vita dulcis vezzoli

PER SEMPRE DOLCE VITA – RACHELE FERRARIO SULLA MOSTRA “VITA DULCIS”, NATA DAL DIALOGO TRA IL VISUAL ARTIST FRANCESCO VEZZOLI E IL DIRETTORE DEL MUSEO NAZIONALE ROMANO STÉPHANE VERGER - A PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI LE OPERE ACCANTONATE NELLE TERME DI DIOCLEZIANO RITROVANO LA POLICROMIA PERDUTA (ANCHE SE IL TRATTO DI VEZZOLI RICORDA FIN TROPPO IL LOGO DELLA FERRAGNI…). PIÙ CHE DISTRUGGERE L’ANTICO, MEGLIO COLORARLO E TRUCCARLO - LA PRIMA SCULTURA FLUIDA DELLA STORIA? L’ERMAFRODITO – LA MOSTRA ICÔNES A PUNTA DELLA DOGANA, A VENEZIA

 

Rachele Ferrario per Dagospia

 

vita dulcis vezzoli

L’arte chiama l’arte. E pittori e scultori in ogni epoca con il loro sguardo ci hanno obbligato a interrogarci sul nostro tempo. Non è scontato. È così. In un presente tanto confuso in cui non sappiamo individuare nuovi miti, l’idolo moderno – avrebbe detto Boccioni - è la Rete.

 

Mi viene in mente questo pensando a due mostre in apparenza lontane: Vita Dulcis, nata dal dialogo tra il visual artist Francesco Vezzoli e il direttore del Museo nazionale romano Stéphane Verger; e Icônes, pensata da Emma Lavigne e Bruno Racine a Punta della Dogana, a Venezia.

 

 

Pur nella distanza, l’intento è simile: raccontare in modo nuovo, con le opere delle collezioni o realizzate ex novo; attivare i sensi, portarci in allestimenti “immersivi”; riflettere sul cambio di passo della cultura e sulla percezione del pubblico. Fondamentale è il recupero dei materiali antichi, il riciclo della bellezza teorizzato da Salvatore Settis nelle sue mostre curate per la Fondazione Prada.

 

vita dulcis vezzoli

Così a Palazzo delle Esposizioni le opere accantonate nelle Terme di Diocleziano ritrovano la policromia perduta (anche se il tratto di Vezzoli ricorda fin troppo il logo della Ferragni…). E per Punta della Dogana il vietnamita Danh Vo ha scovato nei Musei vaticani antiche pezze di velluto decolorate dalla luce, su cui il tempo ha lasciato tracce di crocefissi e calici ostensori che vi erano stati posati sopra, e li ha appesi come reliquie, quasi come una sindone.

 

Viene in aiuto il dialogo tra Sartre e Simone de Beauvoir ne La cerimonia degli addii: l’età è senza tempo; passato, presente e futuro coincidono e si ripetono. Joseph Kosuth, il grande concettuale, ha proiettate queste parole sulle pareti esterne del cubo di Tadao Ando, l’antico portico della dogana: “Tutto il racconto era fatto di cose che si rispondevano. L’inizio creava una situazione che si rinnovava alla fine con gli elementi dell’inizio; per cui la fine ripeteva l’inizio e l’inizio consentiva già di percepire la fine”. Ovviamente non è solo una questione di parole: è lo sguardo che gli artisti ci offrono.

 

vita dulcis vezzoli

A Venezia, nel passato porta aperta su Bisanzio, il fondo oro diventa spazio e luce nel concetto di Lucio Fontana e nell’installazione di Lygia Page; suono ed evocazione della pittura nera di Goya nel video La quinta del sordo di Philippe Parreno. ispirata al nome della casa in cui si ritirò Goya oramai vecchio e senza suoni; vertigine del vuoto e sdoppiamento nel gioco di specchi di Kimsooja. E ancora Danh Vo si diverte a smembrare un crocefisso ligneo e a chiuderlo in un trolley.

 

Ecco, forse la parola chiave è proprio divertimento. Anche il lavoro di Vezzoli, più che emozionare, diverte, e ci offre il suo sguardo sul presente. È una mostra “instagrammabile”, compresi gli occhi truccati delle statue antiche. Non è un caso che Vita dulcis tradotto suoni come La dolce Vita - il film di Fellini tra i più erotici della storia del cinema - e che abbia come sottotitolo “Paura e desiderio nell’impero romano”. Sui maxischermi che trasmettono le immagini dei Peplum di Hollywood e Cinecittà spicca in particolare il banchetto sensuale e grottesco del Satyricon; mentre in “Sebastiane” di Derek Jarman il culto della guerra diventa un abbraccio amoroso.

FRANCESCO VEZZOLI VITA DULCIS 1

 

È una storia raccontata in una lingua nuova, che in alcuni casi può sembrarci pop, per non dire volgare, nel senso che non parla solo alle élites. Più che cancellare la cultura, più che distruggere l’antico, meglio colorarlo e truccarlo; e la prima scultura fluida della storia, come ricorda lo stesso Vezzoli, è l’ermafrodito.

stephane verger foto di baccobruno racine emma lavigneICONES PUNTA DELLA DOGANARACHELE FERRARIOrachele ferrariostephane verger foto di bacco