1 - IL CONTROLLO DELLE FUNI NEL 2020 "DOVEVANO DURARE ALTRI 8 ANNI"
Estratto dell’articolo di Diego Longhin per "la Repubblica"
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(…) La Leitner di Vipiteno, società che si occupa della manutenzione, dice che «l' ultimo controllo magnetoscopico della fune è stato effettuato a novembre del 2020 e gli esiti dello stesso non hanno fatto emergere criticità ».
Un esame che sottopone i cavi a una sorta di raggi X per vedere le condizioni interne delle corde di acciaio che nel caso dell' impianto del Mottarone sono doppie: una traente, trascina su e giù la cabina, l' altra portante. La sostituzione dei cavi era prevista per il 2029, fra otto anni. «Sarà tutto oggetto di verifiche di carattere tecnico nei prossimi giorni », sottolinea Olimpia Bossi, procuratore della Repubblica a Verbania.
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(…) Ultime revisioni? Quelle più consistenti nel 2001, dopo un periodo di degrado che aveva portato alla chiusura, e poi nel maggio 2016, dopo due anni di stop. Intervento per adeguare i sistemi alle nuove norme con un investimento di 4,4 milioni.
Diverse le opere realizzate, dalla sostituzione delle apparecchiature elettriche al rifacimento delle quattro cabine, dalla sostituzione dei trasformatori di alimentazione con un sistema ridondante, che permette l' esercizio in caso di guasto. Sostituiti anche i rulli di scorrimento sui piloni e le pulegge del sistema di soccorso.
serena cosentino mohammed reza shahisavandi
(…) Nel 2016 è stata fatta anche la magnetoscopia, l' esame ripetuto lo scorso anno senza risultati negativi. La presidente Anef, associazione di categoria delle imprese che gestiscono gli impianti di risalita è senza parole: «Sono gli impianti più sicuri al mondo - dice Valeria Ghezzi (…) »
L’ARTICOLO INTEGRALE
2 - «Un forte sibilo poi lo schianto» Ormai la cabina era quasi in vetta
Giusi Fasano per il "Corriere della Sera"
«Otto, dieci secondi al massimo». Matteo, uno degli uomini del Soccorso alpino, guarda in alto verso la stazione d' arrivo della funivia e prova a immaginare il tempo che ci è voluto per precipitare da lì al punto in cui si trova lui, davanti alla cabina accartocciata. «Dieci secondi al massimo», appunto. Un tempo infinito se sei intrappolato in una scatola a venti metri d' altezza e stai scivolando in giù veloce, sempre più veloce.
soccorsi alla funivia stresa mottarone
Dieci secondi per capire che non c' è salvezza, per vedere la morte avvicinarsi, per pregare, forse; certamente per urlare. Poi il tonfo, il silenzio, e un uomo che chiama i soccorsi così scioccato da quella scena da non riuscire quasi a parlare. «È precipitata, la cabina è precipitata», dice la sua voce quando trova la via per uscire. Provano a calmarlo ma lui ha visto quella cabina indietreggiare, balbetta, trema.
tal peleg amit biran e i figli tom e eitan
È andata così, ieri a Stresa. L' allarme di quell' uomo - che aspettava l' attracco della funivia su, al Mottarone - è stato l' inizio di una giornata drammatica. La notizia fa il giro del mondo in pochi minuti: è venuta giù una cabina della funivia che parte dalla sponda piemontese del Lago Maggiore per raggiungere proprio il panoramico Mottarone, a 1.500 metri di quota. A bordo c' erano quindici persone (un numero ridotto in osservazione delle norme anticovid) e se n' è salvata soltanto una, un bambino che i medici del Regina Margherita di Torino stanno cercando di strappare alla morte.
Weekend da zona gialla, sole, temperatura perfetta e impianto funzionante. Coppie e famigliole con bambini salgono a bordo per raggiungere il Mottarone che da queste parti è una località star per i turisti. Boschi, passeggiate, rifugi dove pranzare e il lago sullo sfondo per mille fotografie.
