AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE DAI LORO…
Alessandro Angeloni per “il Messaggero”
Chi sale (la Lazio), chi scende (la Roma): siamo alle primissime sentenze, se così le vogliamo chiamare. Il derby racconta sempre qualcosa al di là del risultato, che spesso è figlio degli episodi, arbitrali e non. Un qualcosa di indicativo, non di definitivo.
Nell'ultimo Lazio-Roma Maurizio Sarri ha inciso per aver scelto una strada diversa, rimandando la spasmodica applicazione delle proprie idee in tempi migliori: ha scelto una partita di attesa, optando per il contropiede, per il baricentro basso (43,4 metri), per la caccia alla profondità.
Mourinho invece sta andando avanti con le sue forze, il suo carisma ma con una rosa limitata: un gruppo prevalentemente di ragazzini con mancanza di esperienza. Questo fa e farà la differenza per i grandi obiettivi, magari non per il quarto posto.
Nella Roma c'è un esercito di invisibili: Diawara (7 minuti in campionato, 65 in totale), Darboe (0 minuti), Villar (0 minuti in campionato, 69 in Conference), Reynolds (un minuto in campionato e stop), Kumbulla (13 minuti in Conference) e in parte Smalling, (disponibile solo da poco), tutti utilizzati con il contagocce.
Legittimo, ovvio, che José cerchi stabilità prima del turnover, ma giocando ogni tre giorni, la Roma rischia di pagare l'inevitabile calo fisico (15 i calciatori partiti titolari nelle prime 6 gare di campionato, solo l'Udinese ne ha utilizzati così pochi).
Mou ruota in maniera costante solo gli attaccanti. Ibanez e Mancini, così come Cristante e Veretout sono sempre presenti, stesso dicasi per Karsdorp e Viña, mandato in campo nel derby in condizioni precarie.
IL TEMPO PER DUE
Il tempo di cui parla Mourinho è proprio questo: l'attesa che le seconde linee lo mettano in difficoltà e si facciano largo oppure la distanza che separa l'oggi dal mercato di gennaio. E veniamo all'aspetto tattico: la Roma mostra carattere, forza mentale, doti dimostrate anche durante un derby perso, ma denota uno scarso equilibrio.
Calcio offensivo, squadra alta (baricentro a 55,5 metri, più alto della Lazio), voglia di risultato, ma con inevitabili guai difensivi. La squadra subisce troppo, spesso Rui Patricio è tra i migliori (non nel derby) e i difensori sono sotto pressione.
Le partite vinte con il Sassuolo e con l'Udinese, tanto per fare un paio di esempi, come ha evidenziato lo stesso Mou, potevano essere pareggiate o perse. Viceversa, potevano essere vinte quelle di Verona e il derby stesso: due gare in trasferta e sconfitte dopo aver segnato due reti.
E questo dato a Mou non va giù. Il portoghese è soddisfatto della fase offensiva, nel derby più tiri in porta della Lazio, più possesso palla (49 per cento la squadra di Sarri, 51 la Roma), ma non basta. Appunto, serve equilibrio. La Lazio invece ne esce con più certezze. Sarri sta liberando la squadra dagli impegni mentali, dall'ansia dello schema. E così ha vinto il derby: più con le armi di Simone Inzaghi che con il sarrismo.
Difesa bassa, contropiede, ricerca della profondità. Resta chiaro il tentativo del fraseggio, sarriano tratto distintivo, ma la bravura dell'allenatore è stata quella di non forzare la mano su certi principi, perché ha capito, dopo il pareggio con il Cagliari e la sofferenza con il Torino, che non è ancora pronta.
Ci vorrà tempo e qui siamo alle stesse condizioni di Mou, che però sa che in alcuni elementi si potrà crescere poco, mentre Maurizio è convinto che la squadra ancora non abbia dato tutto. Pretende di più da Felipe, sa che Luis Alberto può crescere (anche nei comportamenti) ed essere ancora determinante e che Immobile possa segnare ancor di più.
I problemi in difesa restano, e si sono notati anche domenica, quando la sua squadra ha sofferto in particolar modo le palle inattive della Roma. Qui, Sarri attende risposte serie, e non solo per il derby.
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