DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
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Giacomo Amadori e François de Tonquédec per “La Verità” - Estratti
È l’uomo del momento. Tutta la classe politica lo ha già etichettato come attentatore numero uno della privacy dei potenti. Per qualcuno è diventato il prototipo dello spione, una specie di Gerd Wiesler, nome in codice Hgw xx/7, il capitano della Repubblica democratica tedesca comunista raccontato nel film Le vite degli altri.
I suoi difensori fanno, invece, notare che non è mai andato a caccia di gossip, di amanti o vizi privati dei governanti o dei vip e ha solo la colpa di aver cercato di capire perché un ministro fosse socio di personaggi chiacchierati e le sue società fossero guidate da rumeni prestanome (sino a pochi giorni dalla nomina). Il procuratore di Perugia Raffaele Cantone ha indicato il tenente della Guardia di finanza Pasquale Striano come l’autore di ricerche dai «numeri mostruosi e inquietanti».
Una descrizione che ha fatto sobbalzare sulle sedie politici di ogni schieramento. Sono diventati tutti «dossierati». Ma a ben leggere i pochi atti disponibili sulla vicenda si scopre che a volte le ricerche del finanziere arrivavano dopo la lettura dei giornali. Da parte sua o da parte dei suoi diretti superiori.
Per esempio il famoso «dossier» su Silvio Berlusconi, rilanciato da alcune testate, non sarebbe altro che una ricerca fatta dopo la pubblicazione da parte del quotidiano Domani dell’articolo «Quirinal Papi, Berlusconi, l’antiriciclaggio e i soldi alla donna misteriosa». Il servizio è uscito il 20 gennaio, le ricerche, se la Procura non sbaglia, sarebbero state realizzate lo stesso giorno e per questo non sono state inserite nell’elenco delle «spiate» a favore del quotidiano di Carlo De Benedetti.
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POLITICI - MANAGER E VIP SPIATI DA PASQUALE STRIANO
Anche l’accesso sul nominativo dell’ex commissario straordinario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri, risalente al 25 febbraio 2021, è successivo a notizie di stampa che lo riguardavano da vicino. Il giorno prima, infatti, era finito agli arresti domiciliari un suo coimputato nell’inchiesta sull’approvvigionamento monstre di mascherine, per lo più farlocche, costate 1,2 miliardi di euro. Il 15 luglio 2021 il militare effettua ricerche su Matteo Renzi e sull’impresario dello spettacolo Lucio Presta. Quel giorno il Corriere della sera aveva pubblicato un articolo intitolato «Indagati Renzi e Presta per il documentario su Firenze: “Finanziamento illecito”».
Il 22 giugno 2020 Striano verifica il nominativo di Fabrizio Centofanti, all’epoca sotto inchiesta insieme con Luca Palamara. Il 19 il nome del lobbista era uscito, sempre sulla Verità, in un articolo intitolato «L’arma di Palamara: intercettazioni segrete». Anche il faccendiere Piero Amara, sedicente membro della presunta Loggia Ungheria, è stato oggetto delle attenzioni del finanziere. Il 3 maggio 2021 viene controllato da Striano. Lo stesso giorno, sul Corriere della sera, era uscito un servizio che lo riguardava («Magistrati indagati e liste dei nomi. Le verifiche sulla “Loggia Ungheria”»).
SILVIO BERLUSCONI MARCELLO DELL'UTRI
Chi conosce Striano, cinquantanovenne di origini campane, sa che in queste ore l’ufficiale, dopo una comprensibile fase di abbattimento, sta raccogliendo idee e energie per passare al contrattacco.
C’è chi assicura che non veda l’ora di andare in Tribunale a far valere le proprie ragioni.
