DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Monica Ricci Sargentini per il “Corriere della Sera”
«Le recenti affermazioni di Martina Navratilova sugli atleti transgender sono transfobe, basate su una comprensione sbagliata della scienza e dei dati, e perpetuano miti pericolosi che portano a ghettizzare i trans con leggi discriminatorie e stereotipi odiosi». Così Athlete Ally, l' organizzazione americana che si batte contro l' esclusione di gay, lesbiche, bisessuali e trans dalle competizioni sportive, destituisce la campionessa, che ha vinto 9 Wimbledon e 59 Grande Slam, dal ruolo di ambasciatrice e consigliera. Una decisione incredibile dato che Navratilova si batte per i diritti della comunità Lgbt dal 1981 quando fece un coraggioso e molto ostacolato coming out dichiarando al mondo di essere lesbica.
Lo stesso coraggio che c' è voluto ora per definire «folle» e un «imbroglio» che le donne debbano competere «contro persone che, biologicamente, sono ancora uomini». «Devono esserci dei criteri - aveva spiegato in un articolo uscito il 17 febbraio sul Sunday Times -. Ridurre i livelli di ormoni, la via che la maggior parte delle Federazioni sportive ha adottato, non risolve il problema. Un uomo ha una densità ossea e una muscolatura che si sviluppano sin dall' infanzia».
La polemica nasce dal fatto che dal 2016 il Cio (Comitato Olimpico Internazionale) ha deciso che agli atleti trans non sia più richiesto l' intervento chirurgico né i due anni di terapia ormonale di conversione. Chi passa da uomo a donna dovrà soltanto dimostrare di avere i livelli di testosterone contenuti entro i 10 nanogrammi per litro. Una norma che, secondo alcuni, darebbe un vantaggio innegabile alle atlete trans.
Il problema si porrà già il prossimo anno alle Olimpiadi di Tokyo quando scenderanno in campo diverse atlete nate uomini tra cui la pallavolista brasiliana Tiffany Abreu che, prima della transizione, aveva vinto diversi trofei nella categoria maschile. «Questa è una truffa - ha dichiarato Navratilova -. Centinaia di atleti, che hanno cambiato genere semplicemente dichiarandolo e limitandosi a un trattamento ormonale, hanno vinto nelle categorie femminili quello che non avrebbero mai potuto ottenere in quelle maschili specialmente negli sport in cui è richiesta potenza».
Nella polemica interviene l' americana Billie Jean King, la prima tennista di cui nel 1981 è diventata nota l' omosessualità, che su twitter la invita a stare ai fatti: «Martina è stata a lungo una campionessa degli Lgbtq. Lo so che ha a cuore la comunità trans. Però, invece di lasciarsi prendere dalle congetture, basiamoci su cosa dice la scienza». Ma i dati scientifici non sono univoci. Lo ammette anche Athlete Ally: «Non c' è alcuna prova - scrive - che le donne trans siano più grandi, più forti o più veloci della donna cisgender (che si identifica con il proprio genere ndr ) ma è vero che spesso quando le atlete abbassano il livello di testosterone le loro performance diminuiscono».
Un problema, dunque, evidentemente, c' è. E dovrebbe essere lecito discuterne. «Critico la tendenza degli attivisti trans a bollare come transfobo chiunque abbia qualcosa da dire - spiega Navratilova -. È una forma di tirannia. Io sono una persona forte ma ho paura che altri possano essere ridotti al silenzio».
La verità è che le federazioni sportive hanno paura delle cause. Ne è un esempio il caso che si sta discutendo in questi giorni davanti al Tribunale di Arbitrato Sportivo di Losanna (Tas) dove la mezzofondista sudafricana Caster Semenya, 28 anni, due volte campionessa olimpica e tre volte mondiale degli 800 metri, chiede alla Iaaf, l' associazione internazionale delle federazioni di atletica, di annullare la regola che impedisce alle donne di gareggiare nelle prove superiori ai 400 metri quando abbiano livelli di testosterone nel sangue superiori a 5 nanomoli per litro. Semenya, che è nata donna ma è iperandrogina, vuole correre senza abbassare il suo livello di testosterone. E vincere.
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