Li recuperiamo assolutamente. Mi spiace solo che Dovbyk sia andato via con la nazionale».
Dove ha detto che avrebbe voluto battere anche il terzo rigore.
«E magari l’avrebbe pure segnato. Dispiace anche a me, visto com’è andata a finire e come l’ha tirato Soulé. Ci sarà occasione. Artem è un rigorista, non un improvvisato».
Che tipo di blocco frena lui e Ferguson?
«Dovbyk lo vedo in crescita, in crescita fisica, è la cosa più importante perché lui è un giocatore essenzialmente di forza, sia per struttura sia per caratteristiche tecniche, e per rendere deve stare molto bene. Vorrei portarlo a una condizione ottimale, alla convinzione di riuscire a far valere i suoi mezzi. Lavoriamo in quella direzione. A Firenze ha fatto bene. Bisogna trasmettergli grande fiducia e senso di appartenenza, deve sapere che la squadra è con lui».
Ritrovi Bailey e Dybala sembra che stia benino.
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«Sul nostro attacco si è detto tanto, ma abbiamo fatto due gol domenica, a Firenze. È evidente che fino ad oggi Dybala, Pellegrini e Bailey ci hanno dato due mezzi tempi in tre.
Recuperandoli, la nostra qualità aumenterà sensibilmente. La qualità di Dybala è veramente da top. Pellegrini è un giocatore di assoluto valore. E Bailey ci darà una grossa mano. Siamo stati un po’ sfortunati con Bailey. Con quei tre e Dovbyk avremo un altro spessore. Perché nel calcio il tutto è valorizzato dal gioco d’attacco».
In che senso?
«Quando davanti produci della pericolosità e la palla viaggia, tutto il resto migliora. Altrimenti rimane in parte sospeso ed è quello che è successo a noi. Abbiamo fatto anche ottime prestazioni. Alcuni hanno giocato una serie di partite strepitose, i difensori, il portiere, Soulé stesso, Koné. Altrimenti come faremmo ad avere questi punti».
E a gennaio, naturalmente, grandi acquisti. Concedimi la battuta.
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«Questo non lo so. Io al mercato di gennaio non ho mai creduto molto. È lo scambio delle figurine. No, non voglio dire proprio questo, sono stato ingeneroso, però a gennaio, di solito, passano da una squadra a un’altra giocatori che magari erano fermi da un po’. Puoi migliorare un pochino, ma difficilmente fai delle operazioni che stravolgono i contenuti della squadra o imprimono una svolta importante. A me almeno non è mai successo».
Dan Friedkin ti ha fatto un elogio pubblico enorme eppure vi conoscete poco. Gli parli spesso?
«Ci scriviamo. I Friedkin mi hanno conquistato al primo incontro quando ho capito che, a parte la forza degli imprenditori, riconosciuta a livello mondiale, hanno una grande passione per il calcio. La cosa migliore che posso fare per la Roma, per la Roma in generale, è consolidare il rapporto tra loro e la città. Perché è difficile trovare nel mondo del calcio una proprietà così generosa, no?».
Stai cercando di coinvolgerli maggiormente?
«Credimi, lo sono già, e non poco. Altrimenti la Roma non decollerebbe».
(…)
A voler essere realisti, la tua squadra non è da Champions.
«Non lo è. Questo aumenta il merito, no? Il merito di questi ragazzi. E nel frattempo è chiaro che ci auguriamo di crescere, lo sappiamo anche noi che il nostro primato è abbastanza casuale. Le partite le abbiamo giocate però, non è che ce le ha regalate nessuno. Adesso iniziano gli scontri diretti, ci si misura con le realtà più importanti, però è vero che questa squadra può migliorare, ha dei margini notevoli».
A Bergamo impiegasti poco tempo per far girare la squadra come desideravi. Oggi non riconosco ancora una formazione di Gasperini, vedo un gruppo che lotta, ha un’anima e cerca il risultato.
«Il calcio è cambiato, oggi è molto più difficile, ti devi adattare molto di più perché c’è un pressing esasperato che prima apparteneva a noi e adesso all’ottanta per cento delle squadre. E non è un caso che sia cambiata anche la mentalità in Italia. Tutti investono sull’attacco. La Juventus ha tre attaccanti fortissimi ed è andata a comprarne altri tre, il Napoli ha preso Lucca, Hojlund, Lang.
L’Inter ha quattro punte di primo livello e ha speso in quel settore. Il Milan ha preso attaccanti, la Fiorentina pure, l’Atalanta Sulemana e Krstovic. Prima tutti acquistavano difensori. Nel costruire la squadra si partiva dalla difesa, poi i centrocampisti e se avanzava qualcosa la punta. O le punte. Su questo aspetto c’è stata una discussione per anni con l’Atalanta e quando han preso Zapata siamo andati in Champions.
Con Muriel ci siamo tornati, quindi abbiamo puntato su De Ketelaere e Scamacca e abbiamo vinto l’Europa League. Quando hai gli attaccanti forti ti diverti, anche questo è probabilmente un segnale che il calcio è cambiato. È un calcio più difficile, magari meno bello. Se guardi all’estero la tendenza è ancora più esasperata. Solo nell’ultima sessione hanno speso centinaia di milioni per dotarsi di centravanti forti».
gasperini conferenza stampa di presentazione 5
Un aspetto che Del Piero ha evidenziato è la propensione dei nostri club a trascurare l’identità italiana per andare a riempire le squadre di giocatori fisici, alti, forti.
«A calcio gioca chi è alto 1,60 e chi due metri. E gli unici che non possono giocare sono i grassi, quelli grassi non giocano, tutti gli altri possono giocare e per questo è uno sport straordinario. Anche il tennis è molto più selettivo di questi tempi. Nel calcio esiste la fisicità ed esiste l’abilità, la destrezza è un qualcosa che noi mediterranei possediamo. Sono stati bravi gli spagnoli».
Solo che noi non possiamo più permettercela, non la sviluppiamo come un tempo, l’abilità costa tanto.
«Ho ascoltato l’intervento di Del Piero, ne ho parlato talvolta anche con lui. Se osservi una squadra dilettantistica di ragazzini e una professionistica la differenza più rilevante è nella statura. Le squadre pro selezionano regolarmente in base alla statura, alla struttura fisica. Vuol dire che non si guarda più all’abilità, alla destrezza, alla coordinazione.
Perché è stata bravissima la Spagna? Perché ha rispettato la propria identità. E la propria natura, non mi piace parlare di razza, è di statura media normale, mediterranea. Noi abbiamo spostato tutto al Nord Europa. Poi però la Norvegia ci fa tre gol. La Norvegia dovrebbe vincere a hockey su ghiaccio con noi, non tre a zero a pallone».
(…)
gasperini conferenza stampa di presentazione
gasperini e ranieri
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