DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
Estratto dell'articolo di Matteo Aglio per “La Stampa”
Quando è in circuito Pietro Bagnaia segue suo figlio Pecco da bordo pista, non gli piace stare nel box Ducati e disturbarlo. È una presenza costante ma defilata, su cui il campione del mondo sa di potere sempre contare, fin da quando era piccolo e Pietro si improvvisava meccanico per le prime gare in minimoto. Domenica, però, non era a Barcellona.
Ha visto in tv il terribile incidente in cui è stato coinvolto suo figlio, la moto di Binder che lo travolgeva. «A cosa si pensa in quei momenti? A nulla – riannoda il filo dei ricordi -. Questi ragazzi sono così bravi da lasciare a bocca aperta tutti i tifosi, e io sono tra loro. Quando succede un incidente, a prescindere da chi sia coinvolto, provocherà sempre un enorme dispiacere».
Da genitore, però, è diverso.
«Da una parte sono fatalista, perché rispetto molto l'amore che Pecco ha per le corse. Mi batte forte il cuore ogni volta che parte per una gara, ma il suo stile, il suo modo di guidare, la sua tecnica mi fanno stare tranquillo perché sono consapevole che lui sa sempre quello che sta facendo. […] Per prima cosa guardo se Pecco si rimette in piedi, se si muove: mi basta quell'immagine. Se poi ci saranno cure più o meno lunghe per guarire non importa, così che andrà tutto bene».
La paura accompagna sempre il papà di un pilota?
«Spetta a noi genitori in particolare, che rispettiamo il loro lavoro, sostenerli, non possiamo fare altro. Sono uomini, sanno quello che fanno e li seguiamo».
[…] Pecco mi ha mandato un messaggio vocale quando stava uscendo dall'ospedale: mi ha detto di stare tranquillo, che andava tutto bene, aveva solo un gran male al sedere (ride). Poi mi ha chiamato lunedì mattina».
Cosa vi siete detti?
«Sdrammatizzava quello che era successo, parlava della gara. Ha fatto delle battute e poi gli giravano tanto le scatole, quando succede significa che va tutto bene».
Sapeva di essere padre di un supereroe?
«I piloti hanno una sopportazione al dolore incredibile.
Quando salgono in moto hanno talmente tutto sotto controllo che per loro diventa tutto chiaro. In pochissimi sono capace di farlo guidando una MotoGp».
Pecco ha detto di non spiegare la caduta.
«Come ho detto, era arrabbiato, quindi stava rimettendo insieme tutti i pezzi. Non capisco quella caduta perché i piloti hanno sempre tutto sotto controllo. È come se avessero un computer nella loro mente. Ogni giro fanno sempre le stesse cose, sanno dov'è il limite, tarano quel computer: quando qualcosa non va nel verso giusto, cercano una risposta».
Sono anche umani, però. Binder è immediatamente andato al centro medico per sincerarsi delle condizioni di Pecco.
«A volte rimango scioccato quando sento persone, anche addetti ai lavori, stupide che non ci siano rivalità forti, cattiveria. Questi ragazzi non si risparmiano in pista, ma fuori sono leali e si rispettano. Non capisco perché non debba essere esaltato questo atteggiamento. Mia figlia Carola mi ha detto che Brad è arrivato con gli occhi lucidi, è entrato e ha voluto ad andare a vedere come stava Pecco. Non è stato un gesto forzato». […]
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