«Non potete pensare che dietro a questo uomo ci sia una macchina da guerra», ha confidato alle persone a lui più vicine. Con cui ha condiviso molti ragionamenti. Simili a quelli che avevamo riportato con dovizia di particolari il 6 agosto scorso. «È giusto che io sia attaccato in una maniera così spudorata, anche violando tutte le regole della privacy, persino da parte della Procura di Perugia che, posso assicurare, ha fatto molte cavolate?», domanda. E la quantità mostruosa di spiate che gli viene accollata? «Non hanno capito nulla dei numeri che hanno dato, non sanno quali fossero le procedure, non sanno nulla.
Io di segnalazioni di operazioni sospette (le sos inviate dalle banche all’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, ndr) non ne ho visionate 4.000, come dicono loro, ne ho visionate 40.000. Era il mio lavoro. Io ero una persona super professionale che acquisiva notizie a destra e a sinistra. Lo ammetto, anche con metodi non sempre ortodossi.
Ma non mi devono far passare per quello che non sono. Io adesso andrò a farmi le mie ragioni, perché loro (gli inquirenti, ndr) stanno inventando una marea di cose per amplificare una vicenda che invece è abbastanza ridicola». Quel che è certo è che Striano, come abbiamo scritto ad agosto, sino a novembre 2022, quando è stato trasferito, ha lavorato in base ai vecchi standard della Procura nazionale antimafia, che consentivano al suo gruppo di lavoro di accedere liberamente alle banche dati senza dover presentare richieste di autorizzazione.
Spesso non venivano nemmeno compilate informative finali dopo quegli accessi. Tutte le attività, almeno sino a pochi mesi fa, non necessitavano di nulla osta formali. Il tenente non arretra: «Il mio lavoro era quello di fare attività Antimafia e di farla bene.
Di occuparmi di fenomeni che potevano essere calzanti: gli affari dietro al Covid, i bitcoin, i nigeriani. Ho fatto sempre ed esclusivamente questo». Striano può dare l’impressione di essere uno di quegli investigatori che vede mafia e corruzione dappertutto. Qualcuno arriva a descriverlo come una specie di Don Chisciotte. Ma sulla Direzione antimafia ha le idee chiare. «Non ha motivo di esistere. Se la Dna fosse come la ha concepita Falcone, così come la Direzione investigativa antimafia per cui ho lavorato - e non sono uno che sputa nel piatto dove ha mangiato - allora sarebbe diverso. Ma purtroppo lì ci sono uomini che non sono più in grado di fare le indagini. Io ho evidenziato a chi di dovere le criticità e non cercavo gratificazioni. Poi, non lo scopro io, esisteva una lotta tra magistrati. Una gara a chi era più bravo, a chi era più bello, a chi aveva più potere. Questo lo spiegherò in Procura e in Tribunale».
In questo periodo è finito nel mirino di politici e giornalisti l’ex procuratore Federico Cafiero de Raho. «Era forte quando faceva il pm a Napoli, ma alla Procura nazionale si è fatto tanti nemici e, secondo me, non ha svolto al meglio il suo compito». I magistrati le cose le chiedevano direttamente a Striano oppure lo facevano attraverso il responsabile dell’Ufficio sos Antonio Laudati? Il finanziere ammette che Cafiero forse non lo ha nemmeno mai incontrato: «Ma neanche mi interessava. Io non ero uno che avesse bisogno di pubblicità. Io quando entravo in ufficio non volevo parlare con nessuno. Ho denunciato, anche per iscritto, mille criticità, ma l’ho fatto per il bene dell’amministrazione». Secondo lui, però, c’era pure chi non le voleva «mettere a posto determinate cose». A chi chiede chiarimenti sul punto, risponde che si tratta di «un discorso molto complesso».
Il fatto che Striano si occupasse di dossier «pre-investigativi» importanti e che le sue ricerche fossero «appannaggio solo di Laudati», avrebbe «creato invidie»: «Non solo invidie interne, perché lì a livello nazionale c’è un macello».
