FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
1. “SONO DI MICHELANGELO” - IL GIALLO DEI BRONZI CHE DIVIDE GLI STORICI
Enrico Franceschini per “la Repubblica”
Prendete un professore di storia dell’arte di Cambridge, una squadra di specialisti delle analisi al neutrone di un laboratorio svizzero, un anatomopatologo esperto di addominali e l’ostinata curatrice di un museo, metteteli tutti insieme sulle tracce di un capolavoro perduto e avrete quella che potrebbe essere una scoperta sensazionale: l’attribuzione a Michelangelo Buonarroti delle statue in bronzo di due muscolosi uomini nudi, alti poco meno di un metro, ciascuno a cavalcioni di una pantera, che fanno discutere da secoli. Identificate inizialmente come opere di Michelangelo, furono screditate dopo una mostra a Parigi nel 1878 perché non c’era alcuna documentazione in proposito e non erano firmate.
In seguito sono state attribuite a vari artisti, da Tiziano Aspetti a Jacopo Sansovino a Benvenuto Cellini. Acquistate originalmente dal barone Alfonso di Rothschild, che forse le comprò da uno dei re di Borbone a Napoli, quando furono messe all’asta da Sotheby nel 2002 e vendute a un anonimo collezionista inglese per 1 milione e 200 mila sterline (più di 1 milione e mezzo di euro) vennero descritte come il lavoro di uno sconosciuto scultore fiorentino del 16esimo secolo. Se fossero veramente uscite dallo scalpello dell’autore della Pietà, del David e degli affreschi della Cappella Sistina, il loro valore sarebbe da moltiplicare di decine di volte. Ma sono proprio sue?
«Ci è sembrato di essere impegnati in un giallo del Rinascimento », dice Victoria Avery, curatrice del Fitzwilliam Museum di Cambridge, che esibirà le due statue da oggi al 9 agosto e le presenterà a un simposio internazionale nel luglio prossimo. La svolta che secondo gli “investigatori” inglesi avrebbe permesso di risolverlo è venuta l’autunno scorso, quando un ricercatore ha notato un minuscolo dettaglio nel disegno di un apprendista del Buonarroti custodito nel Museo Fabre di Montpellier, in Francia.
In un angolo dello schizzo si vede un muscoloso giovanotto a cavallo di una pantera, in un posa simile a quella dei due “bronzi di Rothschild”, come sono stati a lungo chiamati. Ulteriori ricerche, condotte da un laboratorio di analisi in Svizzera, hanno collocato i due bronzi tra il 1506 e il 1508, quando Michelangelo aveva circa 30 anni; un docente dell’università di Warwick, Peter Abrahms, ha verificato i dettagli anatomici, dagli addominali all’ombelico, confrontandoli con quelli del David e giudicandoli identici. Alla fine il professor Paul Joannides, storico dell’arte a Cambridge, ha concluso che le due statue sono effettivamente di Michelangelo.
Eppure non tutti sono d’accordo. Francesco Caglioti, uno dei massimi studiosi della scultura rinascimentale, non ha dubbi: «Non è necessario vedere i due pezzi da vicino per escludere recisamente che siano di Michelangelo», dice a Repubblica. «Vanno datati almeno dopo il 1525 e i collegamenti col disegno di Montpellier sono superficialissimi, e solo iconografici Se fossero davvero di Michelangelo sarebbero gli unici suoi bronzi sopravvissuti fino ai giorni nostri.. In più, le due figure sono fiacche e mal collegate alle pantere: hanno insomma tutta l’aria di essere dei montaggi di pezzi eterogenei».
Una statua in bronzo di David andò perduta durante la rivoluzione francese. Un’altra, di papa Giulio II, eretta nella cattedrale di Bologna, durò solo tre anni: i bolognesi anti-papalini la tirarono giù e la sciolsero per farne un grande cannone, chiamato ironicamente La Giulia, da usare contro le truppe pontificie.
«I muscoli dei due uomini sulle pantere sono esplosivi e reali come solo Michelangelo sa farli», sostiene il critico del Guardian . Ma è probabile che su questo “giallo del Rinascimento” non sia stata ancora scritta la parola fine.
2. COLLEGAMENTI MOLTO DEBOLI CON IL GENIO ORA LA PAROLA è AL MERCATO
Tomaso Montanari per “la Repubblica”
La vera notizia è che un’istituzione seria come il Fitzwilliam Museum di Cambridge si sia gettata a capofitto in una operazione mediatica così sopra le righe: con il rischio concreto che tutto questo rimbalzare di lanci, sempre più eccitati, tra i quattro angoli del globo finisca per ritorcersi contro il museo.
Tra gli argomenti che il Fitzwilliam ha voluto esibire con cinque mesi di anticipo rispetto alla pubblicazione dei risultati scientifici non c’è infatti nulla che appaia decisivo. Il nesso tra i ben noti bronzi e il disegno di Montpellier è generico e debole, come del resto le osservazioni sull’anatomia.
Quasi tutto il Cinquecento è michelangiolesco, come il Quattrocento è donatelliano e il Seicento berniniano: il punto è proprio distinguere tra i pochissimi autografi e il mare delle derivazioni. E (accanto, e sopra, a documenti, provenienze, analisi fisicochimiche presunte esatte) il metro vero è quello della qualità: che in questo caso manca, come ha subito rilevato l’autorevole michelangiolista Francesco Caglioti.
Questi ha da poco pubblicato un marmo giovanile che — quello davvero — è uscito dalle mani di Michelangelo: ma nel caso dei cavalieri delle pantere, se anche si potesse dimostrare che all’origine c’è un’idea del divino Buonarroti (cosa ardua), bisognerebbe poi subito rassegnarsi a considerarli solo una debole e indiretta conseguenza (da datare verso la metà del Cinquecento). Perché — diciamolo — questi lindissimi soprammobili da bordello Belle Époque sono, nel complesso, piuttosto improbabili.
Non è una prospettiva entusiasmante, ma ora la parola decisiva verrà del mercato. Già, perché i due bronzi sono tuttora in proprietà privata (il che avrebbe dovuto consigliare ulteriore prudenza), e non occorre la sfera di cristallo per predire che saranno messi in vendita sull’onda mediatica. E quello sarà il momento della verità: se ci sarà qualcuno disposto a sborsare intorno ai cento milioni di euro (che è una stima per difetto), vorrà dire che l’attribuzione a Michelangelo ha trovato un forte sostegno nella comunità scientifica.
Altrimenti (come è assai più probabile) le opere andranno invendute, o spunteranno un prezzo da semplici “candidate a Michelangelo”: con tre zeri di meno. Purché non tocchi allo Stato italiano, che di Michelangeli farlocchi se n’è già preso uno: l’indimenticato Cristo ligneo acquistato dal dimenticato ministro Sandro Bondi nel 2009, per 3.250.000 euro. E uno al secolo può bastare.
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