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Riccardo Pratesi per gazzetta.it
Manu Ginobili si ritira. A 41 anni dice basta. Lo fa a modo suo: col basso profilo. Quello da fenomeno l’ha sempre e solo riservato alla sua versione da parquet. Quella da feroce vincente. Fuori, quando è solo Manu e non Ginobili, ha sempre messo la famiglia, la franchigia e i compagni di squadra, davanti a lui. L’ha fatto anche nel giorno dell’addio. L’annuncio sui social recita: “E’ stato un viaggio favoloso, di 23 anni. Che chiudo con immensa gratitudine nei confronti di famiglia, amici, compagna di squadra, allenatori e tifosi. Sono andato oltre i miei sogni più ambiziosi”. Lo scrive in spagnolo e in inglese. Ma il senso è riassumibile da una parola sola: fine.
IL CAMPIONE — Manu aveva ancora un anno di contratto con gli Spurs. Ma la famiglia, citata per prima nel suo addio, chiamava da tempo. E per un vincente come lui, questi Spurs, che comunque lo volevano indietro per un ultimo giro di giostra, perché la sua leadership serviva in campo e fuori, non avevano l’appeal dei giorni belli. Le battaglie di ogni sera, per le 82 sere di stagione regolare, sarebbero state semmai per qualificarsi ai playoff. Per lui che in maglia Spurs ha vinti 4 titoli: 2003, 2005, 2007 e 2014. Cinque volte finalista, due volte terzo quintetto Nba, 2 volte All Star. Ma i riconoscimenti individuali gli sono sempre interessati poco: partiva storicamente dalla panchina, Manu. Per essendo fenomeno e leader di spogliatoi. Eppure il bene della squadra oltre il suo, sempre. E’ il motivo per il quale è stato amato da tanti e rispettato da tutti, nell’ambiente. Il suo ego non è stato mai più grande del bene comune. Lui che pure ha vinto da sempre. In Europa, da subito in Italia. Miglior giocatore dell’Eurolega vinta nel 2001 l’anno del grande Slam con la Virtus Bologna.
Due volte Mvp del campionato italiano a basket city, dopo l’esplosione a Reggio Calabria. Con l’Argentina il campione di Bahia Blanca ha vinto la medaglia d’oro ad Atene 2004 (quella finale contro l’Italia...) e il bronzo a Pechino 2008. Da vincente e primattore. Da agonista, più di tutto. Certo, l’EuroStep esportato. Certo, le chiusure mancine al ferro. Certo, quelle mani insidiose in difesa. Ma soprattutto Manu è stato un agonista inarrivabile. Capace di vivere per quei secondi finali con la gara in equilibrio. L’adrenalina oltre la paura, il desiderio di vincere oltre il terrore di perdere. La voglia di competere 5 contro 5. Per una sola maglia in Nba. Quella degli Spurs. Scelto col numero 57 al Draft del 1999, bandiera dal 2002 al 2018.
L’UOMO — Manu Ginobili per gli spogliatoi dell’AT&T Center aveva sempre la famiglia al seguito: i figli, la moglie. Lei che parla un inglese con l’accento americano, lui che si esprime con una ricchezza di vocabolario che mezza lega si sogna, ma con il suo accento argentino ad aggiungere il gusto caliente tanto amato dai suoi tifosi nel Texas del Sud. Mai banale, Manu. Semplice. Umile. Una pacca sulle spalle per chiunque. E quando una partita finiva male le spalle larghe per prendersi le responsabilità nel gruppo e di fronte ai microfoni. Pronto a fare la scelta giusta, anche quando era quella scomoda. Quello che parlava con Belinelli in italiano, quello che non alzava l’asticella del rendimento dei compagni solo con l’esempio, ma dicendo la parola giusta al compagno in difficolta.
