Piero Colaprico per “il Venerdì di Repubblica”
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Vallanzasca, Epaminonda, Turatello, la banda della Comasina, i sequestri, la droga, i night, le evasioni, il sangue versato. Sin dalla prima delle cinque puntate di La mala, banditi a Milano, su Sky Documentaries e Now dal 17 aprile, emerge un piccolo, ma non trascurabile dettaglio: è proprio vero che Angelo Epaminonda detto "il Tebano", in quel di Santa Margherita Ligure, volle regalare un leoncino a Bettino Craxi. E cioè è vero che un capo gangster della metropoli pensasse di poter avvicinare senza troppi patemi un presidente del Consiglio.
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Noi lo sapevamo, ma a confermarlo chiaro e tondo davanti alle telecamere è nientemeno che Lello Liguori, e cioè il grande impresario e creatore di locali notturni, personaggio che nessuno è mai riuscito a imbrigliare.
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La docuserie, che ha per sottotitolo "Il racconto di una città criminale tra il 1970 e il 1984", scritta da Salvatore Garzillo, Chiara Battistini e Paolo Bernardelli, dettaglio dopo dettaglio restituisce a Milano quello che a Milano la fiction ha tolto. Nel senso che libri e serie come Romanzo criminale e Suburra, godibili e ben narrati, hanno trasformato Roma, nell'immaginario, nella capitale italiana anche del male assoluto. Nella realtà oggettiva dei fascicoli giudiziari e della tragedie che hanno causato, la banda della Magliana o "Er cecato", rispetto alle gang di Milano, hanno decisamente pesi "minori". E la serie Sky lo dimostra allineando i fatti, nudi e crudi.
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E andando a sentire sia un "prezzemolone" come l'ex vicecapo della polizia Achille Serra, ma anche un vecchio piedipiatti come Antonio Scorpaniti della sezione Omicidi; sia l'invecchiatissimo "bel René" versione detenuto, sia altri banditi come Tino Stefanini, Osvaldo Monopoli e Rossano Cochis (morto nel frattempo in mare); recuperando sia i servizi tv di Enzo Biagi, sia sentendo altri giornalisti, da Mimmo Carulli di Fotogramma a Umberto Gay di Radio Popolare.
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Quando si sente dire che il Tebano spiegava "in questura non ho amici, ma dipendenti", e si sa che tra i suoi poliziotti a libro paga c'era proprio l'autista di chi gli dava la caccia, allora si comprende quale nido di vespe potesse essere questa città, oggi così diversa da quella degli anni di piombo, dei rapimenti, degli oltre cento morti ammazzati all'anno: «Ho fatto la guerra a Turatello, poi sono il primo che è andato a piangere», confessa Vallanzasca. Ma le lacrime le hanno versate le tante vittime e, se così si può dire, anche l'intera città.
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