Foto di Luciano Di Bacco per Dagospia
Stefano Agresti per corriere.it
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Li chiamano i quattro tenori, ma quando sono arrivati alla Lazio tre di loro steccavano e uno era quasi una voce bianca. Il d.s. Tare li ha selezionati con cura, affidandosi più all’intuito che al campo; il presidente Lotito li ha pagati (poco); Inzaghi li ha rigenerati e rilanciati, del resto non aveva niente di meglio. Oggi gli ex scarti Immobile, Luis Alberto e Correa e l’ex ragazzino Milinkovic-Savic sono i simboli dell’unica squadra capace di battere la Juve nella stagione, forse addirittura un’intrusa — straordinariamente inattesa — nella lotta al vertice.
igli tare simone inzaghi foto di bacco
Immobile è arrivato alla Lazio dopo che era stato scaricato dalla Juve, bocciato dal Borussia Dortmund, emarginato dal Siviglia: non a caso è costato 9 milioni, e qualcuno chiedeva a Lotito chi glielo facesse fare di prenderlo. Adesso è capocannoniere con 17 reti e la sua serie di gol consecutivi si è fermata a 9 solo perché Szczesny gli ha parato un rigore. Anche Luis Alberto, il mago degli assist (se ne è inventati due pure contro la Juve), era finito ai margini, non solo del Liverpool ma addirittura del calcio. Tanto che, dopo la sua prima stagione romana trascorsa per lo più in panchina, voleva smettere. La Lazio non ci avrebbe rimesso granché, in fondo lo aveva pagato la metà di Immobile, poi l’infortunio estivo di qualche compagno, e in particolare di Felipe Anderson, gli ha aperto un varco nel quale si è infilato, non uscendone più.
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stefano meloccaro foto di bacco
Correa è l’acquisto più caro nei 15 anni di presidenza Lotito (a parte lo strano caso di Zarate): 16 milioni più 3 di bonus. Una cifra che una società in lotta per lo scudetto utilizza per una riserva, e nemmeno di lusso, certo non per un trequartista o un attaccante. Il Siviglia, che lo aveva preso dalla Samp, lo ha mollato perché il suo talento si accendeva (solo) a sprazzi: non diventerà mai un campione, resterà un mezzo giocatore, un talento incompiuto. Si sbagliavano.
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Poi c’è Milinkovic-Savic. Per comprarlo quando aveva 20 anni, Tare non ha esitato a scatenare l’inferno: il ragazzo era nella sede viola per firmare con la Fiorentina, ha posato la penna sulla scrivania, è scoppiato in lacrime, ha detto di volere solo la Lazio. Da allora a Firenze lo fischiano, ma lui non pare sconvolto. È diventato l’uomo da 100 milioni, perché Lotito giura di avere rifiutato un’offerta altissima benché lo abbia pagato un decimo o poco più. Ha messo k.o. la Juve con un gol da campione.
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Cinquanta milioni scarsi (bonus compresi) per quattro tenori, tre in saldo e uno in erba: così è nata la Lazio delle meraviglie. Forse un modello, forse un miracolo. Vicina allo scudetto, comunque: cinque punti appena.
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ZOFF E LA SUA LAZIO
Francesco Persili per Dagospia
“Eravamo in ritiro in un albergo ai Parioli. Gazza dava fastidio alle cameriere…” Gascoigne riesce ancora a strappare sorrisi a Zoff che ricorda il suo rapporto leale e paterno con il talento inglese.
“Quella volta lo chiamai ripetutamente al telefono per dirgli di venire subito giù. Lui farfugliò qualcosa. Poco dopo me lo trovai alla porta completamente nudo. 'Ma che fai? Sei impazzito', gli dissi. E lui: 'Mi hai detto: vieni subito, così come stai'. E io così ero”. Quante volte Superdino ha raccolto sfoghi e lacrime di Gazza. E quante volte i dispetti, le smorfie e gli scherzi dell’inglese hanno divertito Zoff. Come sosteneva l’ex doriano David Platt: “Vivere vicino a Paul senza volergli bene è impossibile”.