In Argentina l’hanno idolatrato. In Italia non se l’è scordato nessuno. E a San Antonio, pur tra Duncan e Parker, è stato lo Sperone più amato. Per indole. Perché sul parquet ha sempre dato tutto, regalato spettacolo nel suo stile unico, personale, tra i tanti copycat Nba. E fuori perché è stato uno di loro, a San Antonio. Il “Manu Manu” d’addio urlato alla fine dei playoff di due anni fa dal suo pubblico, è stato da pelle d’oca. Perché Manu i suoi successi li ha condivisi. Con un’infinita di persone. E’ rarissimo, persino per i grandi. Il suo trionfo più grande. Grazie Manu, e “suerte”.
I SALUTI A GINOBILI
Da gazzetta.it
Una bandiera che si ammaina, un mito che scrive il suo ultimo capitolo. Un modello da imitare che decide di smettere. Un avversario da omaggiare. Manu Ginobili è questo e molto altro per l’Nba, che sui social ha fatto arrivare al leggendario 41enne argentino tutto il suo affetto. “Sei l’incarnazione di come il basket va giocato - gli ha scritto Curry -: con passione e gioia. Hai ispirato tanti”. “E’ stato un piacere essere tuo avversario in tutti questi anni - ha rilanciato LeBron -: regular season, Finals, nazionali, è stato sempre un privilegio”. “Sei un vero campione, il mio miglior avversario” rilancia Kobe Bryant.
Ecco i messaggi vip più significativi, a cui si sono uniti quelli di tanti tifosi, innamoratisi del basket grazie a Ginobili, che l’hanno omaggiato con l’hashtag #graciasManu
BELINELLI OMAGGIA GINOBILI
Marco Belinelli per la Gazzetta dello Sport
Manu Ginobili per me è molto più di un compagno di squadra: è un idolo, e confesso che ho sempre cercato di imitarlo. Ricordo il nervosismo nei miei occhi quando mi allenai per la prima volta con lui alla Virtus Bologna: io 15enne, lui già fenomeno. Ho capito subito che non metteva soggezione, ma era umile ed educato. Aveva voglia di migliorare sempre e di vincere.
Ho capito che sarebbe diventato ancora più grande perché faceva cose clamorose con una semplicità tale da renderle devastanti. In Italia e in Eurolega prima, poi in Nba. C’è stato anche quando sono andato in America, ben prima che giocassimo insieme con gli Spurs. Non mi sono mai trovato bene in campo con nessuno come con lui: bastava uno sguardo per intenderci. In coppia siamo stati devastanti.
Vincere insieme il titolo 2014 è stato un sogno diventato realtà, perché siamo cresciuti insieme e gli anni da compagni di squadra sono ricordi indelebili. Da lui ho imparato a non farmi mai mettere i piedi in testa, ad avere sicurezza nei miei mezzi come ha fatto lui, che è sempre andato avanti per la sua strada e facendo appassionare tutti al suo modo di giocare, da cui emergeva il suo grande amore per la pallacanestro e la sua voglia di vincere.
Anche per questo Manu arrivava alle partite preparatissimo: studiava gli avversari nei minimi dettagli, sapeva da dove preferivano tirare, i loro punti deboli. Capiva l’azione prima ancora che succedesse e a fare cose devastanti. L’uomo Manu era anche meglio, una persona genuina, umile e divertente, un padre e un marito incredibile. E, cosa che sanno in pochi, un patito della tecnologia.
Lo avevo contattato di nuovo appena deciso di tornare a San Antonio, ma non gli ho mai chiesto se avrebbe smesso o no, anche se negli ultimi giorni avevo capito. Ora lo spogliatoio degli Spurs non sarà più lo stesso: non c’è più lui, non ci sono più nemmeno Duncan e Ginobili. Dell’anno del titolo siamo rimasti solo io e Patty Mills oltre a Pop. Ma immagino di ritrovare Manu a San Antonio. E i suoi consigli, quelli del mio idolo, continuerò a cercarli.
Marco Belinelli
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