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ROMA TRAGEDY - MURA, SCONCERTI, GARANZINI IN CORO: IL BAYERN È FORTE, FORTISSIMO, MA IL SUICIDIO TATTICO DI GARCIA È FIGLIO DELLA PRESUNZIONE

1. TALMENTE ORRIBILE DA NON APPARIRE DEL TUTTO VERO

Mario Sconcerti per “il Corriere della Sera”

 

Il più grande abbraccio di folla per il peggior risultato della storia. Una fine liscia e inverosimile, cattiva soltanto perché alla fine estremamente normale. Quelle che in campionato sono di solito le differenze della Roma, sono sembrate contro il Bayern le vere ragioni del disastro.

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Un centrocampo con un palleggiatore di troppo (Pjanic o Totti), con due ali veloci ma distratte sul gol (Iturbe e Gervinho), una difesa continuamente in difficoltà sui tanti ingressi in area degli interni tedeschi. C’è una spiegazione vera? La prima è che il Bayern individualmente è molto più forte della Roma, differenza che nella somma dei singoli diventa davvero abissale. La seconda è che Garcia si è fatto prendere un po’ da se stesso e ha cominciato attaccando. Questa è la cosa peggiore da fare contro il Bayern.

 

È un avversario troppo abituato a segnare, va tenuto il più possibile fermo sui blocchi di partenza. Far cioè diventare fondamentale anche una sola rete, da qualunque parte arrivi. È col respiro corto che Guardiola diventa normale e s’innervosisce. Se lo attacchi, vai sul suo terreno. Il bluff non è mai un gioco reale. Non resta comunque molta logica al risultato, da qualunque parte si guardi. C’è stata una differenza irreale. Un gol ogni sei minuti nel primo tempo, una lezione continua di calcio.

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Quella che in Italia è una squadra diversa, un laboratorio di modernità, in Europa è stata un sacco da boxe dove sfogarsi così facilmente non risulta alla fine nemmeno terapeutico, solo crudele. Totti, Pjanic, De Rossi, Gervinho, Nainggolan, tutti i migliori autori del nostro calcio non sono mai nemmeno apparsi.È stata sbagliata partita, fin dall’inizio, questo è certo. Ma la differenza tra le squadre è stata imbarazzante. Così la vera scusa diventa che è stato tutto così orribile da non poter essere vero. La giustificazione dei folli. D’altra parte, se avesse senso il risultato, di cosa avremmo realmente discusso fino a ora? E, soprattutto, cosa sarebbe il nostro calcio? 

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2. DIVARIO ENORME: DOPO IL CITY TROPPE ILLUSIONI

Gianni Mura per “la Repubblica”

 

COME in una famosa vignetta di Altan. Uno dice: poteva andar peggio. E l’altro dice: no. Vero, il Bayern è forte, fortissimo, ci puoi anche perdere, ma c’è modo e modo.

Dopo mezzora la Roma era sotto di 4 gol, discorso chiuso. Fatta a pezzi da una squadra molto superiore, che però in Champions era stata sparagnina: 1-0 al City, Boateng al 90’, e 1-0 a Mosca con un rigore di Müller.

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All’Olimpico il Bayern è fiorito, è cresciuto. Un baobab contro un vasetto di gerani. La Roma, intesa come squadra, è come non fosse mai scesa in campo, oppure come se tutti si fossero visti per la prima volta. Molle, confusa e quasi subito sfiduciata.

L’unica buona notizia è il record d’incasso per la società, guastato non tanto dai gol incassati dalla squadra ma dalla controprestazione. Sarebbe il colmo se a condizionare e rammollire la Roma fosse stato il pareggio del City a Mosca.

 

Anche perdendo Totti e compagni sarebbero rimasti al secondo posto con 2 punti di vantaggio sul City. E lì sono. Ma se l’autostima era cresciuta dopo la buona partita a Manchester, forse troppo cresciuta, ora si tratta di rimettere insieme i cocci e ritrovare il gioco ma anche il carattere perduto.

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Il Bayern ha dominato, difendendo spesso a 3 e attaccando minimo con 4 uomini. Ha emarginato dal gioco Totti e Pjanic non randellando ma chiudendo i canali di comunicazione. Chi pensava che Guardiola fosse solo quello del tiki taka è servito. Non si fosse fatto male Maicon, Torosidis non sarebbe andato a destra e soprattutto non avrebbe giocato Cole (al massacro con Robben).

 

È ozioso cercare un capro espiatorio. Da salvare solo Gervinho (dopo un palo e due parate di Neuer, il gol che meritava) e Florenzi. Per il resto male De Sanctis, troppo teneri per questi palcoscenici Iturbe e Yanga-Mbiwa, inesistenti De Ros

 

3. IL SUICIDIO TATTICO DI GARCIA È FIGLIO DELLA PRESUNZIONE

Gigi Garanzini per “la Stampa”

 

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Ma era l’Olimpico di Roma o il Mineirao di Belo Horizonte? Era il 21 di ottobre, nel pieno di una dolcissima ottobrata romana, o il pomeriggio dell’otto di luglio in una calura nemmeno poi così asfissiante come alla vigilia si temeva? L’unico a farsi cogliere dal dubbio, in una vigilia che pareva nel segno di una saggio ottimismo ed era invece di pura presunzione, è probabilmente stato il saggio Maicon. Che dopo la grandinata estiva con la maglia del Brasile, quest’altro 1-7 almeno, grazie a un dolorino al ginocchio, è riuscito a risparmiarselo.
 

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I tedeschi del Bayern invece l’hanno brillantemente replicato. Muller, Lahm, Boateng, a maggior ragione Neuer con una discreta serie di parate strepitose, anche se rilevanti soltanto per il risultato numerico, non certo per l’esito della sfida. Che si è risolta in una massacro, perché la facilità disarmante con cui Robben ha trovato il gol d’apertura mandando a merenda l’impresentabile Cole ha esaltato il Bayern e ha sgonfiato la Roma, come uno spillo fa di un palloncino.

 

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La solita, vecchia storia insomma. La solita differenza che passa in questi anni tra una buona, anzi grande squadra nostrana e una grande squadra europea. Magari non in queste proporzioni, perché non c’è dubbio che al Bayern tutto sia girato per il verso giusto, e la Roma al di là dei suoi demeriti sia stata penalizzata – numericamente - anche da qualche circostanza sfortunata. Però, caro Garcia, sarà anche il senno di poi. Ma siamo sicuri che la Roma possa permettersi di affrontare il Bayern con un 4-3-3 nemmeno riveduto e corretto? Me lo domando perché giusto un’ora prima della partita era arrivato da Mosca quel regalo inatteso, il pareggio del Cska con il City, che avrebbe reso assai più appetibile di prima un semplice pareggio.

 

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Certo, la partita ormai era preparata, certo, la Roma è una squadra votata a far gioco più che a distruggerlo. Ma su quell’altra panchina un certo Guardiola, che ostruzionista non si direbbe, è comunque partito con Xabi Alonso non proprio a marcare, ma di sicuro a flottare su Totti, giustamente individuato come cervello motore della Roma. È vero che nel Bayern ce n’è più d’uno. Ma Cole abbandonato al suo destino contro Robben e Torosidis preso tra Muller e Goetze già prima di giocare parevano un azzardo. Erano invece un suicidio.