DAGOREPORT – MATTEO FA IL MATTO E GIORGIA INCATENA LA SANTANCHÈ ALLA POLTRONA: SALVINI, ASSOLTO AL…
Roberta Scorranese per corriere.it - Estratti
Cavalier d’Arpino il dipinto raffigurante il mito di Diana e Atteone
La polemica più recente è quella nata nella scuola media «Jacques-Cartier» di Issou, una cittadina a 40 chilometri da Parigi, dove alcuni studenti musulmani «si sono sentiti offesi e si sono detti scioccati» dopo che l’insegnante ha mostrato il quadro di Giuseppe Cesari, detto «Il Cavalier d’Arpino», raffigurante il mito di Diana e Atteone.
Cioè un quadro dei primi del Seicento dove un gruppo di donne nude si muove in preda all’agitazione quando queste si accorgono di essere osservate da un uomo, un cacciatore. Atteone, appunto, che passava di lì per caso e che ha appena visto la più scontrosa e umbratile delle dee, Diana, vessillo di castità, mentre faceva il bagno attorniata dalle «ancelle».
la stufetta di diana e atteone di parmigianino rocca sanvitale a fontanellato
Questo mito è perfetto per inquadrare l’idea di nudo femminile nel Cinquecento, periodo in cui le immagini di donne senza veli si diffondono da Venezia a Napoli (per la verità, dopo la Controriforma, la città-cardine di questa tendenza divenne Firenze): qui lo sguardo che umilia le donne non è quello di Atteone, che passava di lì per caso. Il gruppo di donne nude, bellissime e in carne, è fatto per gli occhi di chi guarda. Per i ricchi committenti, per i mercanti stravaganti, per la nobiltà che poteva permettersi una bellissima Venere di Tiziano da tenere in casa. Quasi sempre dietro ricchi panneggi da scostare in occasioni speciali.
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E non solo nel tardo Rinascimento, perché l’episodio più singolare risale al secolo scorso, quando il quadro più scandaloso di tutti i tempi, «L’origine du monde» di Gustave Courbet (per capirci, quello che raffigura una vagina in primo piano, del 1866, oggi al Musée d’Orsay di Parigi) venne acquistato dal famoso psicoanalista Jacques Lacan. Il quale, nonostante l’epoca decisamente più anticonformista, non ebbe il coraggio di esporlo in casa e chiese al pittore André Masson di realizzare una tavola apposita per coprirlo.
l origine du monde di gustave courbet 1866
Il corpo delle donne è stato da secoli un corpo da «guardare», fatto per scomparire nella visione privata, quasi sempre esercitata da occhi maschili. Ninfe, dee, personaggi mitologici e persino biblici: da Susanna spiata al bagno dai vecchi lussuriosi del villaggio fino a Betsabea che viene notata dal re Davide mentre si immerge nelle abluzioni purificatrici. O Giuditta, che quando decapita il condottiero nemico Oloferne è seminuda, perché è stata invitata a entrare nella tenda dell’uomo mentre faceva il bagno.
È sul corpo femminile che pittori e scultori si sono esercitati per millenni nell’intento di stabilire nuovi canoni e iconografie: la Venere pudica, la Venere «dalle belle natiche», la Venere accucciata, la Venere dormiente. È sempre lo sguardo maschile che ha «inventato» il corpo avvizzito delle vecchie, altro filone pittorico molto interessante, dove spesso al decadimento fisico della donna viene associato qualche disturbo psichico o fisico. L’esempio più brillante — anche perché punto di partenza di numerosi studi sulla fisiognomica — è La vecchia di Giorgione (1506 circa), oggi uno dei capolavori delle Gallerie dell’Accademia di Venezia.
??doppio ritratto del nano morgante di agnolo bronzino 1553
E il corpo maschile? Altrettanto importante, se non più interessante il suo percorso, anche perché qui troviamo statue gigantesche che troneggiano nelle piazze (il David di Michelangelo), muscoli che guizzano nelle volte dei palazzi pubblici, corpi bellissimi e perfetti che non devono stare nascosti, anzi: nella maggior parte dei casi sono il suggello della gloria di Dio fatto uomo, sono la perfetta esaltazione della fama, del prestigio, dell’eroismo. Ma questo percorso non è sempre così lineare, anzi. Il corpo maschile sfugge spesso alle categorie, prende strade inattese. Qualcuno ricorderà che nel 2019 la Royal Academy of Arts di Londra, per la mostra «Renaissance Nude», decise di applicare la parità di genere anche nella pittura e di esporre tanti nudi femminili quanti quelli maschili. Tim Marlow, il direttore del museo, dichiarò che «esplorare il corpo maschile era stato molto interessante» e aveva ragione.
Per esempio, il ritratto del Nano Morgante, il più famoso dei cinque buffoni che vissero alla corte di Cosimo I de’ Medici, quadro di Agnolo Bronzino. Due in realtà le tele, in un fronte retro affascinante: la parte davanti e quella delle terga, sono un piccolo trattato di anatomia per raccontare questa leggendaria figura, qui rappresentata come «Uccellatore», cacciatore di volatili, poiché a un nano di corte non era concesso cacciare animali di taglia più grande.
E poi ci sono i corpi fluidi, quelli maschili che prendono vita da una matrice femmina e il contrario. C’è l’ermafrodito Borghese (oggi al Louvre) statua del II secolo d.C. che raffigura un ermafrodito dormiente la cui fisionomia nasce da quella delle Veneri distese, dunque si tratta di uno sconfinamento di genere. Curiosità: il materasso — in marmo di Carrara — venne realizzato da Gianlorenzo Bernini nel 1619 su richiesta del cardinale Borghese.
E c’è il dipinto di Jusepe de Ribera, uno dei quadri più curiosi del Seicento, Maddalena Ventura con marito e figlio: sembra un uomo che allatta, ma è una donna, una reatina di Accumoli, che — come si legge in un’incisione sulla destra del quadro, oggi al Prado di Madrid — «quando aveva 37 anni di età inizio a coprirsi di peli e a sviluppare una barba così lunga e rigogliosa che potresti vederla su un maestro barbuto». Probabilmente la donna soffriva di ipertricosi, disturbo che provoca l’accrescimento della peluria in diverse zone del corpo. Quindi, puro carattere documentaristico, ma che nulla toglie alla sconfinata varietà del corpo maschile (o femminile, come in questo caso, ma è proprio nelle strane intersezioni di senso che sta il bello).
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