Cecilia Anesi, Gianluca Paolucci e Lorenzo Bagnoli per "la Stampa"
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Familiari e associati dei dittatori che hanno scatenato le primavere arabe. Burocrati venezuelani che hanno partecipato alla spoliazione delle risorse del paese durante le presidenze di Chavez e Maduro. Un generale algerino che guidava le torture durante la sanguinosa guerra civile che ha devastato il paese.
Un cittadino svedese attualmente in carcere nelle Filippine, dove sconta una condanna per traffico di esseri umani. Un italiano legato al riciclaggio delle cosche di Ndrangheta. E poi evasori fiscali, corrotti e corruttori, narcotrafficanti. Tutti clienti "speciali" di Credit Suisse, la seconda banca svizzera e una delle più importanti istituzioni finanziarie del globo.
Tracciabilità e trasparenza
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Grazie a Suisse Secrets, una investigazione condotta da oltre 160 giornalisti di 39 paesi coordinati da Suddeutsche Zeitung e Occrp con La Stampa e IrpiMedia partner italiani, è possibile risalire alle identità dei titolari di una serie di conti dell'istituto svizzero e alle pratiche della banca, che malgrado gli scandali ha continuato a fornire per anni i propri servizi a questi clienti nonostante le regole sulla tracciabilità dei fondi e la trasparenza delle attività che li hanno prodotti.
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E malgrado le ripetute promesse di pulizia da parte dei manager che si sono avvicendati alla guida dell'istituto già al centro di una serie incredibile di scandali. Il leak ricevuto da Suddeutsche Zeitung riguarda circa 18 mila conti, alcuni aperti da anni, una parte ancora attivi in tempi molto recenti. Sono riconducibili a oltre 30 mila persone e società e assommano a un totale di oltre 100 miliardi di euro.
Fondi che potrebbero essere stati sequestrati su richiesta dei tribunali di mezzo mondo ma su cui non si hanno notizie certe: la banca non ha risposto alle domande puntuali dei giornalisti del consorzio, facendo riferimento al fatto che molte delle vicende ricostruite sono riferite al passato.
«Credit Suisse - ha risposto la banca, che ha annunciato una investigazione interna per la fuga di notizie - respinge fermamente le accuse e le insinuazioni riguardanti le presunte pratiche commerciali della banca.
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I fatti riferiti sono principalmente remoti, risalendo in alcuni casi addirittura agli anni Quaranta del secolo scorso. Ciò che viene riportato è basato su informazioni parziali, inaccurate o selettive che, estrapolate dal loro contesto, danno adito a interpretazioni tendenziose riguardo la condotta della banca.
Credit Suisse, in base alle disposizioni di legge, non può rilasciare alcun commento su potenziali relazioni di clientela, ma conferma di avere adottato le misure adeguate, in linea con le direttive e i requisiti regolamentari applicabili nei periodi in questione, e di avere già preso provvedimenti dove necessario».
Il manager
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Seppure la Svizzera si sia adeguata al sistema di scambio automatico di informazioni, la riservatezza resta uno dei capisaldi dell'istituto di credito. Riservatezza garantita in misura maggiore ai clienti "speciali". Una reporter di Occrp si è finta un potenziale cliente interessato a depositare una grossa somma di denaro e chiedendo riservatezza estrema. "Solo un numero limitato di persone anche dentro la banca avrà accesso alle informazioni del vostro conto", l'ha rassicurata un alto dirigente dell'istituto.
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Credit Suisse offre ancora conti cifrati al prezzo di 3000 dollari all'anno ma, ha spiegato il manager al finto investitore, "la protezione offerta da questo tipo di conti è diminuita nettamente nel corso degli anni" a causa delle strette normative seguiti agli scandali su riciclaggio ed evasione fiscale e proponendo dunque una serie di alternative, compresi dei trust con dipendenti dell'istituto come fiduciari e direttori.
Questi clienti «non passano attraverso il normale processo di apertura di un conto bancario. Accedono a un sistema separato, la loro documentazione è tenuta a parte, in cartelle che non sono accessibili al sistema standard. Solo i dirigenti sono a conoscenza di questi conti», spiega un ex Credit Suisse basato a Zurigo che ha accettato di parlare anonimamente con il team di giornalisti.
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Secondo questa e altre fonti, Credit Suisse non solo accettava, ma incoraggiava i propri dipendenti a fornire servizi a clienti con fondi di dubbia provenienza. In questi casi, spiega l'ex banchiere, i conti erano gestiti direttamente dalla direzione della banca, i conti più ricchi e al tempo stesso più a rischio erano «isolati e gestiti dagli alti dirigenti».
