Enrico Macioci per “la Repubblica”
BALOTELLI
LA frase più acuta sul talento si trova a pag. 226 di Infinite Jest: “Il talento coincide con l’aspettativa che suscita, Jim, o sei alla sua altezza o quello ti sventola il fazzoletto e ti abbandona per sempre.” È un padre che inizia il figlio alla crudeltà del tennis; se sostituiamo al tennis il calcio, al nome Jim il nome Mario e al padre un buon allenatore, questa sarebbe un’ottima osservazione da rivolgere a Balotelli.
Il talento è un mistero e Balotelli ci è caduto dentro fin da ragazzino. Aveva diciassette anni quando, nel 2008, segnò alla Juventus un gol di essenziale splendore: ricevé palla a centro area, spalle alla porta, in un attimo fece leva sullo stopper avversario, si girò e scagliò la palla sotto l’incrocio. Il portiere rimase immobile (come pochi anni dopo il grande Neuer nella semifinale di Euro 2012 fra Italia e Germania, l’apice sportivo di Balotelli).
Chi ama il talento, e ancor più il talento precoce, non poté restare indifferente dinanzi alla scarna maturità di quel gol – un misto di leggerezza e potenza; e forse, nell’amarezza della sconfitta, qualche tifoso della Juve versò il balsamo dell’incanto. Quando un fiore sboccia poco importa di chi sia il giardino: la bellezza giova a tutti.
BALOTELLI
Ma il talento è per l’appunto un mistero; più è grande più suscita aspettative; aspettative esterne – certo non semplici da gestire – e aspettative interne, subdole perché oscure. Scopriamo di essere molto bravi in qualcosa senza alcun merito né alcuna fatica, ma intuiamo che un prezzo deve esistere e che prima o poi lo pagheremo. Per esempio non smettendo mai di stupire. Non deludendo mai chi si aspetta da noi di non venire mai deluso.
Non mancando mai, insomma, di dimostrarci all’altezza di noi stessi. Ed ecco un altro problema: anche il tempo, al pari del talento, è un mistero. Ci scorre intorno e dentro levigando corpi e anime, cosicché non siamo mai i medesimi che eravamo o che saremo. Migliori o peggiori, identici mai.
BALOTELLI
E più la base di partenza è buona, più è difficile migliorarla – uno dei perfetti paradossi del talento. “Mantenere le promesse”, come ogni frase fatta, racchiude in sé un nocciolo di verità; sottintende che, subito dopo l’ultimo orlo di luce della promessa, si spalanca l’abisso del fallimento.
Negli anni Balotelli si è man mano gettato via. La testa non ha sorretto fisico e tecnica. Se ne son dette e scritte al riguardo, ma nessuno sa il reale motivo dell’implosione; forse neppure lui. Tempo fa Roberto Baggio – che a diciott’anni si ruppe un crociato realizzando comunque una carriera fantastica – dichiarò di voler parlare a Balotelli. Potrebbe rivelarsi un bene. Baggio rappresenta l’esatto opposto di Balotelli, come giocatore e come uomo; e gli opposti creano talora bizzarre complementarità. L’equilibrio è una chimica di pensieri più che di cifre, gol, pesi o ripetute.
Non che Balotelli debba pregare Buddha – e nemmeno leggere Infinite Jest, dove il talento intona un’eterna, grottesca tragedia. Però deve capire con cristallina chiarezza chi era, chi è, chi vuol essere. Deve collocare il suo metro e novanta, i suoi ottantotto chili e i suoi piedi di raso in uno spazio concreto.
Ora questo spazio, sotto forma dell’ennesima chance, ha le dorate e un po’ fatue sembianze di Nizza, dove Balotelli ha cominciato segnando subito una doppietta al Monaco. Ha compiuto 26 anni.
Non sarà più Pelé e non è più l’adolescente magico cui appiopparono l’odioso soprannome di SuperMario (i nomi benedicono, i nomi maledicono). In attesa di nuovi sviluppi potremmo chiamarlo Jim, come il ragazzo di Wallace o come il Lord di Conrad, sempre in bilico fra peccato e redenzione. Il talento è un mistero, ed oscilla fra ciò che si può raggiungere e ciò che in effetti si raggiunge.
BALOTELLI