DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Giampiero Mughini per Dagospia
Caro Dago, ti confesso che la mia predisposizione iniziale quanto al consumare ore e ore innanzi al televisore da cui sarebbero eruttate le giocate sui campi verdi del Mundial di calcio era fra le più reticenti.
Non c’era soltanto il fatto che le giornate sono di 24 ore, e a me serve tanto quanto l’aria che respiro il leggere i giornali e i libri, l’andare al cinema, vedere le serie televisive sulle varie piattaforme: una costellazione irresistibile, queste ultime.
C’era anche che, a quanto ne leggevo sui giornali, molte partite erano deludenti. A guardare il calcio com’è giocato adesso, venti energumeni che le danno di santa ragione in uno spazio di trenta metri, e a decidere il risultato di un match può essere la papera di un portiere o un rimpallo fortunato o un tiro a come viene viene, il calcio mi appare di tutti gli sport di squadra il meno fascinoso.
Inferiore certo alla pallacanestro o alla pallavolo, ma anche al rugby. Sport dove le grandi giocate, gli exploit più sublimi si contano a decine e decine ogni partita. Hai appena il tempo per vedere e strabiliare, che di già arriva un’altra giocata spettacolare.
Lo sta dicendo uno che il calcio lo ha amato e lo ama e reputa dei poveracci quelli che con l’aria di chi se ne vanta dicono “A me il calcio non interessa”. Altrettali cretini di chi dicesse che a lui non piace la pittura impressionista o il jazz o le storie a fumetti di Hugo Pratt.
Uno sport di squadra inferiore ad altri? Un corno. Ne scrivo a pochi minuti dalla fine di Inghilterra-Colombia, un thriller o una pièce teatrale che mi ha inchiodato per 120 minuti più supplementari. Teatro il più sublime, il più spasmodico e anche se nell’occasione non valgono le parole scritte da Shakespeare o da Pirandello e bensì il modo in cui quello o quell’altro batte la palla con i piedi, e dribbla, e crossa, e tira. Una mischia in area su un calcio d’angolo, e può succedere di tutto. Un contropiede fulmineo, e può succedere di tutto. Un rigore, e può succedere che il portiere ipnotizza chi tira o viceversa che chi tira “scherza” il portiere.
E i contrasti, piede contro piede, spalla contro spalla, ghigno contro ghigno, testa che si avventa a colpire se non fosse che un’altra testa lo squilibra all’ultimissimo momento.
E poi i rigori in finale. Uomini che si aggrappano tutti ai propri nervi, da quanto è stata micidiale la fatica.
La palla sul dischetto, chi tira e chi para che si guardano in cagnesco e ciascuno deve occultare all’altro ogni sua mossa, truccare i suoi movimenti, cercare di innervosirlo. Tirano dapprima i colombiani e poi gli inglesi. I colombiani ne mettono dentro tre come se disegnassero. Al terzo tiro degli inglesi, il portiere colombiano intuisce e vola dalla parte giusta respingendo il tiro pur fortissimo.
E’ fatta? No, il quarto tiratore colombiano colpisce lo spigolo della traversa, laddove il quarto tiratore inglese la mette dentro. 4-4 e mentre a ognuna delle due squadre resta un tiro ciascuna. Il colombiano tira e questa volta è il gigantesco portiere inglese che vola e respinge. Resta il tiro che può essere quello della vittoria inglese. Il tiratore guarda la palla, finge di non guardare il portiere, prende la ricorsa, tira una staffilata che per poco non si porta via la rete. E’ finita. Altro che Pirandello e Shakespeare.
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