Sara Ricotta per “La Stampa”
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Non c'è bisogno di essere presepisti militanti per regalare e ricevere un libro come questo. Certo, si intitola Il presepe (Il Mulino, pp. 290, 16) e ha un inserto di foto a colori che portano subito a san Gregorio Armeno e al suo megaminimondo, ma il testo di Marino Niola e Elisabetta Moro lo racconta come un personaggio e fa di questa lettura un vero romanzo del presepe.
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Che nasce in povertà a Greccio, cresce elegante nelle corti del Rinascimento e si fa sontuoso in quelle barocche; fino a diventare status symbol nelle dimore borghesi dove crea miti domestici e consente di mostrare gusto e ricchezza nelle scenografie e nello sfarzo di statuine come i re Magi. Il presepe è storia sociale, dunque, ma anche «teologia in dialetto». Napoletano, s' intende, visto che la sua «domesticazione» che lo ha portato dalle chiese alle case è iniziata nel Settecento nel Regno del Vesuvio.
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È lì che è partita anche la sua «folklorizzazione», quando accanto a Sacra famiglia, pastori e Magi compaiono personaggi come il dormiente, lo stupefatto e, dalla Spagna, il «cagador» che non necessita di traduzione. Non a caso - ricordano gli autori - Papa Francesco nella sua Admirabile signum parla del presepe come di un «Vangelo vivo dove si intende esprimere che in questo nuovo mondo inaugurato da Gesù c'è spazio per tutto ciò che è umano».
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Quindi negli anni si aggiungono i politici (Bassolino il primo), calciatori e star (ultimi i virologi), tanto che comparire sulle bancarelle di san Gregorio Armeno è un po' come essere persona dell'anno su Time. Niola e Moro entrano con seria ironia in questo teatro profano del sacro e ci fanno notare l'acribia «miracolosa, ai limiti del trompe-l'oeil» con cui sono riprodotti oggetti, verdure, animali, montagne e fiumi come quelli di Eduardo-Luca Cupiello «che, come un Vanvitelli in minore, arricchisce il suo presepe di una cascata "come Dio comanda".
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Salvo il particolare che ad alimentare le rapide è un clistere...». Tantissime le citazioni e mai banali, ma qui c'è spazio per pescarne solo due: dello storico Gregorovius che definisce i figurinai «creatori di divinità per il popolo»; e di Manganelli per cui «il divino miniaturizzato ha la medesima statura della sua totalità». E alla fine di quasi 300 pagine dotte e divertenti, i ringraziamenti vanno «A Gesù, Giuseppe e Maria: senza di loro tutto ciò non sarebbe mai nato».
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