1. “ENI, AL SETACCIO IL TESORO DI SCARONI”
Sandro De Riccardis per “La Repubblica”
paolo scaroni and denis sassou nguesso eni
Non c’è solo il fronte nigeriano, con i circa 200 milioni di presunte tangenti pagate per la concessione petrolifera Opl245, che poi sarebbero stati spartiti tra manager italiani e intermediari. La procura di Milano segue anche le tracce dei soldi — circa 198 milioni — che sarebbero stati pagati da Saipem in Algeria al ministro dell’Energia Chekib Khelil e a suoi uomini di fiducia per mettere le mani sul petrolio nordafricano: otto grandi appalti ottenuti da Saipem, «tra il 2006 e il 2010», per un valore di 13 miliardi e 600mila euro.
I pm Fabio De Pasquale e Isidoro Palma, che stanno indagando sui flussi di denaro tra l’Italia e l’Africa intorno agli appalti milionari del Cane a sei zampe, hanno inviato una rogatoria in Svizzera per approfondire le somme in entrata nel “Paolo Scaroni trust” e capire se abbiano tutte provenienza lecita.
FABIO DE PASQUALE
Il trust — che ha come beneficiario l’ex ad dell’Eni, Paolo Scaroni, la moglie e i loro discendenti — è tuttavia solo una delle strutture societarie a cui si stanno interessando gli investigatori. La procura ha deciso di muoversi con accertamenti a largo raggio, con richieste anche in Lussemburgo, Emirati Arabi, Algeria, Francia, Hong Kong, Singapore e Libano.
Obiettivo: verificare — ed è questa l’ipotesi dell’accusa — se parte di quei 197 milioni di tangenti siano tornati nella disponibilità del management di Eni e Saipem.
Uno schema che si sarebbe poi ripetuto anche per conquistare la concessione per lo sfruttamento del giacimento petrolifero nigeriano Opl245.
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La richiesta di documentazione alle autorità elvetiche punta a ricostruire i movimenti del denaro pagato da Saipem alla Pearl Partners, con sede a Hong Kong, controllata da uno degli uomini più vicini al ministro Khelil, quel Farid Bedjaoui che ha svolto il ruolo d’intermediario tra i manager di Saipem e le autorità algerine.
Gli appalti riguardano i lavori dei progetti “Medgaz” e “Mle”, realizzati in joint venture con l’ente di stato Sonatrach, per i quali le due società italiane avrebbero versato alla Pearl Partners Limited quasi 200milioni di presunte mazzette per faccendieri, esponenti di governo e manager della stessa Sonatrach.
Nell’inchiesta sono indagati per corruzione internazionale, oltre all’ex amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni, anche l’ex ad di Saipem Franco Tali, l’ex direttore operativo Pietro Varone, l’ex direttore finanziario Alessandro Bernini, l’ex direttore generale per l’Algeria Tullio Orsi, e quello che all’epoca dei fatti era responsabile Eni per il Nordafrica, Antonio Vella.
2. “IL MANAGER: I CONTI SONO REGOLARI, HO GUADAGNATO SOLO SOLDI PULITI”
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Dario Cresto-Dina per “la Repubblica”
«Non ho nessun problema », ha detto Paolo Scaroni a chi lo ha incontrato ieri sera a Milano: «Il denaro che stava nel trust inglese è pulito, è il frutto del mio lavoro all’estero. I magistrati possono rivoltarlo come un calzino, altre autorità di controllo lo hanno già fatto in passato, e non ci troveranno nulla di illecito. Tutto documentato, non un soldo sospetto».
L’ex amministratore delegato dell’Eni è più che amareggiato — «In realtà è furioso », rivela qualcuno del suo entourage — ma con i suoi collaboratori è stato chiaro, a tutti raccomanda freddezza: non vuole dire una sola parola sull’inchiesta per la presunta maxitangente algerina né commentare lo sfogo del suo successore Claudio Descalzi, raccolto qualche giorno fa da Repubblica. Anche se verrà il tempo dei chiarimenti e, forse, degli scontri.
