DAGOREPORT – TOH! S’È APPANNATA L’EMINENZA AZZURRINA - IL VENTO DEL POTERE E' CAMBIATO PER GIANNI…
Mario Frongia per La Gazzetta dello Sport
La roccia è tornata. Con la solita passeggiata in centro dalle parti di via Tola e via Dante, i quotidiani presi da decenni nella tabaccheria di fiducia, le cenette a base di prosciutto crudo e parmigiano o spigola ai ferri, due dita di rosso, da Giacomo, nell' angolo imbandierato e riservato del ristorante Stella Marina, da anni meta di un pellegrinaggio laico. Gigi Riva si racconta alla Gazzetta dopo un anno di silenzio e l' eloquio è fluido, a tratti divertito. Rombo di tuono è storia, valori, forza e magie. Capitoli impossibili da scordare per chiunque ami il calcio. Soprattutto se tifa Cagliari e non scorda il bomber dei bomber in azzurro. «Sì, sto meglio dopo un po' di affaticamento. Ma d' altronde, non sono più un ragazzino».
Settantaquattro anni compiuti lo scorso 7 novembre. Il regalo più bello?
«Un telefono cellulare dai miei figli Mauro e Nicola. Sono loro la mia forza».
Lei è l' icona di un calcio che pare scomparso nei meandri della storia sportiva e non solo. Ed è in discreta forma. Qual è il suo segreto?
«La famiglia.Con le mie nipotine Virginia, Ilaria, Sofia, figlie di Nicola, Gaia e Cecilia, di Mauro, i miei ragazzi mi rendono orgoglioso e felice».
Un anno fa nasceva la pagina regionale della Gazzetta dedicata al Cagliari, e lei faceva da padrino. E' legatissimo a questa terra. Ricordi di un altro Cagliari?
«Scoprii dalla prima pagina del vostro giornale che con un colpo di mano mi aveva preso Andrea Arrica e non il Bologna. Ero giovane, quando arrivai a Cagliari non capii dove ero finito. Poi è stato con i sardi e per i sardi che sono riuscito a dire la mia».
Taciturno e concreto. Questo mondo fin da subito l' ha adottata.
«In trasferta ci urlavano "pastori", e per noi era una carica in più. Lo scudetto? Un' opera d' arte. E forse, se non mi fossi fatto male in Nazionale, ne avremmo potuto vincere altri due».
La storia siamo noi, canta Francesco De Gregori. Quella di Gigi Riva è inossidabile. Da cornice.
Con passato che si riaggancia all' attualità. Ad esempio, quella di uno dei giovani più promettenti del pallone italico. Cagliari ha un nuovo idolo, Nicolò Barella. Che cosa ne pensa?
«Barella è nato nella scuola calcio che porta il mio nome. Fin da bambino mostrava qualità e tecnica superiori alla media. Sì, aveva anche furbizia e voglia di emergere. Voleva sempre vincere e non tollerava che potesse perdere un contrasto o sbagliare un passaggio. Ricordo di averlo seguito, anche di nascosto, da bordo campo. Mi aveva colpito anche per come calciava. Adesso è pronto per volare».
Le ricorda qualche giocatore del passato?
«Tutti mi chiedono di lui. E sapete che cosa non capisco? Che debbano per forza paragonarlo a qualcuno. Nicolò è Nicolò e basta, senza nulla togliere a campioni quali Marco Tardelli o Radja Nainggolan».
Lasciando Cagliari, sarebbe meglio per lui trasferirsi in un altro club in Italia o all' estero?
«Può giocare ovunque. In Inghilterra ne esalterebbero la corsa e la rapidità nel leggere e ribaltare le situazioni. Ma anche qui da noi può completare al meglio la maturazione. Poi le nuove sfide e i grandi campioni aiutano a crescere, qualsiasi maglia indossino».
Si parla di Inter e Napoli. Quale sarebbe la culla migliore?
«Grandi club, ambienti con tradizioni e forti aspettative, guidati da tecnici preparati. Sta a lui decidere e farsi consigliare al meglio. Ovunque può diventare un calciatore importante.
Ha di fronte una carriera di prestigio».
Intanto anche il c.t. Mancini lo ritiene insostituibile nella sua Italia.
«Roberto è stato un grande talento da giocatore, una qualità che ha poi portato in panchina.
