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Giulia Zonca per “La Stampa”
La partita della vita è ormai definitivamente l’incontro fantasma. Christoph Kramer era in campo nella finale mondiale vinta dalla Germania contro l’Argentina ma non ne ha memoria e ora sa anche che non la recupererà. Il giorno del trionfo è un buco nero.
Il tedesco non doveva giocare il 13 luglio a Rio de Janeiro. Convocato dal ct Loew all’ultimo minuto e a sorpresa, dopo solo tre presenze in nazionale, era lì per fare esperienza. Mai in campo dall’inizio, in realtà quasi sempre in panchina esclusi gli ultimi 5 minuti del secondo tempo supplementare contro l’Algeria, agli ottavi. Kramer entra al posto di Schweinsteiger perché serve spostare un po’ più indietro la squadra stanca e provata da una sfida più complicata del previsto. Il mondiale del centrocampista doveva ancora iniziare invece è fermo lì, a quei 5 minuti anonimi, privi di storia: un avanzo di partita, la peggiore della Germania in Brasile.
Quel che arriva dopo, l’esordio da titolare, l’ansia nel tunnel, l’epica del Maracanà stracolmo sono solo foto che non rimandano ad alcuna emozione. Immagini quasi dolorose perché è assurdo guardare se stessi in un video e non riconoscersi.
Kramer non sa nemmeno come ci è finito al centro del mondo, a Rio. Gli hanno raccontato che Khedira si era fatto male durante il riscaldamento, che il tecnico ha scelto lui, che era agitato e ha faticato a trovare il ritmo e soprattutto che dopo 17 minuti è finito per terra, semi incosciente, colpito alla testa dal gomito di Garay.
Gli hanno fatto vedere la sequenza: lui che barcolla, fatica a rimettersi in piedi, insiste per giocare, parla con l’arbitro, Rizzoli, poi viene sostituito. Quasi portato a braccia dal medico e dal massaggiatore. Rizzoli dirà a fine gara di aver chiamato la panchina dopo che il ragazzo gli aveva chiesto: «Ma è questa la finale?». Sì era quella, ma Kramer non l’ha vissuta.
Non sa come è arrivato negli spogliatoio, non ha idea di quanto tempo ci ha passato e tanto meno del modo in cui è risbucato fuori per festeggiare il trionfo. Fino alla fine della partita è il nulla, dopo una vaga e surreale consapevolezza di aver preso la medaglia senza capire come mai. Ha baciato e cullato il trofeo, si è fatto un selfie, una prova autoprodotta della sua presenza, lo scatto a cui aggrapparsi per risvegliare percezioni nascoste.
Ha aspettato che tutti quei dettagli, i flash senza trama, trovassero un senso compiuto, ma i medici gli hanno detto che non succederà. Sono persi dopo la botta che lo mandato ko e gli ha tolto il momento più importante della carriera. Vissuto e svanito: quello che esulta è Christoph Kramer, centrocampista del Borussia Mönchengladbach. Solo che non è lui.
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