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DAGOREPORT - GIORGIA MELONI SOGNA IL FILOTTO ELETTORALE PORTANDO IL PAESE A ELEZIONI ANTICIPATE?…
Emanuele Gamba per “La Repubblica”
Nessuno ha ben capito perché la commissione tecnica della Fifa, presieduta dall’ex cittì francese Gerard Houllier e zeppa di ex calciatori sconosciuti che vengono da Hong Kong, Finlandia, El Salvador, Sudan, Nuova Zelanda, Giamaica, Finlandia (Blatter è sempre molto ecumenico), abbia consegnato il Pallone d’oro del Mondiale a Leo Messi, una delle più grandi delusioni del torneo.
Aveva un senso inserirlo nella short list dei dieci candidati, compilata prima della finale: se l’avesse decisa a modo suo, non ci sarebbero state discussioni sul vincitore del premio. Ma al Maracanã la Pulce ha fallito, adagiandosi sul pessimo rendimento mantenuto in semifinale e dopo un quarto di finale appena sufficiente. Decisivo per battere Iran, Bosnia e Nigeria, s’è eclissato appena il livello di difficoltà si è alzato, dagli ottavi in poi: viste le premesse e le potenzialità, nella nostra classifica dei migliori Messi non entra nei primi dieci posti.
In questo Mondiale c’è stato di meglio e ce n’è stato persino nell’Argentina, che all’inizio sembrava dipendere totalmente da lui. Alla lunga, invece, sono stati Garay e Mascherano le colonne di una squadra che si è messa a giocare anche bene, e a trasmettere un senso di forza, proprio quando il suo leader ha cominciato a diventar pallido.
Non ci sono subbi, a questo punto, su chi sia stato il più bravo di questa Coppa. La Fifa l’ha piazzato al secondo posto, noi al primo: è Thomas Müller, cinque gol e una continuità di rendimento impressionante. Ha fatto il centravanti, l’ala, la mezzala, il fantasista, anche l’uomo di fatica. È un giocatore pulito, corretto, “normale” perché sembra non avere una dote speciale.
In realtà, la stragrande maggioranza del suo talento sta nel pensiero, sempre lucido e molto svelto. Semmai difetta un po’ in educazione: brutta la risposta data a una giornalista nel dopo finale. Il podio è completato da Arjan Robben (benedetto anche dalla Fifa) e James Rodriguez. L’olandese ha trascinato fino al terzo posto una squadra modesta (e, alla lunga, tradita da Van Persie): non c’è difensore che abbia saputo veramente neutralizzarlo, anche se gli argentini lo hanno contenuto.
Il colombiano è la gemma del torneo, il vero tocco di classe: ha segnato il gol forse più bello (se la gioca con il volo d’angelo di Van Persie e il capolavoro dell’australiano Cahill), ha seminato le delizie più raffinate. Nei dieci entrano anche due portieri (e ce ne poteva stare un terzo, Romero): Navas precede Neuer perché più decisivo. Curiosamente, uno diventerà la riserva dell’altro nel Bayern.
Meritano un posto Neymar, che fino all’infortunio era da Pallone d’oro, e lo meriterebbero moltissimi tedeschi, in pratica quasi tutti: scegliamo Hummels anche per i due gol segnati (ma Boateng ha reso più di lui), Lahm che non ha una virgola nemmeno nelle prime partite giocate da mediano e Kroos, il più raffinato dei neo campioni. È doloroso escludere, oltre che Boateng, anche Schweinsteiger (formidabile tra semifinale e finale), Schürrle, naturalmente Götze e certamente Klose, per il record che ha raggiunto.
Ma questo non è stato un Mondiale per centravanti: i migliori sono stati Benzema, l’algerino Slimani e il messicano Peralta, gli altri bomber più o meno classici e dal nome celebre (Balotelli, Costa, Van Persie, Fred, Higuain, Lukaku, Cavani, Sturridge, Rooney, Dzeko, Drogba, Agüero, Eto’o) non hanno in definitiva lasciato il segno, al punto che una possibile formazione di top 11 verrebbe schierata con il falso nueve. Nella squadra delle stelle avrebbero meritato un posto, oltre ai tedeschi già citati, anche due costaricensi (il difensore Gonzalez, il centrocampista Ruiz), il formidabile Sneijder brasiliano, lo sfortunato Di Maria e il cileno Sanchez, strepitoso ma eliminato troppo in fretta. Tra i meno noti, una citazione per l’algerino Feghouli.
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