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Al campo l'ex Tottenham arrivava più volte brillo. E dopo il gol capolavoro a Pescara quando con una serpentina ubriacante lasciò sul posto 4 avversari la battuta fu scontata: "s’è bevuto pure i pescaresi".
libro presentato
C'era una volta a Tor di Quinto. Impossibile dimenticare il giorno in cui il centrocampista si presentò al campo talmente ubriaco che si mise a tirare le sedie per aria negli spogliatoi. Quando entrò Zoff lo trovò sdraiato per terra. “Altro che tranquillizzarlo, l’ho insultato a morte: 'Ma che cazzo fai? Alzati', gli dissi. Con un matto non puoi stare lì a ragionare. Mi avvicinai e lui mi buttò le braccia al collo e sorrise: “Solo tu mi capisci”.
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Al Salone d’Onore del Coni va in scena la serata dell’orgoglio (e dell’amarcord) laziale. L’occasione è la presentazione del libro “Dino e la sua Lazio, la carriera in biancoceleste del mito”, curato da Emiliano Foglia per ‘Lazialità’. Sportivo universale, Zoff. “Come Fausto Coppi, Nino Benvenuti e Alberto Tomba, è un vanto eterno per lo sport italiano – sottolinea Franco Melli - Un’icona al punto di finire sopra un francobollo come un Papa o un re”. “Solo chi non è in buona fede, non è tifoso di Zoff”, rimarca il presidente del Coni Malagò. “E’ come Vittorio Gassman, ti mette sempre un po’ soggezione ma è una figura importante, i giovani dovrebbero imparare da lui”, spiega Enrico Montesano. Giordano rievoca il Lazio-Juve del ’77 e un pallonetto conficcato nell’immaginario di ogni laziale, Brividi forti con Mario Pennacchia, ex responsabile stampa biancoceleste, che ricorda il momento più drammatico della carriera di Dino, di ritorno dal mondiale in Argentina, quando gliene dissero di tutti i colori…”.
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Ogni frammento della sua avventura biancoceleste è una storia infinita. Da presidente Zoff fu decisivo nel far saltare il passaggio di Signori al Parma. Dopo l’esonero di Zeman nel ’97 tornò in panchina e rifece lo stesso nel 2000 sfiorando lo scudetto. Non ha mai detto no quando la Lazio era in difficoltà. Ha messo lo stile, l’umiltà e la classe a servizio della comunità biancoceleste.
Il Mito, come il diavolo, si nasconde sempre nei dettagli. Nel mese di febbraio del 1994 il neo presidente Zoff chiama nel suo ufficio Guido De Angelis, direttore dal 1985 di “Lazialità”, e si complimenta con lui per la rivista “che tiene fede al suo nome”. Secondo Superdino quella pubblicazione veicola passione e senso di appartenenza e per questo comunica a De Angelis che vorrebbe riconoscere al mensile il carattere di rivista ufficiale della Lazio. “Trasmette Lazialità a quanti la leggono e io so bene cosa voglia dire pur provenendo dal lontano Friuli…”.
dino zoff simone inzaghi
Nel romanzo biancoceleste di Superdino non possono mancare due 'chicche' politiche. La prima riguarda la famiglia Gheddafi che guardava con simpatia alla Lazio. In occasione di un triangolare organizzato a Tripoli dai figli del rais di Tripoli ci fu un incontro con il Colonnello che fece catenaccio sul caso Ustica ma si sbilanciò su Zoff (“E’ ancora il nostro idolo”) al punto da offrirgli l’incarico di rilanciare il calcio libico. Da Gheddafi alla partita di scopone più famosa della storia Nazionale. Quella con Pertini, di ritorno dalla Spagna, con la Coppa del Mondo appena conquistata in bella vista. “Quel friulano è un cagnaccio anche al tavolo da gioco”, mormorò il presidente. E Zoff ricorda: “Pertini mi fece perdere…”
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