IL DOPING DEGLI ALTIPIANI - DOPO LA SQUALIFICA DELLA JEPTOO SCOPPIA IL PUTIFERIO IN KENYA: GLI ATLETI ACCUSANO I DIRIGENTI DELLA FEDERAZIONE DI AVER COPERTO IL DOPING - SUL BANCO DEGLI IMPUTATI I MANAGER STRANIERI: “SONO LORO AD AVER PORTATO QUI L’EPO”

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1. KENYA, LA FABBRICA AVVELENATA DELLA CORSA

Enrico Sisti per “la Repubblica

 

RITA JEPTOORITA JEPTOO

La squalifica di due anni per Epo della maratoneta kenyana Rita Jeptoo (tre volte vincitrice a Boston) ha spalancato l’ultima porta, già parzialmente aperta e già macchiata da molti dubbi: alcuni atleti kenyani, fra cui Wilfred Bungei, oro olimpico negli 800 a Pechino, e John Ngugi, oro nell’88 a Seul sui 5000, hanno accusato la loro federazione di corruzione, di aver coperto per anni l’introduzione del doping nel loro paese, attraverso l’assunzione (e la conseguente assoluzione morale) dei tanti manager stranieri, ben 32, chiamati ad allenare e rinfocolare il mito degli “uomini degli altipiani”, in realtà senza rispettare una carta normativa, senza controllo.

 

Si domandano Bungei e gli altri, inclusa tutta l’Associazione degli atleti professionisti del Kenya: «Lo immaginate un ragazzo kenyano che entra in una farmacia del paese e si compra l’eritropoietina?». Non solo non esistono le sostanze, in Kenya, ma spesso neppure le farmacie. Quindi la regia sarebbe altrove, quindi qualcuno importa, «qualcuno nasconde, sa e non si oppone».

 

Hanno accusato il marito della Jeptoo, il suo allenatore, sono risaliti a tutti gli altri possibili complici, chiedono giustizia, sanzioni penali, vorrebbero decapitare i vertici della federatletica kenyana, a cominciare dal suo capo Kiplagat, e infine prendersela con la stessa Iaaf.

 

SISTEMA-DOPINGSISTEMA-DOPING

Secondo gli accusatori le conseguenze della “tolleranza massima” sarebbero sotto gli occhi di tutti da anni: non avendo giurisdizione, lasciandosi muovere e sballottare dall’interno, attraverso manager (i negrieri del maratonismo) che si sono sostituiti alla supervisione degli enti internazionali nella gestione delle “risorse”, il Kenya ha raccolto frutti (che adesso si teme proibiti) contando sul silenzio del sistema e sulla connivenza di operatori abituati a trattare gli atleti con un commendevole doppio passo: allenamento e chimica, a tutela certo della loro “condizione economica”, ma non della salute, né della liceità.

 

Vivere di atletica a qualunque costo, insomma. Per un kenyano vincere una maratona significa guadagnare abbastanza per vivere un anno (100 mila dollari). Alimentare il Kenya equivale ad alimentare le maratone. Nel 2014, 67 kenyani hanno corso almeno una maratona sotto le due ore e dieci minuti, dei primi 150 atleti 85 sono kenyani, nei 10000 28 atleti fra i primi 50 sono kenyani.

 

La metodica dei “manager” si è sovrapposta ai benefici ottenuti dall’atletica africana grazie agli investimenti iniziati durante l’era Nebiolo e poi accresciuti, numericamente, sino ad arrivare a venti milioni di dollari in quattro anni, fra il 2000 e il 2004. Allenamento, scuole, cultura, e sempre più gare, record e possibilmente quattrini.

 

DOPING DOPING

Dov’è il confine? Forse ci ricorderemo del 2015. Sotto i colpi di se stessa, se si sporcano i miti puliti e si spengono le luci più luminose, se la Giamaica tace e il Kenya ribolle, mentre la marcia russa non è mai stata così marcia, l’atletica si piega, cambia, sappiamo cos’era, non sappiamo cosa diventerà. Prima dei Mondiali di Pechino salirà al potere, al fragile potere della Iaaf, il successore di Lamine Diack, dicono Sebastian Coe. Ma cosa aspetta il nuovo presidente e cosa il nuovo presidente si aspetta di poter fare, garantire? Come la Fifa, la Iaaf si è trasformata in un vortice di promesse mancate e di disponibilità economiche sempre meno affidabili.

 

Lamine 
Diack 
Lamine Diack

La Diamond League non ha uno sponsor, per la prima volta nella storia i criteri di ammissione ai Mondiali sono stati riveduti e drastica sarà anche la riduzione delle partecipazioni agli Europei per trasformare i grandi eventi in manifestazioni riservate agli atleti top. Una squalifica, un sospetto, un assegno che non arriva più, un test mancato dopo l’altro. La roccia si sta sfarinando.

 

 

2. DOPARE I MIGLIORI: L’ULTIMO CRIMINE FA ANCORA PIÙ MALE

Emanuela Audisio per “la Repubblica

 

Erano l’ultima illusione del mondo. I corridori degli altopiani. La più grande industria di materia prima: gambe e polmoni. Pusher di fatica. Una fabbrica del motore umano con molte esportazioni all’estero: energia (ex) pulita, che si vendeva benissimo. Il Kenya, 40 milioni di abitanti, 40 tribù (compresa quella del padre del presidente Obama), con uno strepitoso fatturato on the road che fino a pochi anni fa produceva guadagni annuali per 15 milioni di euro (oggi molti di più).

SEBASTIAN COESEBASTIAN COE

 

Non male se si considera che il 75% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno e un direttore di banca con laurea guadagna 500 euro al mese. La fabbrica del successo è in altura: a 2.200 metri, in quella Rift Valley, 300 chilometri a nord-ovest di Nairobi, che all’alba è già piena di ombre che corrono su sentieri sconnessi e pietrosi, tra capanne, mucche, pastori e galli.

 

La nuova manovalanza del mercato del fiato la trovi agli incroci appena fuori Kaptagat o Iten. Run for money. Sono in mille ogni mattina a calpestare le vene aperte dell’Africa. E a sperare di essere messi sotto contratto da un manager straniero (ce ne sono ben 32 in Kenya, molti anche italiani) perché il mondo paga bene questi braccianti della corsa, questi scheletri con poca ciccia che sanno far vibrare la terra. La scienza veniva a studiare la loro dieta, il loro vivere in altura, cercava di replicare la loro fisiologia, poi l’atletica diventata un run and cash, ha iniziato a dopare atleti già «naturalmente » dopati.

 

I manager accusano i dottori locali, gli atleti fanno notare che quel prodotto dopante non è commercializzato nel loro paese, dunque viene da fuori, la federazione kenyana incassa i successi, e solo di recente sta cercando di dotarsi di un laboratorio antidoping. Anche perché ha capito che la sua merce inquinata rischia di non valere più.

 

La Russia ha appena smantellato tutti i responsabili della federazione di atletica, dal capo allenatore Valentin Maslakov, al presidente Valentin Balakhnichev, dopo che una decina di suoi atleti (marciatori e corridori della distanza) sono stati squalificati per valori irregolari. Ma se lì il doping è di stato, in Kenya il crimine è ancora più violento: dopare chi già sorpassa con facilità il mondo significa ammazzare l’ultima verginità dello sport.