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    SU ‘’HUNGER GAMES 3’’ SVENTOLA BANDIERA ROSSA - PARLA DONALD SUTHERLAND: ‘’QUESTO FILM È UN INVITO ALLA RIVOLTA. HO PENSATO A QUESTA SAGA COME A UNO STRUMENTO PER QUEL CAMBIAMENTO CHE CERCAVAMO NEL ’68’’ – ‘’OBAMA? HA SBAGLIATO A CERCARE IL DIALOGO”


     
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    Arianna Finos per “la Repubblica

     

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    Lancio mondiale nella capitale inglese di uno dei film più attesi della stagione — Hunger Games-Il canto della rivolta, terzo capitolo della saga miliardaria nata dai romanzi di Suzanne Collins — e nell’occhio del ciclone mediatico c’è Donald Sutherland. Che con voce calda intona “Bandiera rossa la trionferà...”. E’ questo, dice, il suo “Canto della rivolta”.

     

    Ottant’anni il prossimo luglio, quaranta spesi nella storia del cinema tra B movie e capolavori, è un fiume in piena di proclami, aneddoti e ricordi. Il discorso è intervallato da mezze frasi in italiano, eredità di set lontani con Bertolucci e Fellini e più recenti con Martinelli e Tornatore.

     

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    Mister Sutherland, lei ha preso molto sul serio il ruolo del dittatore Snow in Hunger Games.

    «La maggior parte dei giovani che viene a vedere i film è stato ispirato dai libri della Collins, che hanno indicato una possibile libertà dall’oligarchia, dal gruppo di gente ricca che controlla le loro vite e li opprime. Letto il primo Hunger Games , ho capito che avrei fatto il tiranno Snow anche gratis.

     

    Negli anni Trenta gli Stati Uniti erano il paese per cui si è coniata la frase “il sogno americano”. Ora la mobilità sociale non esiste più e ne fanno le spese soprattutto i giovani. La maggior parte di loro però, a parte fenomeni circoscritti come Occupy, è passiva. Consumata dai telefonini e dai tweet.

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    Ho pensato a questa saga come a uno strumento per quel cambiamento che cercavamo nel ‘68. Più che il futuro racconta il presente, in un’allegoria che va oltre la denuncia del razzismo, classismo e sessismo che affliggono l’America, colpendo al cuore il capitalismo. Non ci sarà una rivoluzione negli Stati Uniti in tempi brevi, ma qualche cambiamento può ancora avvenire».

     

    Obama, di cui lei è stato grande sostenitore, è in grande difficoltà.

    «C’è un presidente degli Stati Uniti che è nero, questo ha già reso un grande servizio contro il razzismo brandito dal partito repubblicano. Quello che io e lui non avevamo capito è che avrebbero fatto di tutto per distruggerlo.

     

    Il suo difetto è stato tentare il dialogo con chi non ne voleva sapere. Ai giovani serve consapevolezza e per questo i libri di Suzanne Collins che ispirano a leggere, a comprendere la realtà al di là della manipolazione dei media, sono utili».

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    Davvero pensa che un film e un libro possano cambiare la realtà?

    «Un film ha cambiato la mia vita: Orizzonti di gloria di Kubrick, nel 1957. Fuori dalla sala, dopo averlo visto, avevo un senso di ribellione incontrollabile. Staccavo pezzi di marciapiede e li lanciavo in aria. Poi la rabbia si è trasformata in passione politica».

     

    La sua è una passione politica da ventenne.

    «Uno dei miei mentori, parlando agli allievi si raccomandò: “Cercate di restare sempre appassionati” Per noi artisti poi, la passione è la vita. Per questo ho amato tanto Fellini. Le confesso che a volte mi manca tanto, allora rivedo i miei giorni con lui».

     

    Sul set di Casanova.

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    «Mio Dio, si metteva seduto sulle mie ginocchia, e da lì dava istruzioni alla troupe. Cambiava idea e dialoghi tutti i giorni, e così io nelle scene contavo: ”uno due tre quattro”. Federico non guardava mai il girato, nella sua mente il film aveva tre dimensioni, vederlo in due sole ne avrebbe ucciso la creatività.

     

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    Un giorno sul set mi dice: “Donald, voglio cambiare la scena, dammi mezz’ora”. Quando torna ha cambiato tutto creato la scena finale in cui Casanova danza con la bambola: aveva capito il personaggio era più innamorato della bambola meccanica che di tutto il resto».

     

    A quasi ottant’anni lei è in piena attività. Ha girato molti film, tra cui uno con suo figlio Kiefer.

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    «E’ stato emozionante condividere il set di Forsaken con Kiefer. Sono fiero di lui, dell’attore che è diventato. Purtroppo il film, un western incentrato sulla riscoperta del rapporto tra un padre e il figlio ormai adulto, ha avuto qualche problema produttivo, ma non vedo l’ora di vederlo sullo schermo».

     

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