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Carlos Passerini per il “Corriere della Sera”
C’è un tango che spiega molto, se non tutto: Volver, Tornare, scritto nel 1935 da Alfredo Le Pera e reso immortale — oltre che da un successivo film di Almodovar del 2006 — dalla voce inconfondibile di Gardel, stesso nome dell’Apache, Carlos, e stesse origini, umili. Se il tango si è generato laggiù è proprio perché gli argentini hanno una formidabile vocazione alla nostalgia, al senso della distanza, e del ritorno: ecco perché da tempo la Doce, la Dodici, come viene chiamata la tifoseria azul y oro, sentiva che il volver di Tevez sarebbe stato solo una questione di tempo.
Perché non è il primo, né sarà l’ultimo a riprendere il ballo dopo averlo interrotto. Attenzione: non in Argentina, o a Buenos Aires; Tevez torna a distanza di 11 anni nella «Repùblica boquense», come la battezzarono i cinque immigrati genovesi (Esteban Biglietto, Alfredo Scarpatti, Santiago Sana, Juan e Teodoro Farenga) che il 3 aprile 1905 fondarono il club in plaza Solìs, scegliendo i colori sociali in base allo scafo della prima nave che sarebbe passata. Regina Sophia. Svezia, giallo e blu.
Gli xeneizes, i genovesi, non sono il braccio armato di un bel niente, piuttosto il solido simbolo di una classe sociale, los pobres, gli ultimi, i disgraziati campesinos sottopagati e poveri metropolitani delle villas miserias, come quella in cui Carlitos è nato il 5 febbraio 1984. Fuerte Apache, un posto dove la polizia non entra, e non è letteratura. I tifosi si vantano di essere la metà più uno del paese: non è proprio così ma non è del tutto falso.
Secondo una statistica del Clarìn datata 2009, il 35% degli appassionati di calcio sostiene il Boca; dietro, 10 punti percentuali sotto, c’è il River, la squadra nata nel 1901 come espressione della buon borghesia dei quartieri settentrionali, quindi l’Independiente sostenuto dal popoloso barrio dell’Avellaneda e «l’intellettuale» San Lorenzo de Almagro, «equipo» di Papa Francesco ma anche di Osvaldo Soriano.
MARTIN PALERMO AL BOCA JUNIORS
«Boca no, Boca es otra cosa» ha detto un giorno Carlos Bianchi, il Vicerè, uno che da lì è andato e tornato 4 volte. Come lui l’attaccante (e poi attore) Mario Boyè detto El Atomico, o Diego Maradona, o Martin Palermo, o ancora Juan Riquelme, o Fernando Gago. Un lungo elenco di nostalgici, ballerini del fùtbol che non hanno resistito alla melodia della Bombonera, lo stadio che balla, costruito dove una volta c’era una fabbrica in cui si adoperava lo sterco dei cavalli per fare i mattoni.
Splendori e miserie, irresistibili. È quello che lo scrittore Marcos Aguinis ha definito «l’atroce incanto di essere argentini». Perché, come dice una strofa di Volver, «vent’anni non son niente», pur di tornare. Il tango è un pensiero triste che si balla, e ora gli juventini lo sanno.
BOCA JUNIORS LA DOCEBOCA JUNIORS
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