Guido Santevecchi per corriere.it
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Di fronte all’ondata di proteste il governo di Hong Kong arretra, sospende l’approvazione della nuova legge sull’estradizione dei fuggiaschi in Cina, che ha scatenato la reazione della piazza e scontri tra polizia e migliaia di giovani manifestanti. Alle tre del pomeriggio ora locale, dopo una riunione con i suoi consiglieri, la Chief Executive (governatrice) Carrie Lam è comparsa di fronte alla stampa e ha pronunciato un discorso molto elaborato, prima in cinese poi in inglese: «Questa legge sull’estradizione è giusta e giustificata. Ma abbiamo ascoltato la gente e la società, abbiamo introdotto numerosi emendamenti durante il dibattito, abbiamo fatto un grande sforzo.
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Comunque, la legge ha creato grandi divisioni nella nostra società, per colpa di malintesi. Come governo responsabile abbiamo il dovere di riportare calma e rispetto dell’ordine pubblico a Hong Kong, quindi sospendiamo l’approvazione e siamo disposti ad ascoltare suggerimenti e proposte, critiche. Non poniamo un termine fisso alla durata della nuova consultazione». Tradotto e ridotto a una frase: la legge è sospesa.
I consigli cinesi
«Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento bensì sottomettere il nemico senza combattere», diceva il generale e filosofo Sun Tzu, cha ancora oggi ispira la strategia cinese. Nella ricostruzione del “South China Morning Post”, giornale in lingua inglese di Hong Kong, Carrie Lam nelle ultime ore ha ricevuto consigli di saggezza (ordini di ritirata strategica) dalla vicina Shenzhen, dove si sono riuniti in segreto i dirigenti cinesi responsabili per gli affari di Hong Kong, che dal 1997 quando l’isola è stata restituita dalla Gran Bretagna alla Cina è Regione amministrativa speciale retta fino al 2047 sul principio “Un Paese due sistemi”.
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Tra Pechino, Shenzhen e Hong Kong sono state esaminate le opzioni: andare avanti con l’approvazione della legge, che era prevista per giovedì 20, avrebbe portato a nuove manifestazioni dell’opposizione e nuovi scontri. Ritirarla definitivamente sarebbe stata una sconfitta, un’ammissione di debolezza che la Cina nell’era di Xi Jinping non vuole accettare. Meglio quindi prendere tempo e allungare i tempi della discussione nel Legislative Council, il parlamento di Hong Kong. Un rinvio senza una data certa per la decisione finale, sperando che la gente di Hong Kong dimentichi. Quella nella Cina continentale è stata tenuta all’oscuro di tutta la vicenda, le uniche notizie pubblicate dai giornali sono state preparate dall’ufficio propaganda.
La legge sui fuggitivi
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Nella definizione di Carrie Lam la legge sull’estradizione è una «legge sui fuggitivi», proposta per consegnare a Taiwan un assassino nascosto a Hong Kong. Ma in realtà si tratta di una riforma che permetterebbe soprattutto alla Cina di reclamare e farsi consegnare i sospettati di reati che hanno trovato rifugio a Hong Kong. La governatrice Lam ha detto che è una svolta di giustizia, per chiudere un buco nella collaborazione giudiziaria internazionale e con la Madrepatria cinese.
Per gli oppositori si tratta di un modo per mettere nelle mani di Pechino oppositori e dissidenti; rischierebbero anche i dirigenti dei gruppi finanziari e delle multinazionali presenti a Hong Kong, che potrebbero essere incriminati da Pechino con pretesti vari, in questa fase di guerra commerciale con gli Stati Uniti. L’estradizione dei ricercati era stata pensata per dare un altro colpo al principio «Un Paese due sistemi» che si sta sgretolando. Con quella legge nessuno a Hong Kong sarebbe più al riparo dal sistema giudiziario cinese, opaco, politicizzato e brutale nel perseguimento della prova suprema: la confessione pubblica.
