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Emanuela Audisio per “la Repubblica”
E vogliamo ancora lamentarci dei nostri mali? Delle salite, delle cicatrici, della fatica di invecchiare? Del fatto che dobbiamo combattere con chi ha dieci stagioni meno di noi? Ma basta, invertiamo la rotta, che ormai nessuno si fa più rottamare, mettiamoci sulla scia di Nadal, che a quasi 36 anni è ancora capace di sputare fuoco. Yes, he can.
Proprio un'impresa Down Under, dell'altro mondo. Dinosauro a chi? Guardatelo: zuppo di sudore, sempre più stempiato, con il naso rosso di chi è sbronzo di fatica. Ma senza fine, come la sua era. Non per il record di 21 Slam, non per aver staccato gli altri, non per aver giocato e vinto la seconda finale più lunga degli Slam (5 ore e 24 minuti), anche l'altra, persa nel 2012 sempre a Melbourne, è roba sua (contro Djokovic, 5h 53'), non per aver trionfato nello stesso torneo dopo 13 anni, non per i 13 titoli del Roland Garros, non per rischiare ora di meritarsi il titolo di chi è più big tra i Fabulous Three.
Ma per ricordarci che non è tutto gioco nella vita, che bisogna prepararsi agli sforzi, alla frustrazione, e non bisogna cedere al disastro, anche se ci cade addosso. Si chiama capacità di durare, di resistere, di non guardare all'infinito, ma al punto da finire, di non sperdersi in quel rettangolo che ora è pieno di sabbie mobili.
E di saper cucire la pazienza, la maggior parte delle volte che lo scambio è durato più di 9 colpi il punto è stato suo. I titoli e i successi contano, ma qui c'è un ex ragazzo che a settembre era in stampelle, operato al piede sinistro, contagiato dal Covid, che dopo aver subito altri interventi a caviglie, ginocchia, schiena, polso, non sapeva nemmeno se considerarsi ancora un giocatore, tanto era vicino al ritiro, sussurrato al suo clan e ora pubblicamente ammesso («Solo 45 giorni stavo pensando di dover smettere»).
Sette mesi di stop nel 2021 per la sindrome di Hoffa quando già nel 2008 il noto chirurgo di origine sudafricane Mark Myerson aveva sentenziato: «È un miracolo che Nadal giochi ancora». Dottore, non c'entrano i miracoli, c'entra la densità con cui è fatto Nadal. Sa cosa dicono in Spagna? «Quando hai perso la speranza, pensa a Nadal».
Due set di svantaggio contro il bizzarro e intelligente russo Medvedev, che sembra un Dostoevskij con la racchetta, e che nel terzo set sul 3-2 con tre palle break pensava di essere ormai padrone di una corrente che dominava. Peccato (per lui) che Rafa sia di quelli che sull'orlo del precipizio non solo puntano i piedi, ma sono capaci di numeri straordinari. In difficoltà io? Ma figuriamoci, ti faccio un paio di palle corte, qualche passante e con un po' di pazienza sul baratro ci finisci tu.
Di quelli che pensano che lo strazio è un dono, un mattone con cui costruire, una possibilità su cui lavorare. Solo da lì puoi comprendere la tua inadeguatezza, cambiare tattica, ritrovare forze. Nadal era stanco, ma anche Medvedev ormai era un rigido baccalà. E non c'è nulla di peggio di andare in fuga, di arrivare quasi al traguardo e di accorgerti che si è allungato, ti hanno ripreso e ora invece di pensare a quello che puoi ancora avere ti biasimi per quello che hai perso. Djokovic, campione uscente assente, e Federer, che di Rafa è più amico, gli hanno inviato le congratulazioni.
Loro lo sanno di essere (forse) più forti e di avere più talento, ma sanno anche quel vecchio ragazzo a quota 21 non è tipo da «ci penserò domani». Quando le piogge torrenziali e l'alluvione hanno colpito Maiorca, Rafa che è di Manacor si è messo gli stivali, ha preso lo spazzolone e ha spalato via il fango. Ospitando gli sfollati nella sua accademia e donando un milione di euro. Non gli si conoscono vizi, se non la maniacalità dei tic, la passione per la Nutella, e per l'andare in mare (con il suo yacht).
Se anche il telecronista spagnolo Alex Corretja, ex tennista di lungo corso, ex numero due del mondo, uno che di finali ne ha giocate e vinte, si mette a piangere all'ultimo punto, vuol dire che al di là del ranking sei il numero uno nello scassare i cuori. E non bastasse c'è sempre Brecht: «Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi; altri che lottano un anno e sono più bravi; ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi; però ci sono quelli che lottano tutta la vita: sono gli indispensabili».
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