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    TARDELLI D’ITALIA: L’URLO MUNDIAL (“DA LI’ RINACQUE IL PAESE”), IL CALCIO (“È L' UNICO LAVORO IN CUI ESISTE SOLO IL MERITO. NESSUNA RACCOMANDAZIONE PUÒ INSERIRTI IN UNA SQUADRA”) E LE DONNE: "MOANA? NON RINNEGO NIENTE - MYRTA MERLINO? LA DONNA DELLA MIA VITA. SONO UN PO’ GELOSO…OGGI ALLO STADIO NON VADO PIU’. ECCO IL MOTIVO - "IL RAZZISMO? L’UNICO MODO E’ FERMARE IL GIOCO. MI RICORDERÒ PER TUTTA LA VITA UN METODO INGLESE…"


     
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    Paolo Conti per il “Corriere della Sera”

     

    tardelli myrta tardelli myrta

    Per milioni di italiani, Marco Tardelli «è» il famoso urlo di sette secondi del Mundial '82 a Madrid, il mitico secondo gol azzurro di Italia-Germania 3-1, un' icona mediatica non solo sportiva. In tribuna il presidente della Repubblica Sandro Pertini che si alza in piedi entusiasta. Un pezzo di storia italiana...

    «Quell' urlo, quel gol, quella vittoria insomma, segnarono simbolicamente una rinascita dell' Italia. Alle spalle c' erano gli anni del terrorismo, i morti, gli scandali. Fu l' inizio di un riscatto. Lo sport, quello buono, serve anche a questo. Pensiamo a Coppi-Bartali, un' altra ri-partenza dell' Italia.

     

    Nelson Mandela lo disse benissimo nel 1995 quando la nuova squadra multirazziale di rugby del Sudafrica vinse la Coppa del Mondo: "Lo sport può risvegliare la speranza, dove prima c' era solo disperazione. Ha il potere di unire le persone come poche altre cose al mondo. Parla ai giovani in un linguaggio che capiscono". Meglio di così, non si potrebbe dire...».

     

    marco tardelli myrta merlino foto di bacco (2) marco tardelli myrta merlino foto di bacco (2)

    Ma quando lei segnò, e urlò, era consapevole di tutto questo?

    «Certo che no. L' onda emotiva fu enorme. C' era anche un po' di rivincita verso la stampa, con cui avevamo avuto molti attriti. Il periodo era negativo, e negativa era anche l' immagine della Nazionale. Invece cambiò tutto. Non dimenticherò mai l' amicizia tra di noi calciatori, l' affetto, le confidenze, una crescita umana collettiva. E quella specialissima persona che era Enzo Bearzot: era severo, pretendeva molto ma ti abbracciava, con la sua onestà e il suo coraggio, e non ti abbandonava mai».

     

    Una vittoria così è anche una responsabilità. Verso chi la sentivate?

    «Verso i tifosi. Verso tutti i connazionali che si ritrovavano intorno a un simbolo dopo un periodo oscuro. Verso i ragazzi delle periferie che giocavano nei campetti. Fu una vittoria unificante. Sì, una bella responsabilità».

     

    tardelli italia germania 3-1 tardelli italia germania 3-1

    Oggi lei ha 66 anni. Le sue radici affondano a Capanne di Careggine, in provincia di Lucca. Ripensandosi da ragazzo, che tipo era?

    «Timido. Chiuso. Lo sono ancora dopo tutti questi anni, anche se non sembra».

     

    Perché?

    «Forse per l' educazione che ho ricevuto. I miei genitori erano ottime persone. Solide, umili e silenziose. Mio padre, di radici contadine, era operaio all' Anas. Mia madre faceva la casalinga e dava una mano nelle case degli altri».

     

    Erano felici della sua vocazione da calciatore?

    marco tardelli luca marchegiani foto di bacco marco tardelli luca marchegiani foto di bacco

    «Neanche un po'. Il loro sogno era il diploma, l' impiego, un po' il Checco Zalone di "Quo vado?". Papà non è mai venuto allo stadio, si agitava troppo a vedermi in campo, mamma venne una sola volta. Mi amavano molto ma erano così».

     

    Che definizione darebbe del suo carattere di fondo?

    «Inquieto. Penso sia la parola giusta. Mi placo solo veramente quando ho a che fare con la terra. Papà, quando tornava dal lavoro, si metteva a lavorare nell' orto. E lo stesso capita a me.

     

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    Nella casa di Pantelleria ho piantato molti ulivi, per esempio, ne chiedo in regalo uno a chi viene a trovarci. E la terra mi aiutò molto a ritrovarmi quando decisi di smettere con il calcio. A un certo punto non ne potevo più di scendere in campo, di giocare. E smisi proprio volendolo, e senza rimpianti».

     

    Da dove nasce l' inquietudine?

    «Da quell' insicurezza di partenza. Certe cose, o le risolvi da giovanissimo o te le ritrovi per sempre».

     

    Cosa le piace del calcio, in fondo?

    «È l' unico lavoro in cui esiste solo il merito. Nessuna raccomandazione può inserirti in una squadra o farti giocare bene. O funzioni o non funzioni. Non c' è altro. Poi ci sono i valori».

     

    Quali?

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    «I miei, anzi i nostri della mia generazione, sono sempre stati la disciplina, l' onestà, il rispetto delle regole. E imparare a saper perdere. Adesso perdere, per troppa gente, significa quasi morire, una sconfitta terribile, una caduta irreparabile. Invece perdere può essere un aiuto a capire l' errore. A migliorarsi, ed è un altro valore».

