Giuseppe Sarcina per corriere.it
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In campo Super Bowl senza storia. La squadra di casa, i Tampa Bay Buccaneers, hanno dominato i campioni in carica dei Kansas City Chiefs: 31 a 9. La stella assoluta della serata è il quarterback, il «regista», Tom Brady, 43 anni, per la settima volta vincitore del trofeo, per la quinta miglior giocatore della stagione. Il suo rivale, Patrick Mahomes, 25 anni, è apparso al di sotto dei suoi standard e non è riuscito a ripetere l’impresa dello scorso anno, quando portò sul podio più alto i Chiefs che non vincevano da 50 anni. I «Bucs» sono stati implacabili nella fase difensiva.
Poi Brady si è affidato alle due «frecce» Rob Gronkowski e Leonard Fournette per bucare lo schieramento dei Chiefs. A metà gara, discorso già chiuso: Tampa Bay in vantaggio per 21 a 6. È la consacrazione di Brady, «il migliore di tutti i tempi» annunciano eccitati i telecronisti della Cbs.
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Un tempo non lontano si dichiarava molto amico di Donald Trump. Ieri, sulla tribunetta è rimasto nel suo perimetro dorato, sollevando il trofeo insieme ai tre figli, due dei quali avuti con la moglie, la modella brasiliana Gisele Bundchen, 40 anni. È andata bene anche per Sara Thomas, 47 anni, la prima donna a far parte del team di arbitri in una finale di football americano, lo sport più popolare.
I temi
Ma il Super Bowl è pure l’occasione per sondare un po’ gli umori del Paese. Registrare, per esempio, chi sale e chi scende nella società, nella cultura pop. Negli ultimi anni anche qui ha tenuto banco il profilo ingombrante di «The Donald». La cinquantacinquesima edizione, invece, lo ha semplicemente ignorato. Tutto l’evento ha seguito due sole tracce, dettate dalla stessa Nfl, la National football league: l’emergenza Covid e le proteste della comunità afroamericana.
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In uno dei tanti spot l’organizzazione ha annunciato di aver investito 250 milioni di dollari in iniziative contro il razzismo. Peccato, però, che Colin Kaepernick, il campione che portò sul prato verde le rivendicazioni dei «black people», inginocchiandosi durante l’esecuzione dell’inno, sia ancora espulso dal 2017.
C’era molta attesa per la performance di Amanda Gorman, la poetessa ventiduenne diventata una celebrità assoluta, con tanto di copertina questa settimana su Time. Il 20 gennaio scorso aveva letto i suoi versi all’Inaugurazione della presidenza di Joe Biden. Ieri sera è salita di nuovo sul podio, con una collana di perle usata come fermacapelli e un lungo soprabito azzurro, ornato da inserti bianchi.
L’omaggio alla prima linea della lotta al Covid
L’audience televisiva è immensa. La prima stima è circa 100 milioni di americani, più almeno altri 30 milioni nel mondo. Sugli spalti del Raymond James Stadium di Tampa (Florida) siedono 25 mila spettatori distanziati da altre 30 mila sagome di cartone. Circa 7 mila sono infermieri, medici, oppure soccorritori in prima linea nella lotta al Covid 19. Tutti invitati dalla Nfl. Ed a loro, gli «essential workers», che è dedicato Chorus the Captains, il breve componimento di Amanda Gorman.
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I personaggi scelti sono Trimaine Davis, un insegnante; Suzie Dorner, caposala in un ospedale di Tampa e un veterano dei marine, James Martin. Vale la pena riportare almeno l’inizio della poesia, che proviamo a tradurre sperando di non fare troppi danni: «Camminiamo con questi guerrieri, facciamoci carico di questi campioni, e trasmettiamo il messaggio dei nostri capitani. Li celebriamo, con l’azione. Con coraggio e passione, facendo ciò che è doveroso e giusto. Poiché mentre noi li onoriamo oggi, loro ci onorano ogni giorno».
Lo show
L’altro momento che normalmente dà il tono al Super Bowl è lo spettacolo dell’intervallo. Venti minuti di esibizione del cantante canadese Weeknd (il suo vero nome è Abel Makkonen Tesfaye), vincitore di tre Grammy Awards e noto in tutto il mondo per la sua «Can’t feel my face». Lo show è stato piacevole, con belle scenografie, con grande dispiegamento di ballerini, fuochi di artificio e giochi con le luci.
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Niente a che vedere, però, con l’esplosività di Jennifer Lopez e Shakira nel 2020 o di Beyoncè nel 2016. Molti spettatori sono più incuriositi dagli spot che dalle fasi delle partita. È l’evento cardine della stagione pubblicitaria: uno spazio di 30 secondi costa più di 5 milioni di dollari. I registi, i creativi preparano clip inedite, spesso piccoli gioielli.
Quest’anno, però, alcune aziende, come Budweiser, Coca Cola e Pepsi Cola, hanno fatto sapere di aver dirottato le risorse per pubblicizzare la campagna di vaccinazione. Uscito Trump dalla Casa Bianca, sono praticamente scomparsi anche i commercials con un messaggio politico. Da segnalare il primo annuncio della app Robinhood, protagonista dei raid di massa in Borsa sul titolo GameStop.
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Curiosi anche i 5 secondi acquistati dalla piattaforma Reddit, coinvolta nelle stesse operazioni a Wall Street: «Se state leggendo questo avviso, vuole dire che ne è valsa la pena. Gli spot nelle grandi partite sono carissimi e noi non potevamo comprarne uno». Lunghissima la lista delle star mobilitate. Ne peschiamo una: Bruce Springsteen alla guida di una Jeep invita gli americani a incontrarsi in «the middle», nel mezzo. È l’eco più riconoscibile del nuovo corso con Joe Biden al comando: basta divisioni, torniamo a parlarci, a «incontrarci» appunto.
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