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1. LA JUVENTUS, QUANDO PRENDE IL GOL DELL’ATALANTA, DIVENTA PAZZA DI RABBIA. GLI PARTE L’ISTINTO KILLER. LA FEROCIA CE L’HANNO DENTRO ANCHE QUANDO NON STANNO IN PIEDI 2. SUL PAREGGIO DEL VERONA, UN GROTTESCO DOPPIO AUTOGOL CHE RESUSCITA UNA SQUADRA PIÙ CHE MORTA, MANCA ANCORA MEZZA PARTITA, LA ROMA SMETTE DI GIOCARE. RASSEGNATA

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Giancarlo Dotto per Dagospia

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Totti segna il gol del vantaggio per la Roma Totti segna il gol del vantaggio per la Roma

 

Crisi nera. Come chiamarla altrimenti? Non vinci in casa da quasi tre mesi. Otto pareggi nelle ultime undici partite. Il disperante copione di questa Roma sta nella sua replica infinita, una specie di purgatorio dove non si vince e non si perde, ma ci si trascina nella disfatta peggiore, il nulla di fatto.

 

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Sul pareggio del Verona, un grottesco doppio autogol che resuscita una squadra più che morta, manca ancora più di mezza partita, la Roma smette di giocare. Invasa, rassegnata e quasi pacificata dalla puntualità inesorabile del destino. Una dolente accettazione. Quella che trovi negli sventurati dei romanzi di Verga. L’immagine oggi di questa Roma è Miralem (?) Pjanic. L’ennesima prestazione oscena.

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L’inedia fatta calciatore, stanco principino di un sempre più fantomatico talento. L’immagine dello sfaldamento corale è Francesco Totti che, dopo aver fatto il Pirlo per cinque secondi, impreca alla sostituzione prima del calcio d’angolo. Una depressione di gruppo che fomenta gli avversari (sentono l’odore della carne molle) e sollecita la mediocrità dell’umano arbitrario a infierire.

 

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E poi. Questo eterno, nauseante fraseggiare ai bordi dell’area avversaria, cos’è se non una profonda sfiducia in sé, nella possibilità di essere letali? E poi. Le facce tra il sorridente e lo sconfortato al ritorno in campo. La Juventus, quando prende il gol dell’Atalanta, diventa pazza di rabbia. Gli parte l’istinto killer a prescindere dall’Allegri che smadonna inutile in panchina. La ferocia ce l’hanno dentro anche nei giorni in cui non stanno in piedi. In quanto a cattiveria singola e di gruppo, Pjanic e Ljajic insieme non fanno mezzo Bonetti e un quarto di Tevez o di Chiellini. A vedere quei due insieme, ti scappa di gridare “viva Torosidis!”.

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Il pareggio del Verona dice tutto. Il doppio autogol, Astori più Keita, arriva per il modo tremebondo di stare in area, la gamba tremula e fioca è già un presentimento. E poi. I due africani. Dovevano essere la salvezza, sono una disgrazia aggiunta. Non è tornato Gervinho, ma un brocco spompato e irritante. Di Doumbia, meglio tacere. La tragedia probabile sarebbe, ora, che il Milan rispedisse al mittente Destro.

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Detto questo, giusto aggiungere che la quantità di sfiga che si abbatte da mesi su questa squadra ha dell’inverosimile. Tutto il peggio che può capitare capita. Seguitemi per favore. Inorridite romanisti e godete grassi tutti gli altri. Il vichingo del Verona stacca quasi una gamba a Florenzi. Cartellino rosso chiaro. Nemmeno giallo. Azzoppato Florenzi non salta, a seguire il doppio autogol. Ljajic, da fermo l’unica cosa decente, prende la trave a fine primo tempo.

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Tutto questo, dopo Strootman, dopo Castan, dopo Iturbe e Ibarbo. Dopo essersi fatta scippare due punti dal Parma, l’ultimo rantolo di una squadra che, da qui in poi, probabilmente, ne regalerà tre gratis a chiunque. Una cornutissima beffa. Come farsi scippare il portafoglio da uno che ha appena ricevuto l’estrema unzione.

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La Roma di oggi è poca cosa. Una bestemmia fare confronti con il passato. Dietro ha perso tutto. In mezzo, resiste il solo Nainggolan che, per il suo istinto a portare palla, tende, però, a snaturare il calcio di Garcia che, da manuale, pretende invece uno, massimo due tocchi, rapidità, movimento nello spazio e inserimenti.  

 

Rudi dovrebbe tornare a Trigoria da straniero. Da innocente. Come la prima volta che è arrivato. E parlava sfrontato, libero di non sapere. Tenuto a non sapere di questa o di quella logica, di questo o di quel parassita ambientale. Qualcosa oggi lo paralizza e lo intossica. Faccia il suo rito per trovare la formula. Rimettere insieme i cocci di un gruppo.

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Una volta si guardavano e si sentivano leoni, oggi si guardano e si deprimono. Anche perché non trovano più i Benatia, i Castan e gli Strootman. E nemmeno De Rossi. Che ha una grande anima ma, come tutte le grandi anime, conosce il piacere torbido di carezzare la negatività.

 

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Garcia deve fare un patto virile con Walter Sabatini, intravisto molto sofferente in tribuna a Verona. Da capo del branco o capro espiatorio, la pelle in gioco è tutta sua. Tutta sua deve essere la Roma da qui in poi. Rilanciare o perdere tutto. Qualunque cosa sia, con la propria firma in fondo.