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Da gazzetta.it
Mentre i tifosi rossoneri continuano a sognare il suo ritorno, Zlatan Ibrahimovic non smette di stupire con le sue dichiarazioni ad effetto. Uno dei punti forti del suo repertorio: "Io vengo da un altro pianeta - ha detto alla BBC il 37enne attaccante dei Los Angeles Galaxy -. Il mio pianeta si chiama Zlatan Planet: qualche cosa che nessuno ha mai visto. Sono un ragazzo di quella zona che tutti chiamano ghetto: mi vedevano diverso, non mi facevano sentire il benvenuto, ma ho mostrato loro qualcosa di diverso e ora gli altri mi seguono".
"IO COME BENJAMIN BUTTON" — Lo svedese ha poi svelato alcuni retroscena sul suo trasferimento al Manchester United: "Quando ho deciso di andare in Inghilterra ho parlato prima con diversi giocatori che conoscevo. Tutti mi dicevano di non andare - rivela -. Mi dicevano che non sarebbe stato un bene per la mia carriera perché in Inghilterra si viene giudicati dopo appena una stagione. Se non fai bene la prima diranno tutti che non servi a nulla. Queste parole hanno innescato in me la sfida: era quello che volevo sentirmi dire.
Pensavano fossi vecchio; poi io, a 35 anni, ho fatto sembrare la Premier vecchia. Era una sfida e io non le ho mai rifiutate. La Premier dovrebbe esser felice del fatto che io non sia andato in Inghilterra 10 anni prima, altrimenti la sua storia sarebbe stata ben diversa".
Poi, però, il periodo più difficile dovuto all'infortunio al crociato che lo ha tenuto fuori diversi mesi: "Lo United era la squadra giusta per me - dice ancora Ibra -. Il club e la maglia che dovevo far brillare e io l'ho fatto. Lì mi sono sentito come `Benjamin Button´, stavo diventando ogni giorno più giovane. Poi, purtroppo, mi sono infortunato. Quando è successo non ho capito a cosa sarei andato incontro, perché non avevo mai avuto un infortunio serio. Ero come Superman, indistruttibile. Nessuno poteva rompermi. Allora mi sono detto `questo non è modo di smettere di giocare a calcio, voglio tornare e giocare come facevo prima'".
JUVE E CAPELLO — Ibra poi fa un tuffo nel passato parlando del suo arrivo in Italia con la maglia della Juve e riserva parole di stima e affetto per il suo ex allenatore, Fabio Capello: "Dal primo giorno di allenamento alla Juve ho sentito Capello gridare 'Ibra'. Prendeva i ragazzi delle giovanili e li faceva allenare con me: loro crossavano, io dovevo fare gol. Ogni giorno per 30 minuti. Io volevo solo andare a casa perché ero stanco e non volevo più tirare, né vedere la porta e i portieri. Sentivo sempre quell'urlo 'Ibra' e sapevo cosa significasse. Tiravo, tiravo.
Alla Juve mi hanno fatto capire 'qui siamo ad alti livelli, sei un attaccante, quindi devi darci gol. Se non li fai, non abbiamo bisogno di te'. Tutto era nuovo per me: grande squadra, grandi giocatori, grande allenatore, grande storia". Il futuro? Quello potrebbe essere ancora in Italia, stavolta sponda rossonera.
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