Mass di Bernstein diretta da Damiano Michieletto a Caracalla
Pierachille Dolfini per “Avvenire”
Rovine. Di una civiltà che ha costruito muri. Tanti restano ancora drammaticamente in piedi, molti sono crollati, lasciando un cumulo di macerie. Sulle quali provare a ricostruire. Come sempre, dopo le grandi crisi.
L'immagine potente che chiude Mass di Leonard Bernstein è un'immagine che prova a far intravedere una luce. Una speranza che può nascere da quelle rovine. Messe lì, tra altre rovine, quelle antichissime di Roma, delle Terme di Caracalla. «La cornice ideale per questo "pezzo teatrale" come lo definiva il suo autore. Perché Mass non è un musical, non è un'opera lirica, non è un oratorio, ma è un po' tutto questo» riflette il regista Damiano Michieletto quando si sono spenti da poco gli applausi che venerdì (oggi ultima replica) hanno salutato la prima rappresentazione scenica in Italia di Mass - ce n'era stata una in Vaticano, in Aula Paolo VI, voluta da Giovanni Paolo II per il Giubileo del 2000.
Damiano Michieletto a Caracalla
Un pezzo corale, dove si intrecciano ritmi e generi diversi, commissionato a Bernstein per l'inaugurazione nel 1971 del Kennedy center for performing arts di Washington da Jacqueline, vedova di John. Il compositore (alla prima a Roma c'era la figlia Nina) pensò a una messa, come dice il titolo inglese, dove il testo latino della liturgia si fa teatro e si intreccia con le parole (in inglese) della vita.
Mass alle terme di Caracalla, diretta da Michieletto
Le parole della crisi. Perché il Celebrante cerca di celebrare il rito, ma è continuamente interrotto dal popolo degli street singers. Che lo contestano, lo provocano, lo mettono in crisi. Al tempo fece scandalo (indagò l'Fbi e il presidente Nixon disertò la prima), in un tempo in cui il mondo era ancora scosso dalle contestazioni del '68 e convalescente per le ferite della guerra in Vietnam.
Mass alle terme di Caracalla, diretta da Michieletto
«Mass spazia dalla polifonia al jazz al rock. Parla di libertà, di solidarietà, di fratellanza, di comunione. È una riflessione sulla vita nella quale Bernstein ha voluto mettere tutto ciò che poteva, le suggestioni musicali più diverse. E solo lui in quel momento storico se lo poteva permettere» racconta Diego Matheuz.
mass alle terme di caracalla corpo di ballo ph fabrizio sansoni opera di roma 2022
Per il direttore d'orchestra venezuelano «quando apri la partitura resti impressionato dalla complessità della scrittura che tiene insieme gli opposti. Poi inizia a dirigerla e tutto funziona magnificamente. Mass è un pezzo pieno di energia. Se riesci a mantenere questa energia anche nei momenti più pacati, cantabili ecco che hai trovato quel filo rosso che tiene insieme le grandi differenze presenti nella partitura » racconta Matheuz che ha diretto orchestra e coro dell'Opera di Roma, i giovani del Fabbrica young artist program e quelli della Scuola di canto corale del Costanzi, gli street singers (il meglio dei performer del musical in Italia) ai quali si sono uniti i danzatori del Corpo di ballo dell'Opera. Un esercito di artisti capitanato da Markus Werba, il Celebrante.
mass alle terme di caracalla markus werba (celebrante) ph fabrizio sansoni opera di roma 2022
«Una comunità che si ritrova intorno ad un tavolo con un desiderio di condivisione, di pace, di fratellanza e di serenità» racconta Michieletto che ha firmato la sua prima regia a Caracalla dove l'Opera di Roma è tornata per la stagione estiva dopo lo stop di due anni imposto dal Covid.
mass alle terme di caracalla corpo di ballo ph fabrizio sansoni opera di roma 2022
«Fare Mass qui - dice -, portarla fuori dalla cornice di un boccascena teatrale offre allo spettacolo il valore di un evento collettivo».
Una comunità che Michieletto mette in scena. «Un racconto che parte con la forza di un musical sfrenato, ma dove ben presto si rompe qualcosa perché il Celebrante non riesce a celebrare la messa, continuamente interrotto dagli steet singers che lo provocano, mettono in dubbio la sua fede, mandandolo, inevitabilmente, in crisi.
Jaqueline Kennedy e Leonard Bernstein
E in questa crisi c'è la crisi di una civiltà che cerca una spiritualità e non sa più dove ritrovarla» racconta il regista veneziano che ha voluto sul palco tre grandi gru disegnate da Paolo Fantin. «Perché il popolo costruisce un muro. Alza una barriera che è l'esatto contrario della comunione che viviamo nella liturgia eucaristica» spiega il regista che ha riletto la grande pagina di Bernstein come una metafora del nostro tempo. «I tanti muri di oggi, dal Messico alla Palestina passando per l'Ungheria. Chi deve difendere la propria ricchezza erige muri.
damiano michieletto
Ma i muri li portiamo anche dentro di noi: sono le nostre paure, i nostri pregiudizi, rappresentano l'impossibilità di comunicare, la volontà di sottrarre agli occhi quello che c'è dall'altra parte, per chiudersi nelle proprie sicurezze». Li vediamo nei video di Filippo Rossi, mentre il dolore di chi è ai margini rivive nelle coreografie di Sasha Riva e Simone Repele. «E il Celebrante rivive su di sé alcune tappe della vita di Cristo, specie i momenti della Passione: schernito, messo in croce, alla fine rinasce a nuova vita. E il grande muro viene distrutto, restano solo le macerie». Sulle quali (ri)costruire il futuro.
Leonard Bernstein dirige Mass - 1971 Leonard Bernstein Leonard Bernstein dirige Mass Leonard Bernstein dirige Mass - 1971 Leonard Bernstein dirige Mass - 1971 Leonard Bernstein dirige Mass - 1971