DAGOREPORT – IN POLITICA IL VUOTO NON ESISTE E QUANDO SI APPALESA, ZAC!, VIENE SUBITO OCCUPATO. E…
«Per un ebreo giocare nella squadra dell’Auschwitz è un tradimento, il tradimento del popolo ebraico e una coltellata nelle spalle di milioni di persone». Così, ruvidamente, senza appello. Le parole Elchanan Poupko, rabbino e presidente dell’EITAN-The American Israeli Jewish Network, rimbalzano dalla pagina Instagram di Eleizer Sherbatov alla galassia dei social network.
Sherbatov, classe 1991, è un giocatore di hockey sul ghiaccio israelo-canadese che si è fatto onore tra le fila della nazionale israeliana prima di militare, fino all’inizio dell’estate, sotto il vessillo slovacco.
A giugno infatti, Sherbatov ha firmato un contratto con la squadra della città polacca Oswiecim, che poco direbbe ai più se non si trattasse del luogo tristemente noto in tedesco come Auschwitz dal nome del campo di sterminio costruito dai nazisti nel 1940 e responsabile della morte di oltre un milione di deportati.
La notizia non è di quelle che passano inosservate in Israele, nonostante nelle ultime ore l’attenzione sia tutta concentrata sull’accordo di pace con gli Emirati Arabi e su quelli prossimi venturi con Oman, Bahrein e verosimilmente Arabia Saudita.
Auschwitz è un nervo scoperto e non solo, come intuibile, per la memoria da preservare. Parliamo di una memoria dolorosissima per chi ne porta il marchio ma anche per gli altri, quei polacchi, per esempio, che protestano sistematicamente a livello diplomatico ogni volta che Auschwitz-Birkenau viene definito un lager polacco e non tedesco.
Due anni e mezzo fa il governo nazionalista e conservatore di Varsavia presentò in parlamento una legge ad hoc per vietare proprio questa defiance lessicale e punire con severità i disobbedienti.
L’anno successivo il vertice di Visegrad pianificato a Gerusalemme venne cancellato all’ultimo minuto per uno scontro sulla Shoah, con la Polonia offesa per essere stata giudicata “connivente” con i nazisti dal premier israeliano Bibi Netanyahu e furibonda per le esternazioni dell’allora ministro degli esteri Yisrael Katz (che aveva sottolineato come, a parer suo, i polacchi avessero succhiato l'antisemitismo col latte della mamma).
Infine lo scorso gennaio, quinto Forum mondiale sull’Olocausto allo “Yad Vashem” e incontro preliminare del 75° anniversario della liberazione di Auschwitz, a Gerusalemme mancava solo il presidente polacco Andrzej Duda, irritato dalla prospettiva di dover parlare dopo Putin e di non essere stato inserito nell’elenco degli oratori ufficiali.
Sherbatov con la maglia dell’Auschwitz è un pugno nello stomaco. Di sicuro lo è per i duri e puri come il rabbino Poupko. Lui invece, figlio di una famiglia di ebrei russi di Rehovot emigrato a Montreal, replica di comprendere il disappunto ma di non sentirsi “un traditore”, di voler invece farsi testimone di un mondo nuovo, in cui la memoria è anche essere sopravvissuti fino al giorno in cui un ebreo può giocare a testa alta per la squadra di Oswiecim, Auschwitz.
Anzi, contrattacca Sherbatov sui social, è una specie di rivincita: «E’ un peccato che non si colga il lato positivo di questa vicenda. Non sono andato lì come turista ma per mostrare al mondo che gli ebrei sono tornati, e più forti che mai! Noi ricordiamo l’Olocausto e non dimenticheremo mai».
Mentre la stampa conservatrice israeliana solleva obiezioni su un tema sensibile al punto che il Paese nato nel 1948 non celebra il giorno della memoria nella data della liberazione di Auschwitz da parte dei russi ma in quello, mutabile a seconda del calendario ebraico, della rivolta del ghetto di Varsavia, il Memoriale di Auschwitz-Birkenau si schiera in sostegno della stella dell’hockey:«La storia di #Auschwitz mostra il pericolo degli stereotipi percepiti dagli altri… per fortuna @Sherbatov1 capisce meglio tutto ciò».
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