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È più o meno mezzogiorno. La cabina sale lenta, come sempre. Sobbalza un po' a ogni pilone, com' è normale. Sembra di vederli, tutti, con gli occhi incollati ai finestrini a guardare il panorama lontano o il fitto bosco di abeti e larici al di sotto. Ci sono tre bambini, in quella piccola folla. Due sono nati nel 2015, l' altro invece ha due anni. I dodici adulti sono in gran parte italiani o residenti in Italia, qualcuno è di nazionalità israeliana e uno iraniano. C' è divertimento, nell' aria, leggerezza.
DARIO PREZIOSO
Si passa l' ultimo pilone, ancora pochi istanti e ci siamo. La cabina sta per arrivare alla meta. Mancano pochissimi metri all' attracco quando succede qualcosa. La fune «traente» si spezza e l' uomo che lavora per la funivia e che sta aspettando gli ospiti a monte vede la cabina tornare indietro, giù. Il cavo, spezzandosi, quasi lo colpisce.
Quella scatola volante e il suo carico umano scivolano indietro veloci. In una eventualità del genere i freni di emergenza dovrebbero entrare in funzione e tenere fermo l' abitacolo in attesa dei soccorsi ma non succede niente di tutto questo. La cabina scende all' indietro e torna verso l' ultimo pilone appena superato in salita. È la fine. Arrivando in quel punto la parte che fa da gancio scarrucola e precipita sulla «pista» degli alberi tagliati che segna l' intero percorso del viaggio Stresa-Mottarone.
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Quando tocca il suolo la cabina crea una specie di cratere, «come se fosse scoppiata una bomba», per dirla con le parole di chi ha visto la scena. Ma non è ancora finita. La pendenza è così elevata che quelle lamiere ormai accartocciate rotolano più in giù di altre decine di metri fino a fermarsi contro gli alberi.
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Quando i primi soccorritori arrivano sul posto trovano soltanto cinque persone ancora dentro la cabina, tutte morte, fra loro un bambino. È la vittima più piccola, si chiamava Tom, aveva due anni. Gli altri sono stati sbalzati fuori dalla violenza dello schianto, alcuni a 30-40 metri di distanza. Tutt' attorno, per un raggio di decine e decine di metri, sono disseminati zainetti, borse, pezzi di vestiti, occhiali, telefonini, scarpe...
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Si sente soltanto un vento leggero e caldo che arriva dalla valle, nessun rumore a parte i passi e il vociare degli uomini che cercano di capire se qualcuno è ancora vivo. Lo sono i due bimbetti di cinque anni. Li portano via con l' elicottero, le condizioni di uno dei due, Mattia, sono disperate, gli restano poche ore di respiro prima che il suo cuore si arrenda, al Regina Margherita di Torino. L' altro piccolino, Eitan, è israeliano ed è l' unico sopravvissuto di questa storia nera.
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Agli uomini del Soccorso alpino, ai vigili del fuoco, agli operatori del 118, ai carabinieri e tutti gli altri arrivati davanti alla cabina, tocca fare i conti con uno scenario di morte che non dimenticheranno mai più. Quel che resta di quella gente è coperto dai teli di alluminio usati per il soccorso in montagna. Vicino alle lamiere accartocciate della cabina c' è - in parte attorcigliato - il cavo che ha ceduto.
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«Un solo cavo è tranciato, gli altri sono intatti» dice il tenente colonnello Giorgio Santacroce, comandante del Nucleo operativo dei carabinieri di Verbania.
Se a spezzarsi fosse stata una fune portante ci sarebbe stata l' altra in grado di tenere il peso della funivia e consentire il salvataggio. Ma - dicono gli esperti - quando a rompersi è il cavo di trazione la sola salvezza può arrivare dai freni che, evidentemente, ieri non hanno funzionato come avrebbero dovuto.