Striano racconta che dentro alla Pna ogni magistrato aveva i suoi rapporti di fiducia dentro alle Direzioni distrettuali antimafia territoriali e c’erano veri e propri blocchi: «Per far approfondire i nostri filoni investigativi i magistrati si rivolgevano dove conoscevano, sceglievano le Dda con tale criterio e questo è un fatto un po’ scandaloso. A me di queste di queste logiche non fregava niente. Se scrivevo un bell’appunto per me l’importante era che venisse approfondito, che mi dicessero che era fatto bene». Il discorso si fa serio: «Tante volte mi è stato detto che il procuratore di Milano Francesco Greco non poteva vedere Cafiero e che quindi le cose che mandavamo lì erano buttate nel cassetto. Io ho sempre ascoltato queste piccinerie, ma che potevo fare? Con il Covid Milano era un punto di riferimento, cioè le cose ti cascavano proprio addosso.
“Dotto’, che amm’ ‘a fa’? Io lì la devo mandare l’informativa, cerchiamo di…” dicevo. Poi chiudevi gli occhi da una parte per aprirli dall’altra. Ma non per omettere… il lavoro non mancava mai. Con il Covid aprivo 3.000 segnalazioni alla volta ed ero io che dovevo capire qual fosse quella migliore. Questa era l’attività che facevo».
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Stesso discorso su Matteo Messina Denaro e su tanti altri temi». Dalle parole di Striano appare chiaro come l’Antimafia sia un carrozzone dove ognuno pensa a fare i propri interessi e sgominare la mafia diventa un problema secondario. «Purtroppo è così. Adesso mi è capitato questo casino e per questo mi dovrò difendere. Ma qui non ci sono fatti inquietanti, come sostengono gli inquirenti, le cose diventano tali in altre stanze, capito? Ma non mi riguardavano. Io tante cose le sentivo, ma non mi interessavano».
Si è parlato tanto di dossier nei confronti dei politici. «Io ho fatto tre appunti su Berlusconi. Tre o quattro. Mi sono stati tutti chiesti. E non dai giornalisti. Non li ho fatti perché ho letto gli articoli del Domani. Li ho realizzati perché me li chiedeva il procuratore». Il procuratore di cui parla è soprattutto Laudati. Ma in un caso è Melillo.
Sembra che il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, il titolare dell’inchiesta sulla cosiddetta ‘ndrangheta stragista, si fosse lamentato del fatto che alcune sos sui rapporti economici tra Marcello Dell’Ultri, Berlusconi e altri soggetti gli fossero arrivate da altri uffici giudiziari anziché dalla Pna.
«Su richiesta di Melillo» dice oggi Striano, «abbiamo solo verificato perché le segnalazioni all’Antiriciclaggio non andassero a Reggio Calabria e io ho fatto un appunto e ho spiegato perché le cose andassero in quel modo. Io alcuni accessi li ho fatti anche per dare queste spiegazioni. Non temevo alcunché». Perché nella città dei Bronzi le sos su Berlusconi non arrivavano? «È una questione tecnica che spiegherò in aula. Il programma non funzionava bene. Non “comprendeva” bene, per esempio, chi fosse la moglie di Dell’Utri e non riuscivano ad associarla a Berlusconi. Invece io lo facevo perché conoscevo questi rapporti. Era proprio il software a essere sbagliato. Quindi l’ho spiegato bene a Melillo: “Qui tocca rivedere tutto il sistema informatico”».
Quindi il problema era Dell’Utri e non Berlusconi?
«Sì, Dell’Utri. Però sappiamo tutti che Dell’Utri per trent’anni ha preso l’assegno mensile da Berlusconi». Quindi, Striano, il famoso dossier, non lo avrebbe fatto in autonomia: «Ma ci sono tante cose che mi sono state chieste espressamente. Non mi metto a fare i conti della serva. Io spiegherò quale fosse il mio metodo. Poi il giudice, magari, mi dirà: “Non lo dovevi fare”. Allora io risponderò: “Ma io non dovevo chiedere un’autorizzazione a monte. E comunque i miei risultati arrivavano con questo metodo di lavoro”. Io sono a posto con la mia coscienza, poi che sia stato fatto tutto un po’ alla carlona, sono il primo a dirlo. Ma l’ho ammesso pure con Melillo. Il mio obiettivo era quello di arrivare a degli atti d’impulso, che fossero fatti bene. La mia gratificazione era solo quella».
