1. L’ARTE ROMA NON LA VUOLE - WILLIAM KENTRIDGE, OSPITE DI MOMA E METROPOLITAN, PROVA DA ANNI A ESPORRE SUL LUNGOTEVERE
Luca Josi per “il Fatto Quotidiano”
william kentridge al maxxi
Si scrive: Roma Gran Teatro del Mondo. E proprio qui, da anni, un artista, William Kentridge, prova a portare la sua narrazione della città: a costo zero. Kentridge l’hanno accolto ovunque: dal Moma al Metropolitan, dalle biennali di su a quelle di giù. Se gli antichi Romani arrotolavano i fasti della loro propaganda nelle spirali delle colonne, Kentridge vorrebbe srotolare le immagini del suo Triumph and Laments lungo i muraglioni del Lungotevere. Figure d’imperatori, papi, martiri, bombardamenti e rinascite per raccontare la marcia di Roma nei secoli e ricordare che ogni orgasmo del trionfo convive, siamese, con lo stupro del vinto. E tanto altro.
Comunque, il punto non è che Kentridge sia un artista acclamato nel globo, un intellettuale che della teatralità del mondo ha fatto passione e mestiere, che da sudafricano figlio del difensore di Mandela, Sydney Kentridge, si sia concesso di affermare su Madiba: “Al potere ha commesso molti errori e assegnato ruoli di governo a vecchi amici, incompetenti. Era generoso, ma si è scontrato con la venalità dei neri, dei bianchi, degli uomini d’affari”. E, il punto, non è nemmeno se Roma aggiungerà o no quel capolavoro alla sua storia, ma la parata di apnee, latitanze e free climbling di deresponsabilizzazioni che stanno accompagnando questo parto.
le opere di william kentridge al maxxi (2)
Il sottosegretario competente, Ilaria Carla Anna Borletti Dell’Acqua in Buitoni esternò con prosa da Conte Mascetti: “Senza nessuna preclusione a priori e disponibile comunque a un confronto, interventi di arte contemporanea che sicuramente potrebbero essere utilissimi per la riqualificazione delle periferie (e questo non perché ritenga che le periferie siano aree di minore importanza) la cui identità architettonica è frutto di linguaggi più recenti e omogenei e quindi certamente meno vincolanti, vadano molto attentamente valutati quando si parla di un contesto delicatissimo come il centro storico di Roma (...)”. E qui, appunto, casca il brontosauro.
le opere di william kentridge al maxxi (3)
Il “contesto delicatissimo” in questione è un’opera idraulica post unitaria che, nel meritorio beneficio d’immunizzare la capitale dalle frequenti inondazioni, barattò questa difesa con la distruzione di palazzi storici, teatri e porti che si affacciavano sul Tevere e la triste conseguenza che la città smarrì ogni rapporto col suo fiume – conservato in altre primarie capitali – rintanandolo in un Grand Canyon di pietra (terreno di edilizia creativa e nomade e di percorsi ciclistici involontariamente cross).
le opere di william kentridge al maxxi (6)
Oggi, in sintesi, il Lungotevere di Roma è orribile. La più ruffiana master shot per turisti, quella dei selfie sul ponte Umberto I con sfondo San Pietro, regala da anni una suggestiva inquadratura: sulla riva sinistra numero due barconi due, semi-affondati; sulla riva destra numero tre chiatte tre, inutilmente galleggianti; su entrambe le rive numero due giganteschi graffiti simmetrici e infiniti minori; quindi enorme graffito incorniciato dalla visuale dell’arco centrale di ponte Sant Angelo. Tutti rigorosamente policromi. Quindi: potenza del passato e pattumiera del presente.
graffiti su lungotevere
Poi ci si domanda: ma se Kentridge chiede di realizzare un’opera per sottrazione, reversibile ed effimera – come la definiva il barocco ovvero che si cancella da sé, nascendo il segno dei suoi disegni da quanto verrebbe ripulito, con vaporizzazioni, dalle annerite pareti – quale diversa attenzione avrà offerto al “contesto delicatissimo” l’elefantiaca produzione di 007 alla ricerca dei terroristi della sua Spectre? Tutta pubblicità e ricchezza per la città eterna, benvenuta!
banchine lungotevere dei vallati
Ma quegli inseguimenti di stuntman che s’inerpicano per i muraglioni e scendono le loro scalinate a bordo di Jaguar e Aston Martin sgommanti che c’entrano con la preservazione del “delicato contesto”? Per poter ammirare l’opera di Kentridge rimarrebbe l’opzione “spirito del tempo” esercitata dall’artista romano Francesco Visalli che, negli scorsi anni, approfittando della distrazione delle autorità impegnate a disquisire di permessi al collega di Johannesburg, piazzava abusivamente, in quegli stessi giorni, il proprio mammozzone-installazione in vetta al Circo Massimo.
SCENA DEL FILM DI JAMES BOND GIRATO A ROMA
D’altronde oggi, la presenza, e non l’essenza, vale titolo. Ne sanno qualcosa quelle centinaia di volti e pensieri anonimi definiti, convenzionalmente, parlamentari o ministri in ragione del luogo che momentaneamente li ospita, impegnati nella riforma istituzionale del notorio Articolo V: chi piazza il culo ha vinto.
2. SULL’OPERA MURARIA DECIDE LA SOVRINTENDENZA
Tommaso Rodano per “il Fatto Quotidiano”
james bond 3
Un artista contemporaneo di fama internazionale che regala alla città un’opera a impatto zero. Il sogno di ogni amministrazione. A Roma però non si riesce a fare. Chi mette il veto? Il Campidoglio giura di no: il sindaco è favorevole all’affresco di William Kentridge. L’assessore alla Cultura, Giovanna Marinelli, ne è addirittura entusiasta, e continua a mantenere i contatti con l’artista. E allora? Per realizzare un’opera sui muraglioni del Tevere serve l’autorizzazione della Sovrintendenza capitolina.
roma e james bond
La nuova responsabile, Renata Codello, è appena stata nominata e non ha ancora preso servizio. Del murale di Kentridge non sa ancora nulla e non può esprimersi al riguardo. A bocciare il progetto dell’artista sudafricano, quando fu presentato, è stata l’ex dirigente della direzione regionale dei Beni culturali e paesaggistici: l’architetto Federica Galloni. L’opera di Kentridge è stata ignorata senza spiegazioni. Nemmeno una parola. In compenso, per Galloni, in questi mesi è arrivata la promozione: direttore generale presso un ufficio del Mibac. Quello per l’arte contemporanea. E quale sennò?