Flavia Fiorentino per il “Corriere della sera - Edizione Roma”
MADE IN REBIBBIA - COLLEZIONE DETENUTI
La sapienza delle mani, la concentrazione della mente, l' attenzione ai dettagli su forme e tessuti che trasmettono bellezza, ha permesso a un gruppo di detenuti del carcere di Rebibbia di riacquistare fiducia in se stessi, combattere la rabbia e costruire giorno per giorno, tra orli, bottoni e asole, un futuro diverso, pieno di speranza.
Così a conclusione del corso di taglio e cucito dal titolo «Ricuciamolo insieme», organizzato dall' Accademia nazionale dei Sartori e fortemente voluto dal presidente Ilario Piscioneri, scomparso lo scorso anno, qualche sera fa, nell' area verde dell' istituto penitenziario sulla Tiburtina, sono saliti in passerella gli stessi sarti-detenuti, in veste anche di modelli, per presentare una collezione di 25 capi «Made in Rebibbia» tra giacche, completi, pantaloni e gilet.
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«Erano emozionati - racconta il coordinatore del corso Daniele Piscioneri, uno dei tre figli di Ilario - perché si sono esposti davanti a un pubblico esterno, ad altri detenuti e soprattutto ai loro cari. Un modo per mostrare agli altri cosa sono capaci di fare, uno sforzo tangibile per riabilitarsi con la famiglia».
I sette detenuti, alcuni con pene tra i 10 e i 15 anni, che hanno appena concluso il secondo anno di corso (sostenuto da Bmw Roma che ha acquistato il materiale didattico), hanno frequentato il laboratorio tutti i giorni dalle 9 e 30 alle 12 e 30 e uno di loro, Manuel Zumpano ha ottenuto il permesso di uscire dall' istituto per partecipare ad alcune lezioni supplementari presso l' atelier Ilario, nel quartiere Prati.
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«Ho vissuto sensazioni che non provavo da più di 4 anni e mezzo, una diversa percezione della realtà - racconta Manuel - con questo progetto ho ritrovato sicurezza ed è appagante vedere che le persone apprezzano il mio lavoro. Sogno di avere un riscatto personale e costruirmi una nuova vita. Quest' esperienza mi aiuta a superare i momenti bui. Sto imparando un mestiere che sta scomparendo e spero ci sia la possibilità di farlo scoprire a molti altri giovani».
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Un' iniziativa virtuosa, con doppio effetto positivo: «Se da una parte, imparare un mestiere rappresenta per loro una strada verso la libertà e la possibilità di riprendersi in mano la propria vita - conclude Piscioneri - dall' altra, potrebbero crearsi delle professionalità che le sartorie cercano continuamente e fanno fatica a trovare. Mio padre immaginava di allargare questo modello a livello nazionale, la sfida ora è creare un protocollo per coinvolgere altre carceri italiane».
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