DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Paolo Tomaselli per il “Corriere della Sera” - Estratti
Italo Cucci, direttore, commentatore, inviato: lei ha girato il mondo grazie allo sport ma da anni vive su un’isola, a Pantelleria. Si era stancato di viaggiare?
«No, del resto c’è un bell’aeroporto e non rinuncio a lavorare. Un posto come Pantelleria non l’avevo mai visto e dopo il Mondiale 2010, quando un bravo medico di Johannesburg mi salvò la vita, ho lasciato Roma e mi sono trasferito al Sud. Una scelta di vita».
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Ora è commissario straordinario del parco nazionale.
«Ho una passione tale che la gente mi evita, perché parlo solo di quello. Quando ci fu lo sbarco sulla luna, Garcia Marquez era sull’isola e scrisse: ‘Date retta a me, la luna è Pantelleria’. È così».
Prima di capirlo però è meglio girare il mondo?
«È la scuola più grande. Se penso agli anni 70, quando noi giornalisti sportivi eravamo tra i pochi ad andare oltre cortina, in Polonia, Russia, Germania Est: era cultura vera, in mezzo alla gente scoprivi cos’è vivere nel mondo. E il calcio era una grande chiave».
Per far cadere i muri?
«Certo. Da direttore del Guerino la mia politica era: lo sport va dappertutto, nonostante tutto. Per questo, al di là delle polemiche, feci la battaglia per giocare la Davis a Santiago. Quelli che organizzavano i grandi eventi erano convinti di essere intelligenti, ma si rovinavano da soli».
Perché?
«Perché una volta che il popolo respira l’apertura, non si torna indietro: erano rovinati i generali argentini dopo il Mondiale ‘78, lo erano i russi dopo Mosca ’80 in cui mostrarono il ridicolo del regime con gli agenti segreti tutti in grigio con l’ombrellino. Lo sport è un grimaldello».
L’incontro più insolito?
«Con Borges a Buenos Aires, mi viene ancora la pelle d’oca. In trattoria c’è questo signore con gli occhi azzurri che non vedono e l’incarnato pallido: sembra una statua, mi avvicino e mi presento. ‘Come siete divertenti voi italiani – mi dice – ora che ci siete voi il Mondiale è più bello».
Il genio, anche in campi diversi, ha tratti comuni?
«L’insolito, impossibile da catalogare. Al Paradiso di Rimini mi avevano incaricato di fare un po’ il badante e un po’ il carabiniere con Chet Baker: quando suonava eri in un altro mondo e quando finiva dovevi seguirlo in bagno perché andava a farsi una puntura: lo avrei bastonato. Un genio era anche Bearzot».
Lei era tra i pochi che lo difendeva a Spagna ’82.
«Con lui o stabilivi un contatto elettrico o era dura. Litigammo, poi facemmo pace a Budapest: parlammo di tutto, anche di una delle mie figlie, morta di leucemia a 12 anni».
Da ragazzo sognava di fare il giornalista?
«Volevo fare il cantante, ero sempre con Fred Buscaglione e facevo cronache mondane per lo Specchio di Roma, che era il Dagospia di allora».
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I primi scoop sono tutti legati al doping. Un caso?
«Aver fatto cronaca giudiziaria mi dava una marcia in più. A partire dallo scandalo del Bologna: si scoprì che l’inghippo della polverina nelle urine lo aveva fatto il Milan».
Dopo la Corea scovò il c.t.Fabbri in convento.
«Tutti lo spernacchiavano e si era rifugiato a Camaldoli. Si aprì un grosso cancello e comparve accompagnato da un frate: mi diede un dossier in cui i big della squadra ammettevano di aver dovuto fare iniezioni di un liquido rosa».
Poi Merckx dopato nel 69’.
«Sì, al Giro: la notizia me la diede chi curava i prelievi, ma ci vollero giorni per pubblicarla: ero inviato per Guerino e Gazzetta, la notizia uscì sul settimanale e al quotidiano non apprezzarono».
E lo scoop di Berlusconi che poteva comprare l’Inter?
«Fu di Bartoletti, che alla vigilia del Mondiale 1982 confezionò per il Guerino l’intervista in cui Berlusconi raccontava il tentativo, fallito, di comprare l’Inter per suo padre, grande tifoso. Quando lo raccontai nel mio libro, il Cavaliere mi telefonò per dirmi che ero un finto amico».
Lei si chiama Italo in onore di Italo Balbo?
«Sì, era compagno di collegio di mio zio, medaglia d’oro della Grande Guerra. Quando sono nato era governatore della Libia e mandò un messaggio, felice che mi avessero dato il suo nome. Mio padre invece salvò dai tedeschi ladri d’arte grandi opere dei musei italiani nei sotterranei della Rocca Ubaldina di Sassocorvaro, come avevano ordinato Bottai e Argan».
Ha sempre rivendicato le sue simpatie politiche.
«Sono un anarchico di destra, poi ho scoperto che l’aveva già detto Longanesi.
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Sul Guerino fece il titolo «Olocausto», dopo l’ Heysel.
«Scesi dalla tribuna, cominciai ad aprire porticine di legno, finché vidi una catasta di cadaveri e lo dissi a Radio Rai: Ameri si disperò, perché le famiglie non sapevano. Rimasi col ministro De Michelis: i gendarmi ci volevano arrestare per aver messo un fiore sul campo. Un oltraggio».
Rompere l’ipocrisia della droga con Maradona le costò il rapporto con lui?
«Disse che ero un bell’amico perché parlavo di lui e non degli industriali che si fanno di coca. Gli ricordai che era ambasciatore Unicef. La rottura vera fu a Usa ’94. Nel 2006 a Monaco ci riabbracciammo e piangemmo come due idioti. Era un pezzo di pane».
ITALO CUCCI PAOLO ROSSImartina colombari italo cucciitalo cucci josefa idem giorgio calabreseenrico cisnetto italo cucciMauro Mazza e Italo Cucci Italo Cucci e Mauro Mazza Italo Cucci italo cucci
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