Il lavoro della magistratura, fa capire, va rispettato in silenzio fino a quando non arriverà alle sue conclusioni. Ma, questa è la questione sulla quale non riesce a tacere, ci sono confini della privacy che non andrebbero superati. È per questo che ieri sera a un amico l’ex super boiardo dell’Eni ha confessato ciò che davvero non riesce a mandar giù: «Su quei documenti ci sono i nomi di mia moglie e dei miei figli. Sono loro i beneficiari del trust, la cui forma giuridica ha il vantaggio di consentire dei lasciti differenti dalle norme testamentarie.
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Rendere pubblico tutto questo non può diventare pericoloso? E se a qualcuno domani viene in testa l’idea di rapire uno dei miei figli?». In sostanza, ha ribadito a chi lavora al suo fianco: «Cerchino pure dove vogliono, metto a loro disposizione tutte le carte e le testimonianze documentali della mia vita professionale, ma ci sono cose che non andrebbero sbattute in pubblico. Credo che questa sia una vergogna mondiale».
A scavare nel “Paolo Scaroni Trust” sono i pm milanesi Fabio De Pasquale e Isidoro Palma. Il conto venne costituito nel 1998 nell’isola di Guernsey e nel 2009, secondo quanto accertato da una relazione ispettiva di Bankitalia, il deposito ammontava a 13 milioni di euro. Di questi, al lordo dell’imposta del cinque per cento, poco più di undici milioni vennero fatti rientrare in Italia grazie al filtro garantito dallo scudo fiscale ter.
estrazione di petrolio nel delta del niger in nigeria
«Lo ripeto ancora una volta — ha spiegato ieri sera il super manager a chi gli chiedeva spiegazioni — : ho fatto tutto secondo la legge. Allora lavoravo e risiedevo in Gran Bretagna, ero amministratore delegato della Pilkington, multinazionale del settore vetri per auto, e avevo il diritto di mettere i miei guadagni dove volevo.
Credo fosse una scelta che non riguardava nessuno». Sul trust sono confluiti i suoi emolumenti fino al 2002, fino a quando è rientrato in Italia. Da allora il conto non sarebbe più stato alimentato, il flusso del denaro si sarebbe interrotto in contemporanea al cambio di sede lavorativa di Scaroni.
Il rimpatrio del capitale è avvenuto sette anni dopo, come ieri sera il manager ha ricordato ha chi gli ha parlato: «Prima di decidere di usufruire dello scudo andai a confrontarmi con Tremonti. Gli dissi: Giulio, che cosa mi consigli di fare? Lui mi domandò se i beneficiari del trust erano i miei familiari oppure se avessi indicato altri tipi di destinatari. Quando gli spiegai che, oltre a me, si trattava di mia moglie e dei miei figli mi suggerì di far rientrare il denaro in Italia».
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Oggi il trust ha due protector, Rolando Benedick e il super commercialista di Milano Oreste Severgnini. E ogni anno, da amministratore delegato dell’Eni, Scaroni ne ha sempre fatto menzione nella relazione davanti al Parlamento e nell’assemblea dei soci: «Gli ispettori della Banca d’Italia lo hanno vivisezionato e non hanno trovato nulla di irregolare. Ecco perché sono tranquillo ».
Non chiedetemi nulla sull’inchiesta Saipem-Algeria, ha ribadito ieri sera Paolo Scaroni, ma alla fine ha voluto ripetere quelle parole nelle quali, a suo avviso, è racchiusa la sua immagine di manager: «Nei miei guadagni tutto è lecito fino all’ultimo centesimo. Non ho mai preso soldi da nessuno. Nella mia carriera ho guadagnato soltanto soldi puliti. In caso contrario sarei già stato arrestato. Spero che l’Italia non sia diventata un paese di matti».