Le cosche del Nord
Tra questi clienti c'era ad esempio Evelin Banev. Ex wrestler, a capo di un gruppo di narcotrafficanti italiani e bulgari, Banev, attualmente in carcere, è stato condannato in via definitiva in tre paesi diversi e in Italia dovrebbe scontare una pena di 20 anni. La sua cocaina veniva smerciata anche dalla costola piemontese della cosca Bellocco.
credit suisse
A Bellinzona è in corso un processo per certi versi storico che vede sul banco degli imputati la banca stessa: «Una decina di alti dirigenti della banca, così come il suo dipartimento legale, era a conoscenza del fatto che un gruppo di clienti erano criminali trafficanti di droga, ma hanno approvato milioni di euro di transazioni per loro prima di congelare i loro conti», riporta il Financial Times. Oppure Bo Stefen Sederholm.
ALAA MUBARAK
Cittadino svedese, gestiva un traffico di giovani donne filippine che con la promessa di un lavoro da segretaria venivano invece indotte alla prostituzione e al porno online. Nel 2009 è stato arrestato e nel 2011 condannato all'ergastolo. Il suo conto al Credit Suisse, aperto nel 2008, è rimasto attivo fino al 2013, oltre due anni dopo la condanna.
Spie e dittatori
E ancora, sono rimasti buoni clienti di Credit Suisse malgrado accuse e condanne Pavlo Lazarenko, ex premier ucraino, dopo la condanna negli Usa per riciclaggio; Alaa Mubarak, figlio dell'ex dittatore egiziano Hosni Mubarak, che aveva oltre 200 milioni di franchi nel suo conto svizzero; Khaled Nazzar, a capo della giunta militare algerina durante la guerra civile degli anni '90, arrestato a Ginevra e accusato di crimini di guerra; Omar Suleyman, per 20 anni a capo dei servizi segreti egiziani, pubblicamente accusato di tortura. Il conto, intestato a dei familiari, ha avuto fino a oltre 60 milioni di franchi depositati ed è rimasto attivo ben oltre la caduta del regime di Mubarak.
MARIO MERELLO MARCELLA BELLA
La replica dell'istituto alle richieste puntuali del Guardian su circa 50 di questi clienti "speciali" è stata, tra le altre cose, che in fondo rappresentano solo lo 0,003% dei clienti. Ovviamente, tra i clienti speciali non potevano mancare gli italiani. Nei dati esaminati da questa inchiesta sono almeno 700 quelli che hanno scelto di portare i propri soldi in Credit Suisse.
I nomi che si ritrovano non sono particolarmente famosi, ma rivelano uno schema: sono quasi tutti residenti o domiciliati all'estero, in alcuni casi per davvero - come nel caso degli italiani che operano nel settore petrolifero o minerario e legname in Africa, o nel gaming in Asia, - in altri solo perché fiscalmente più conveniente.
Italiani del Venezuela
ALAA MUBARAK
Tra gli italiani domiciliati all'estero, quasi un terzo abita in Venezuela. Il più facoltoso tra i correntisti "venezuelani" è Mario Merello, imprenditore noto alle cronache rosa per essere il marito della cantante Marcella Bella e per le sue frequentazioni del mondo dello showbusiness, i cui patrimoni all'estero sono noti dal 2009 grazie alla lista Pessina.
Secondo la procura di Milano, Merello era a capo di un'associazione per delinquere che tra il 2000 e il 2009 avrebbe frodato al fisco circa 450 milioni di euro. Creava società offshore a cui faceva emettere fatture per consulenze, polizze assicurative e prestazioni mai effettuate. Con questo castello di carte, spostava il denaro oltreconfine e abbatteva l'imponibile delle imprese.
Tra i dati di Suisse Secrets, emergono 13 conti - oggi tutti chiusi - che sommati hanno avuto un patrimonio massimo di oltre 24 milioni di euro.
Le finte polizze
paradisi fiscali svizzera
Alcuni patrimoni degli italiani in Svizzera sono stati dichiarati al fisco a fronte di ampi sconti su sanzioni e potenziali procedimenti penali, attraverso strumenti come la voluntary disclosure e lo scudo fiscale, in particolare negli anni tra il 2009 e il 2015. Mario Merello è stato tra quelli che sono riusciti ad aggirare lo scudo: con una mano faceva rientrare una parte dei capitali, con l'altra ne manteneva una parte offshore, trasformata in quote di una società schermata da un trust.
Anche volendo utilizzare i dati dello scudo fiscale, nessuno sarebbe riuscito a individuare il beneficiario effettivo. Nei casi in cui è stato possibile approfondire le informazioni ricevute con le autodichiarazioni, gli inquirenti si sono ritrovati di fronte non solo a conti cifrati ma anche a polizze assicurative trasformate in conti deposito nei quali investire e prelevare esentasse, in qualche paradiso offshore. Le hanno definite "polizze mantello" e dopo le indagini della procura di Milano, Credit Suisse ha patteggiato nel 2016 pagando al Fisco italiano 101 milioni di euro.