Nei club in cui ha lavorato, piazze importanti e con forti pressioni, ha avuto intelligenza e coraggio nel lanciare i giovani. Ho visto nelle sue convocazioni un piglio diverso, quello di chi vuole costruire il futuro, non si accontenta e sa di doversi prendere qualche rischio».
Il tricolore però non sventola solo per Barella.
«Sì, oltre a Nicolò penso anche a Zaniolo, Chiesa, Tonali e gli altri chiamati di recente.
Mancini sta lavorando con scrupolo. Sta aprendo un ciclo dopo la mancata qualificazione al Mondiale dell' anno scorso. Ma si deve avere pazienza.
Per costruire una nazionale competitiva serve tempo. E, soprattutto, non facciamo accostamenti inutili».
Riva, scusi, ma non è che le manca l' azzurro?
«Ho avuto e dato tantissimo alla Nazionale, prima in campo e poi da team manager. Ho conosciuto e goduto delle gioie e dei successi, così come ho sofferto per le sconfitte e i passi indietro. Nella vita tutto serve, adesso non ho rimpianti. E mi godo il riposo e la famiglia».
Parliamo di scudetto: è già della Juve?
«I bianconeri hanno continuità, gioco, giocatori di valore internazionali che pensano soltanto a vincere, organizzazione. Con Cristiano Ronaldo hanno chiuso il cerchio. Il Napoli, invece, prendendo Ancelotti, un maestro di calcio, ha fatto la mossa giusta per ridurre le distanze. Ma la rimonta è dura».
Fabio Quagliarella, 35 anni, capocannoniere in Serie A. Con Immobile è l' unico italiano tra i primi sei giocatori che hanno segnato più di dieci reti. Che cosa succede?
«Non vedo novità, gli stranieri imperano, vengono ingaggiati e trovano quasi sempre le migliori condizioni per esprimersi al meglio. Ma la questione è un' altra». Prego.
«Nei nostri settori giovanili si insegnano tante cose. Ma non come si cerca il gol, il dribbling secco e il tiro, l' attaccare gli spazi senza palla. Formare una punta non è facile. Però si potrebbe ripartire dai più piccoli, con meno sponde e più tiri.
Che poi Quagliarella segni ancora e sia il capocannoniere della Serie A è già una risposta: è sempre stato un professionista serio, di grandi qualità, si è allenato bene e continua a fare la differenza».
Chi le piace tra i giocatori stranieri?
«Mi hanno sorpreso la leadership e il carisma di Cristiano Ronaldo. Sotto porta mi ha colpito il fiuto di Piatek alla prima stagione nel nostro campionato».
E del «cagliaritano» Pavoletti che idea si è fatto?
«Di testa è fortissimo, fa un lavoro enorme per la squadra.
Ma non lo invidio: deve correre dietro, pressare, fare la fase senza palla. Così si arriva anche poco lucidi in area. Ai miei tempi era un' altra storia: pensavo soltanto a farmi dare e a prendere la palla, poi cercavo la porta».
Il Cagliari di Maran dove può arrivare?
«A una salvezza tranquilla.
L' allenatore è serio e preparato, conosce bene la Serie A e sa che cosa vuol dire muoversi per rimanerci. Se c' è da combattere, i suoi giocatori lo fanno. Ricordo che a Catania aveva un gruppo esperto che praticava anche un bel gioco. I tifosi stiano tranquilli, se servono i risultati con Maran arrivano di sicuro».
Magari sperano nel salto di qualità.
«La squadra ha alti e bassi e deve trovare continuità. Ma va detto che la perdita di Castro è e rimane molto pesante. Con qualche altro pezzo di pregio, dopo Birsa, potranno esserci altre soddisfazioni per il Cagliari e il suo pubblico».
Intanto, va avanti l' iter per il nuovo stadio. Sensazioni?
«Avere un nuovo impianto è un' ambizione giusta della società, se ne parla da anni. Sarebbe un impianto di spicco per l' intera regione e non soltanto per le partite di calcio. È giusto che Cagliari e il Cagliari abbiano uno stadio di livello europeo».
Tra i calciatori in attività De Rossi e Balotelli, con 21 e 14 gol in Nazionale, sono i più «vicini» al suo record di 35 in 42 gare.
Un primato che resiste a tutto e tutti...
(Ride). «Prima o poi ci sarà qualcuno che lo butterà giù».
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