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    TAR-TASSATI FOREVER! – NEI PRIMI TRE MESI DEL 2024 LA PRESSIONE FISCALE È SALITA DELLO 0,8% RISPETTO AL 2023, ARRIVANDO AL 37,1% –  A PRENDERSELA IN QUEL POSTO E A PAGARE PIU’ IMPOSTE È STATO CHI, SFRUTTANDO LA DECONTRIBUZIONE PER I DIPENDENTI, È SALITO DI SCAGLIONE DI REDDITO DA 15 MILA A 28 MILA EURO – IL PESO DEL DEFICIT E IL DEBITO PUBBLICO IMPORRANNO LA STRETTA SULLE POLITICHE FISCALI AL GOVERNO DEL “NON-METTEREMO-LE-MANI-NELLE-TASCHE-DEGLI-ITALIANI”...


     
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    Estratto dell’articolo di Alessandro Barbera per “la Stampa”

     

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    Sorpresa: le tasse aumentano. O meglio: nei primi tre mesi di quest'anno gli italiano hanno subito una pressione fiscale dello 0,8 per cento più alta dello stesso trimestre del 2023. Era stata pari al 36,3 per cento fra gennaio e marzo del 2023, quest'anno nello stesso arco temporale ha segnato il 37,1.

     

    Possibile? Possibile che il governo del non-metteremo-le-mani-nelle-tasche-degli-italiani, della tassa piatta agli autonomi, della decontribuzione ai redditi bassi e delle rateizzazioni decennali ci raccontino frottole? Per ora no. O meglio: c'è una ristretta platea di italiani beffata. Vediamo perché.

     

    [...] è in un problema che puntualmente si presenta quando vengono offerti sgravi generalizzati sui redditi. La faccenda può essere semplificata così: per i redditi fino a 35 mila euro è in vigore uno sgravio sui contributi sociali pari a circa cento euro medi al mese.

     

    GIORGIA MELONI GIANCARLO GIORGETTI GIORGIA MELONI GIANCARLO GIORGETTI

    Soldi che lo Stato lascia nella busta paga del lavoratore, come se si trattasse di un aumento di stipendio. Ebbene, dentro a questa fascia di reddito ci sono due scaglioni di redditi: quelli fino ai 15 mila euro, che pagano il 23 per cento di Irpef, e quelli che ne guadagnano fino a 28 mila, ai quali viene chiesto il 25 per cento. Secondo quanto ricostruito, quello 0,8 per cento in più va in gran parte imputato al gruppo di sfortunati che, grazie alla decontribuzione, ha avuto il passaggio allo scaglione successivo di reddito. [...]

     

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    Per capire se il trend sarà confermato nel resto dell'anno occorrerà comunque osservare i dati che l'Istituto di statistica pubblica trimestralmente. Di norma i primi tre mesi dell'anno sono quelli in cui la pressione fiscale è più bassa. L'ultimo è il peggiore, quando supera il cinquanta per cento. Se calcoliamo il dato su base annuale, è stabile da cinque anni. Nel 2023 - c'era già il governo Meloni - la pressione fiscale ha raggiunto il 42,5 per cento della ricchezza prodotta, la stessa percentuale del 2022. Nel 2021 era stata pari al 42,6, nel 2020 del 42,7, nel 2019 del 42,3.

     

    Secondo quanto promette l'ultimo Documento di economia e finanza (Def) pubblicato ad aprile, nel 2024 dovrebbe scendere al 42,1 per cento, risalire al 42,4 nel 2025 e scendere di nuovo al 42,2 nel 2026.

     

    GIORGIA MELONI E LE TASSE - VIGNETTA BY ELLEKAPPA GIORGIA MELONI E LE TASSE - VIGNETTA BY ELLEKAPPA

    Inutile dire che sono numeri scritti sull'acqua, per almeno due ragioni. La prima: non abbiamo certezze sull'andamento del Pil nel corso dell'anno. Il governo spera si attesti all'uno per cento, ma la prudenza con cui la Banca centrale europea sta gestendo il taglio dei tassi di interesse potrebbe spegnere gli entusiasmi. Più alti resteranno i tassi, più bassa sarà la crescita, più sarà forte l'impatto percentuale della pressione fiscale. Molto dipenderà anche dall'impatto degli investimenti del Recovery Plan, la vera ancora di salvezza del governo Meloni.

     

    Seconda incognita: il governo non ci ha ancora detto nulla sulle grandezze macroeconomiche della prossima legge di bilancio. Questa è la ragione che ci costringe al pessimismo. Sappiamo che per confermare la decontribuzione di cui sopra occorrono dieci miliardi tondi, al momento senza copertura. A questo va aggiunto l'impegno da onorare con l'Europa sulla riduzione del saldo strutturale, che costerà almeno altri dieci miliardi.

     

    paolo gentiloni giancarlo giorgetti g7 economia stresa paolo gentiloni giancarlo giorgetti g7 economia stresa

    Con l'entrata in vigore del nuovo Patto di stabilità l'Italia non può più - come è avvenuto dalla pandemia in poi - finanziare le leggi di bilancio essenzialmente in deficit. E poiché tagliare la spesa è sempre difficile, al governo non potrebbe che restare come unica alternativa quella di chiedere un sacrificio agli italiani, probabilmente quelli con redditi più alti.

     

    Per avere la risposta a questo dubbio occorrerà attendere i primi giorni di settembre, quando al ministero del Tesoro e a Palazzo Chigi ci saranno le prime riunioni plenarie dell'autunno, numeri alla mano. Un aiuto al governo lo potrà dare (per l'ultima volta) il commissario uscente all'Economia Paolo Gentiloni, che in attesa del successore tratterà con Giancarlo Giorgetti la «traiettoria di bilancio» con la quale il ministro prometterà di rientrare con il deficit entro il vecchio limite del tre per cento previsto dal Trattato di Maastricht, di fatto ancora in vigore.

     

    giorgia meloni e il pizzo di stato - vignetta by emiliano carli giorgia meloni e il pizzo di stato - vignetta by emiliano carli

    Sappiamo che l'anno scorso l'Italia ha chiuso con un deficit monstre del 7,4 per cento. L'ultimo documento di finanza pubblica stima l'impegno a scendere nel 2025 al 4,3 per cento. Secondo quanto ricostruito nei giorni scorsi, l'ipotesi già informalmente discussa dal ministro del Tesoro con Bruxelles prevede di fare qualcosa di meglio, ovvero fra il 4 e il 4,2 per cento. In tutto questo l'esito delle elezioni francesi e il governo che ne uscirà saranno variabili decisive: è probabile che Giorgetti si attesti con gli impegni poco al di sopra di quelli di Parigi. [...]

    PAOLO GENTILONI - GIANCARLO GIORGETTI PAOLO GENTILONI - GIANCARLO GIORGETTI

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