GUIDO CROSETTO A QUARTA REPUBBLICA
Melillo, audito in Procura a Roma, avrebbe spiegato di aver parlato solo di sos con Striano. Quando glielo fanno notare, il tenente si fa più sibillino: «Vedremo. Non potrebbe essere che Melillo, vista la sua tenera età, si possa essere dimenticato qualcosa di quanto ci siamo detti? Io gli ho fatto un appunto su tutte le criticità della Dna. C’erano tante cose che non andavano e io mi sono permesso… mi è stato chiesto e io gli ho riferito che cosa non andasse. Su quelle criticità hanno lavorato tutti i miei ragazzi… Melillo era appena arrivato, io non mi potevo permettere di fare brutte figure».
Cantone ha citato il suo «dossier sulla Lega» ancora al vaglio degli inquirenti. Una questione che il Carroccio sta cavalcando. «E fateglielo cavalcare. Questi cavalcano sempre, però non cadono mai (ride, ndr). Anche se a me sinceramente non interessa che cadano». Ma chi domandava quegli approfondimenti? «Anche quelle sono state chieste ufficialmente».
Da chi?
GUIDO CROSETTO - ILLUSTRAZIONE DEL FATTO QUOTIDIANO
«L’input arrivava dalla Banca d’Italia tramite delle omologhe straniere». Per esempio l’Agenzia di informazione finanziaria di San Marino. L’indicazione è arrivata solo dal Monte Titano? «Solo da lì… ma era bella grossa eh? Lì dentro c’era ‘sto mondo e quell’altro.
Pure la storia dell’ex sottosegretario Armando Siri». All’epoca accusato di corruzione in un’inchiesta dell’Antimafia, una storia di mazzette che non è fin qui approdata a nulla.
Nei giorni scorsi più giornali hanno fatti riferimento alla consegna in Procura da parte dell’investigatore di una specie di diario. Ad agosto avevamo anticipato il tema spiegando che l’ufficiale, negli ultimi due-tre anni, avrebbe tenuto una sorta di diario elettronico in cui ha inserito tutte le ricerche fatte per lavoro. «Quando mi chiameranno lo consegnerò e dirò: “Io ho fatto tutte queste attività, ecco il file”» aveva annunciato l’indagato con La Verità. Il documento sarebbe stato aggiornato sino al novembre 2022 e conterrebbe una sintesi delle attività svolte da Striano a partire dal 2015, quando ha iniziato a lavorare presso la Pna.
GUIDO CROSETTO CON I MILITARI ITALIANI
L’ufficiale avrebbe realizzato una specie di griglia in cui sono stati inseriti i soggetti che erano finiti sotto osservazione e le segnalazioni di operazioni sospette utilizzate per gli approfondimenti. In alcuni casi sono stati copiati anche estratti degli appunti che l’uomo aveva preparato.
L’idea dell’archivio nasce perché alla Pna i magistrati facevano a Striano improvvise richieste su temi da lui affrontati nei mesi precedenti e allora il finanziere ha deciso di realizzare un promemoria con all’interno migliaia di nomi. Il documento sarebbe stato a disposizione anche dei suoi vecchi colleghi, che così non erano costretti a chiamarlo continuamente per sapere se fosse stata avviata un’attività su questo o quello. Per i personaggi più importanti coinvolti nelle sue analisi Striano avrebbe indicato anche a chi (e quando) era stato consegnato il report: «Dottor X», «Dottor Y».