     

    Lei ha detto che da tempo non frequenta gli stadi. Perché?

    «Le ultime volte ho visto tanta violenza, tanta rabbia. Per troppa gente la vittoria di una squadra è un regolamento di conti con il collega di lavoro, con il vicino di casa, è una specie di rivincita personale a tutto campo.

     

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    E non va bene. Un esercizio utile sarebbe prendere i figli di certi energumeni e far vedere cosa fanno i padri in tribuna durante le partite. I padri si vergognerebbero e i figli capirebbero cosa non si deve fare...».

     

    Poi ci sono gli episodi di razzismo. Tanti, e intollerabili, nel calcio.

    «C' è un solo modo: fermare il gioco, la squadra tutta seduta per terra, e arrivederci. Non ci sono soldi che tengano, non c' è business. O fai così o è finita. Mi ricorderò per tutta la vita un metodo inglese.

     

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    Ero in tribuna per una partita, fumavo il sigaro. Si avvicinò, in silenzio e garbatamente, un tipo tutto vestito di giallo con in mano un cartello ben visibile: "Don' t smoke". Non mi sono mai vergognato tanto. Smisi subito. Ecco, servono metodi così».

     

    Lei è stato candidato alla presidenza dell' Aic, l' Associazione italiana calciatori. Ora non più. Come mai?

    «C' è chi mi ha considerato quello che "spaccava" l' associazione. Invece io volevo mettere la mia esperienza a disposizione dei calciatori di oggi, far ritornare l' Aic un vero sindacato, capace di lottare per tanti diritti. Ma l' ultima cosa che volevo era essere divisivo, perciò niente candidatura. Ho soltanto voglia di mettere me stesso a disposizione del calcio che amo».

    veltroni tardelli veltroni tardelli

     

    Se dovesse indicare in poche parole i principali problemi di quel mondo?

    «Prima di tutto i costi del calcio, in generale. Il problema è che c' è chi guadagna cifre altissime e chi, soprattutto in Serie C, non riesce ad arrivare nemmeno alla fine del mese. Poi la questione dei dilettanti, che sono un serbatoio di passione ed energia per tutto il calcio. E penso ci siano troppe squadre».

     

    La pandemia di coronavirus ha costretto anche il mondo del calcio a fermarsi e a riflettere.

    «E su questo mi permetto di citare il Papa: "L' unica cosa peggiore della crisi è il rischio di sprecarla"».

    marco tardelli fa volare wolfgang dremmler marco tardelli fa volare wolfgang dremmler

     

    Sta portando avanti dei progetti legati allo sport?

    «Uno, e ci tengo moltissimo. Ho avuto da poco l' incarico di dirigere il nuovo centro tecnico della Federcalcio a Roma. Sorgerà sui terreni del Salaria Sport Village, è un progetto che mi entusiasma perché nato e pensato al servizio dei giovani.

     

    Per me sarà un modo per indossare di nuovo la Maglia Azzurra, tra l' altro proprio su quei campi mi sono allenato più volte con la Nazionale di Bearzot. Come ha detto il presidente federale Gabriele Gravina, sarà la nuova casa delle Nazionali giovanili. Una prospettiva che mi entusiasma, mi sento molto felice, lo ammetto».

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    Poi c' è «La Domenica Sportiva», l' impegno con RadioRai.

    «Sì, il mio legame con la Rai resta molto forte e quel lavoro mi piace. La Rai è casa mia e, oltretutto, mi rimanda a tutta la mia gioventù».

     

    Ha avuto donne sempre molto belle...

    «Sì, è capitato...».

    Anche il flirt con Moana Pozzi. Lei non ne parla più, però.

    «Non rinnego niente. Ma non mi sembra più il caso di parlarne. È passato tantissimo tempo e poi lei non c' è più».

     

    Adesso ha accanto una donna famosa e affermata, Myrta Merlino, un volto-simbolo di La7.

    «È stata a lungo un' amica. Poi, quattro anni fa, tutto è cambiato. È l' amore della mia vita: un legame molto profondo. Mai avuto un rapporto così maturo e consapevole. Myrta è una donna solida: mi ha aiutato a crescere. Detto alla mia età può far ridere, anche perché io sono più grande di lei, ma è così. Spero di aver fatto lo stesso con Myrta».

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    Geloso, dicono.

    «Un po' sì. Non ho paura ad ammetterlo. La gelosia è parte dell' amore».

     

    Lei ha due figli grandi. Sara, giornalista, con lei ha scritto il libro «O tutto o niente/ La mia storia», edito da Mondadori, e Nicola, analista finanziario. Che rapporto ha con loro?

    «Di grande amore, prima di tutto. Di stima. Di rispetto, anche dei ruoli. Nicola tende a proteggermi. L' esperienza del libro con Sara è stata bellissima: abbiamo riso, litigato. Io riflettevo e lei scriveva. Bello, sì».

     

    Poi i due figli di Sara, Tancredi e Fiamma. Felice di essere nonno?

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    «Certo che sì, molto. Sono magnifici. Ma per adesso non voglio fare "solo" il nonno, voglio esserlo nella maniera giusta. Poi, forse, un giorno sarò nonno e basta. Oggi no. Mi manca il tempo. Per fortuna».

     

    Questa serie si intitola «Italiani». Cosa significa per lei essere un italiano?

    «Avere cuore. Avere passione. L' italiano non è cinico ed è sempre pronto a dare una mano. Ed è mammone, ha un forte sentimento legato alle radici. Per me è molto positivo. Ma sì, viva l' italiano mammone».

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