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Domani un’altra marcia
Non è detto che la politica del rinvio a questo punto plachi la protesta: al contrario, i giovani che hanno rischiato il tutto per tutto sfidando la polizia, potrebbero cercare di sfruttare il momento di debolezza dell’esecutivo di Hong Kong per tornare alla carica ed esigere le dimissioni di Carrie Lam. Ha detto il giovane Wong Yik Mo, dirigente del Civil Human Rights Front:
«Carrie Lam è brava a ingannare la gente di Hong Kong, lo ha fatto molte volte. Ora noi vogliamo il ritiro di questa legge, non ci basta la sospensione, perché la signora la farebbe passare tra qualche mese, quando la gente avrà dimenticato, sarà stanca di mobilitarsi. E vogliamo anche le dimissioni di Carrie Lam». Secondo Wong bisogna continuare a scendere in piazza. Il fronte dell’opposizione ha convocato per domenica 16 giugno una nuova manifestazione, una marcia da Victoria Park fino ad Admiralty, dove sono concentrati i palazzi governativi.
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Una settimana di fuoco
Domenica 9 giugno sono sfilati un milione di cittadini e solo alla fine ci sono stati tafferugli. Mercoledì 12, quando al Legislative Council si sarebbe dovuta svolgere l’ultima discussione dall’esito scontato sulla legge per l’estradizione, sotto il palazzo di Admiralty si erano radunati prima dell’alba migliaia di giovani che hanno stretto l’assedio, impedendo ai deputati di arrivare. Nel pomeriggio la polizia è intervenuta con lacrimogeni, spray urticanti e pallottole di gomma, costringendo alla ritirata i giovani. Scene di guerriglia urbana che hanno provocato uno choc nella City abituata a una gestione civile dell’ordine pubblico.
I ragazzi di «Occupy 2.0»
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Questa rivolta contro una legge che avvicina pericolosamente Hong Kong, con la sua tradizione di tutele legali, alla Cina della giustizia opaca, politica e brutale, viene definita «Occupy 2.0», a significare una forma evoluta di «Occupy Central» del 2014, quando i giovani democratici che chiedevano suffragio universale per l’elezione del Chief Executive occuparono le strade per 79 giorni (alla fine si ritirarono). In effetti, tra i cartelli scritti a mano contro la legge sull’estradizione, ora spuntano tablet sui quali i manifestanti fanno scorrere la frase «Shame on you police» (Polizia vergogna). E appelli a scendere in strada, informazioni sui punti dove radunarsi, corrono su Telegram, la piattaforma di messaggistica criptata (e per questo attaccata da hacker cinesi in questi giorni).
Dagli ombrelli agli elmetti
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Ci sono due grandi e pericolose differenze tra questo giugno 2019 e l’autunno 2014 di Hong Kong: i ragazzi degli ombrelli gialli non ricorsero alla violenza, subirono sporadiche cariche di polizia. Quelli di oggi sono andati subito all’attacco frontale, si sono preparati indossando maschere da chirurgo e occhialoni contro i lacrimogeni e contro le telecamere, per non essere riconosciuti. Si sono vestiti di nero, una moda che ricorda i Black bloc europei, anche se questi ribelli di Hong Kong non distruggono vetrine, non danneggiano i simboli della loro città. Però, il clima di scontro è nuovo.
Lacrimogeni e pallottole di gomma
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La polizia nel 2014 cercò di limitare i danni. Quella di oggi ha usato subito cannoni ad acqua, raffiche di lacrimogeni e pallottole di gomma. Le due parti sono diventate più radicali e più ciniche: vince il più forte. E questa logica piace alla Cina di Pechino, che naturalmente si sente più forte e lo è. Basta aspettare per vincere, come diceva Sun Tzu. La fine del rapporto di fiducia tra la popolazione di Hong Kong e la sua polizia può essere uno dei risultati più negativi di questo scontro sulla legge per l’estradizione. In Cina la gente non solo non si fida della polizia, ma la teme. E Xi Jinping ha studiato anche Machiavelli: meglio essere temuto che amato.
Il capo della polizia
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Il Commissioner Stephen Lo, che comanda la polizia di Hong Kong, giovedì ha tenuto una conferenza stampa per spiegare l’uso della forza: «Siamo stati immobili per ore, nonostante l’assedio al Legislative Council e le strade paralizzate illegalmente, ma poi ci hanno cominciato ad aggredire fisicamente, non potevo consentirlo». In Cina non si è mai visto un funzionario giustificare un’azione: fino a quando ufficiali come il Commissioner Stephen Lo cercheranno di motivare pubblicamente, Hong Kong sarà diversa da Pechino.
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