Adesso Striano non ricorda di aver portato in Procura quel fondamentale elenco. Anzi nega di averlo fatto. «Io non ho consegnato proprio nulla.
Non esiste nessun diario, c’è un documento elettronico, che hanno anche i miei colleghi miei, su quello che facevo giorno per giorno». Che questo file sia già stato sequestrato o meno, per Striano poco cambia: «Se ce l’avessero, sarebbe ancora più grave. Perché significherebbe che tu li sopra hai letto ciò che ho scritto su quanto fatto e non ne hai tenuto conto. Ma preferisco aspettare prima di accusare.
Per me non ce l’hanno. Anche se una delle tesi che porterò avanti è che la Procura di Perugia ha voluto cercare solo ciò che le serviva per accusarmi e non quello che era utile a scagionarmi».
Striano ammette «errori di leggerezza», ma assicura: «Ho fatto tutto per amor di giustizia. La polizia giudiziaria, a certi livelli, acquisisce notizie ovunque e dà pure qualcosa in cambio. Si cerca ovviamente di essere il più riservati possibile. Io ammetto qualche leggerezza anche perché non le ho commesse per avere gratificazioni, per avere soldi, per avere successo». La sua convinzione è che gli investigatori del suo genere debbano avere «un fruttuoso scambio» di informazioni e idee «con i giornalisti d’inchiesta».
Ad esempio, Nello Trocchia era molto preparato sui Casamonica, Giovanni Tizian è addirittura figlio di funzionario di banca ucciso dalla ‘ndrangheta. Un tema, quello della lotta alla mafia, che li ha fatti conoscere molto tempo fa. A rovinare il finanziere sono state le notizie sul ministro della Difesa Guido Crosetto che avrebbe passato al Domani. Il politico era stato attenzionato dai cronisti per le consulenze lautamente pagate da Leonardo, la principale azienda bellica italiana.
Striano, invece, avrebbe, su propria iniziativa, approfondito i rapporti imprenditoriali del politico con i fratelli Gaetano e Giovanni Mangione. L’uomo, un po’ a sorpresa, nega di aver consegnato informazioni patrimoniali su Crosetto: «Ai giornalisti io non do i redditi, che, comunque, sono stati dichiarati e non erano in nero e, quindi, prima o poi sarebbero venuti fuori. Ai cronisti gli vai a raccontare la storia dei Mangione, una storia incredibile».
Nega, pure, di essersi fatto scrivere da un altro inviato del Domani, Stefano Vergine, l’appunto sui Mangione che ha consegnato alla Procura di Roma e alla Pna su un file creato dallo stesso inviato. «Come poteva un giornalista scrivere un appunto del genere?» domanda. «Quello che ho scritto è più che certificato».
Striano è sicuro di essere stato colpito per motivi diversi dagli accessi: «Dietro a questa vicenda c’è qualcosa di più grosso. Qui stiamo parlando del mondo delle armi e l’attenzione su certi argomenti, dopo l’esplosione del mio caso, è subito calata. Perché non è solo una storia di bed and breakfast». Ovvero la ragione sociale degli affari di Crosetto con i Mangione. Il ministro continua a detenere le quote delle tre ditte. «Dietro a questa scelta c’è una precisa strategia» sostiene Striano. «Se le cedi ammetti qualcosa… però, se rimani dentro, devi insistere sul fatto che c’è stato un altro problema, quello della diffusione dei redditi. In questo modo si è distolta l’attenzione e l’altra storia è andata in cavalleria».
Questa la difesa di Striano.
La Procura di Perugia per ora contesta gli accessi abusivi e le rivelazioni di segreto e non sembra intenzionata a fare sconti.
DELL'UTRI FASCINA SILVIO BERLUSCONI
Ma nel mondo della magistratura si sta diffondendo la convinzione che nei confronti dell’indagato si stia facendo un processo sommario, privo delle dovute garanzie.
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