RAZZISMO (IN)CONSTANT – CORI RAZZISTI O “SALAME, RIFATTI IL NASO”? PER L’ARBITRO ERANO BUU MA LA DIGOS SMENTISCE: IL PASTICCIO È SERVITO…

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Marco Ansaldo per "la Stampa"

La sera del 23 luglio, allo stadio di Reggio Emilia, qualcuno tra Kevin Constant e gli uomini della Digos aveva problemi di udito che gli hanno impedito di capire bene cosa si gridava dalle curve. Non si spiega altrimenti il pasticcio per cui i poliziotti addetti al controllo delle curve negano che il terzino del Milan sia stato vittima di cori razzisti mentre il giudice sportivo Tosel, sulla base del referto dell'arbitro, ha comminato 30 mila euro di multa al Sassuolo, come se le ingiurie dei suoi tifosi ci fossero state. Stessa sanzione toccata alla Juve per «grida e cori espressivi di discriminazione razziale nel corso dei calci di rigore» al termine del match contro il Milan.

Il caso è rilevante anche perché con l'attenzione che il calcio riserva ai comportamenti razzisti si rischia che si ripeta spesso. Secondo la Digos al lavoro nel trofeo Tim durante Milan-Sassuolo, su Constant si sono riversati insulti degni al massimo di un film di Don Camillo: il peggio del peggio era l'invito «Dai, salame, datti una mossa», per non dire del «Rifatti il naso» che fa supporre la presenza sugli spalti di qualche chirurgo plastico.

Se insulti del genere configurano un grave caso di razzismo da punire con 30 mila euro, a Calderoli ogni volta che parla dovrebbero requisire l'intero patrimonio e ipotecargli la pensione da parlamentare. Qualcosa non quadra. Possibile che Constant, un francese che vive da tempo in Italia e capisce la nostra lingua, abbia potuto offendersi perché gli hanno dato del «salame» in uno stadio, dove da sempre è normale insultare l'onorabilità delle madri di chi gioca e di chi arbitra?

Oppure c'è qualcosa che i poliziotti non hanno colto e che l'ha provocato al punto da scagliare con rabbia la palla verso i tifosi, scatenando fischi e «buu», ragione per cui Tosel ha multato pure lui per 3 mila euro? Al «Corriere dello Sport» l'arbitro Gervasoni ha spiegato nei giorni scorsi che il giocatore gli aveva segnalato gli ululati, tanto che lui aveva invitato lo speaker a dire di smetterla. Poi aveva permesso al milanista di abbandonare il campo e di venire sostituito. Ma Gervasoni, la cui testimonianza fa fede per il giudice sportivo, aveva sentito i «buu» o gli era bastata la parola di Constant? Sono dubbi e domande che vanno oltre l'episodio di Reggio Emilia.

Nella lotta sacrosanta ai comportamenti razzisti che si sono moltiplicati c'è il rischio di fare confusione, come ha detto chi il razzismo lo subisce davvero: Cecile Kyenge. Si è creato un clima per cui un calciatore di colore può credere davvero che lo si bersagli per la sua pelle e non perché lo si vuole provocare esattamente come si fa con un «bianco», trovando mille modi infami di insultarlo. Ricordiamo partite in cui lo stadio ha coperto di «buu» un avversario particolarmente antipatico o sensibile.

O semplicemente troppo bravo, come era Maradona, un bianco. Insomma bisogna distinguere dove c'è razzismo, (ad esempio certi striscioni in cui si contestava l'italianità di Balotelli perché nero) e dove c'è una provocazione imbecille. Capire quando uno stadio prende di mira chi è nero e quando il pubblico scatena la rabbia per un episodio di gioco. Altrimenti ci sarà un «caso» a settimana e Tosel continuerà ad arricchire la Lega con le multe. A proposito, la Federcalcio e la Uefa non avevano detto che le multe devono diventare sanzioni accessorie e il razzismo va punito con la chiusura delle curve?

 

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