Loredana Lipperi per "la Repubblica"
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Molti anni fa, in una galassia lontana, c' erano i blog, dove persone di ogni provenienza e interesse scrivevano post spesso lunghissimi parlando di cibo, di moda, di make up, di sport. E, certo, di politica, cinema, letteratura, filosofia.
All' epoca, destavano curiosità e speranza, e presagivano un futuro di saperi condivisi in cui storie e musiche avrebbero vagato da un continente all' altro, gratuitamente. All' epoca, i blogger facevano tendenza, e non importa se scrivevano di libri o del gatto o di alpinismo o si fotografavano le scarpe.
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All' epoca, nei singoli blog si parlava di un po' di tutto, non era ancora tempo di specializzazioni e di nicchie - che si delineavano, certo, ma non erano un vincolo - e non si doveva per forza essere fashion e food e mom, ma molto spesso si era tutto questo insieme.
Bello, mi disse un colto comunicatore culturale: ma i blog sono portatori di un linguaggio specifico? No, risposi io, perché i blogger sono diversi gli uni dagli altri e usano linguaggi non uniformi. Non hanno creato una narrazione specifica: ne hanno ospitate tante.
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Con i dovuti distinguo, la sensazione è che non esista neanche una lingua dei social. O meglio, esistono delle specificità, ma non hanno dato vita a un genere, non c' è una lingua d' oïl di Facebook: certo, molti titolari di bacheche assai seguite hanno pubblicato libri che raccolgono e ampliano i loro status.
Certo, la politica si fa più sui social che nelle piazze e, a ben vedere, nella vecchia televisione. E, certo, esiste una contrazione del linguaggio stesso: se si paragonano i discorsi dei politici del passato ( li analizzò Gabriele Pedullà in Parole al potere, Bur) a un tweet la differenza è evidente.
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Ma, appunto, è impossibile dare un quadro univoco. Su Facebook, al momento, sfilano sulla timeline il lungo intervento di un poeta sulla morte di Berlinguer, l' articolo 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare postato da un giornalista, uno scrittore che pubblica ampi stralci della recensione al suo libro, due righe maiuscole su sfondo fucsia contro il gay pride, la foto di un paragrafo di La Storia di Elsa Morante dove si contesta l' uso della consecutio temporum (di Morante medesima).
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Certo, ognuno di noi ha la propria echo chamber, costruita negli anni e rafforzata da Facebook negli ultimi tempi. Certo, nessuno ignora il vasto mare di "Buongiornissimo", di foto di tazzine di caffè e di cuccioli, di insulti con varia destinazione, esattamente come avviene nella vita di carne, dove in uno stesso vagone della metropolitana puoi incontrare quello che legge Elias Canetti e quello che guarda video di motocross sul telefonino.
Ma ciò che i linguisti sostengono è che il linguaggio dei social è ibrido, combina elementi di scritto e parlato, e che insomma non c' è mai nulla di definitivo. L' e-taliano, come lo definì Giuseppe Antonelli, è una lingua neopopolare, alla portata di chi non ha avuto fin qui dimestichezza con la parola scritta.
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È vero: semplifica ( ma non sempre) la grammatica, abbrevia (ma non sempre) alcune parole, fa ricorso ( ma non sempre) al dialetto o all' inglese, definisce le emozioni con le immagini ( emoji, gif, meme), ma non necessariamente. E non necessariamente i testi sono brevi e zoppicanti.
La sociolinguista Vera Gheno ha pubblicato un imprescindibile saggio che si chiama Social- linguistica. Italiano e italiani dei social network (Franco Cesati editore), dove parla di "lingua liquida": "le lingue della rete, ma anche solo dei social, sono tante.
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Dipendono dal contesto, dal tema della conversazione, dagli interlocutori", scrive. Così come cambiano i comportamenti, che non sono riconducibili a una sola tipologia: ci sono gli odiatori, ma ci sono anche i pensatori, ci sono i rancorosi e ci sono gli attivisti della condivisione generosa.
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Quello che semmai è tratto molto comune è il non rendersi quasi mai conto che quello che si scrive è pubblico, e che ha conseguenze, si tratti di un' analisi sulla decadenza dell' editoria o dell' invito, non necessariamente sgrammaticato, a prendere i fucili contro i migranti.
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Che sia e-taliano o "italiano digitato", sempre italiano è, e la lingua, scrive ancora Gheno, si dimostra "contemporaneamente unificatrice e separatrice: unificatrice tra persone che comunicano in maniera simile, e su temi condivisi, separatrice nei confronti di ' diversi', includendo in questa categoria anche gli utenti inesperti".
Basta avere un po' di fiducia, e non ostinarsi a pensare che il male sia dentro la rete: non è così, da nessun punto di vista.
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