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Giancarlo Dotto per Dagospia
Campionato banderuola. Solo padroni a tempo. Tocca al Napoli, dopo Inter, Fiorentina e Roma. Un solo nome. Gonzalo Higuain, detto “Pipita”, figlio d’arte per metà, Jorge detto “Pipa”, un medianaccio che ha pestato calcio nella provincia francese, e di un’artista per l’altra metà, la madre pittrice. Scampato a dieci mesi a una meningite fulminante è sopravvissuto quanto basta per medicare a Napoli l’immedicabile perdita di Maradona. Due gol anche ieri al San Paolo, ufficialmente autorizzato a delirare da capolista, nonostante il finale molto tremulo.
Napoli che vince giocando la sua peggiore partita e Inter che perde, in dieci, giocando la sua migliore. Di gran lunga. Tutto è nella mente, fuor della mente non c’è che il niente, scriveva Thomas Bernhard. Il vantaggio fulminante di Gonzalo, un minuto appena, invece che declamare quelli di Sarri li spaventa, li rattrappisce. Vertigini dall’essere lassù. Storia vecchia. Il concetto impiomba le zampe fin lì alate di Insigne e compari.
L’Inter perde Nagatomo e ritrova se stessa. Sopporta le bestiali giocate di Higuain, si ricompatta attorno al suo fortino, Miranda, Murrillo e Medel e scatena davanti un Ljajic da vecchia gloria romanista (ma perché si rigenerano tutti lontani da Roma?). Suo il pallino che trasforma i dieci di Mancini in una banda di tori e quelli del Napoli in un mucchio di donzelle tremanti. Se la fanno sotto in sessantamila,
De Laurentiis in testa alla catena della sciolta fecale, all’ultimo respiro, l’ultimo minuto, i due pali di Jovetic e Miranda, capolavoro di Reina, leader vero di questa squadra. Cose mai viste. Vista da qui, il Napoli è primo, ma l’Inter non è seconda. Se la Roma resterà a marcire nel suo male, saranno queste due a giocarsela sino in fondo.
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