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Già da ieri sera è al lavoro una Commissione ispettiva voluta dal ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili per individuare le «cause tecniche e organizzative» dell' incidente. E mentre la procura apre un fascicolo penale con le prime ipotesti di reato (cioè omicidio colposo plurimo e lesioni colpose), i gestori della funivia fanno sapere attraverso l' avvocato Pasquale Pantano che «controlli, verifiche e manutenzione sono tutti a posto. Quel che è accaduto è tutto da verificare».
È sempre il ministero delle Infrastrutture a dare qualche dato sui controlli fin qui sostenuti dall' impianto: la revisione generale è avvenuta - dicono - nell' agosto del 2016, i controlli sono proseguiti a luglio del 2017 e poi ancora fra novembre e dicembre del 2020.
alessandro merlo e silvia malnati
In particolare a novembre del 2020 sono stati eseguiti accertamenti tecnici sulle funi portanti, su quelle traenti e sulla fune di soccorso.
Eppure niente di tutto questo ha potuto scongiurare il dramma di ieri. Marcella Severino, sindaca di Stresa, ha passato il pomeriggio su, in cima al Mottarone, sul luogo della tragedia. Riferisce di aver visto «un cavo tranciato di netto», e dice che alcuni testimoni hanno raccontato «di un forte sibilo prima di vedere la cabina retrocedere velocemente per poi essere sbalzata via al momento dello schianto contro il pilone».
elisabetta persanini vittorio zorloni
Quando è stato il momento di fare la conta dei morti, quando si è saputo che anche uno dei bambini portati in ospedale non era sopravvissuto e proprio mentre le passava davanti il primo carro funebre, la sindaca è scoppiata a piangere pensando proprio a loro, a quei bimbetti perduti nella sua terra, nel suo pomeriggio di sole. «È una scena devastante» ha provato a descrivere quel che ha visto. «È un brutto momento per me, per la nostra comunità e per tutt' Italia».
Mentre le vite di 14 persone finivano, sulla funivia Stresa-Mottarone era in viaggio anche una cabina in senso opposto rispetto a quella caduta. Anche in questo caso era quasi arrivata alla meta (cioè alla stazione intermedia dell' Alpino). Ma scoppiato l' allarme tutto si è bloccato e le persone a bordo non hanno potuto raggiungere il punto della normale discesa, sono state fatte calare a terra con delle corde.
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Come sempre accade in tragedie come queste, il caso può fare la differenza fra la vita e la morte. «Quando ho sentito la notizia della funivia mi si è gelato il sangue: in quella cabina potevamo esserci io e il mio bambino di sei anni», racconta Dario Prezioso all' agenzia di stampa Adnkronos. «Avevo deciso di portare il mio bambino ad Alpiland dove c' è una pista di bob ma la cabina che si è schiantata era già al completo e quindi ci siamo fermati in attesa di quella successiva, mai presa».
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Le persone che sono morte lui le ha viste davanti alla biglietteria, ha scambiato due parole... «Mentre nell' attesa stavo spiegando a mio figlio come funziona la funivia ho sentito un colpo e ho visto un cavo cadere e la cabina che stava scendendo si è immediatamente bloccata». Pochi minuti dopo avrebbe saputo: lui e suo figlio salvi per le norme anticovid che prevedono un numero limitato di passeggeri a bordo.
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Matteo, il soccorritore del Soccorso Alpino che ha immaginato gli ultimi dieci secondi di tutte quelle persone morte, dice che «io faccio questo mestiere da 22 anni. Per me è lavoro, lo so. C' è la lucidità e l' intervento, prima di tutto. Ma ci sono storie e scene che ti porti a casa, poi. Ci sono immagini che rivedrò a lungo la sera, prima di addormentarmi. Quei corpi straziati coperti dai teli di alluminio non li dimenticherò. Non scorderò la manina del bimbo senza più vita».
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